La Chiesa cattolica ha molti santi che dimostrano la priorità di seguire Cristo in tempo di grandi cambiamenti sociali. Uno di questi santi è il santo vescovo e martire Giosafat Kuncewycz.
Nel 2023 si celebra il 400° anniversario del suo martirio. Il corpo di questo santo riposa nella Basilica di San Pietro in Vaticano da quasi 60 anni. papa Giovanni Paolo II ha chiamato san Giosafat Apostolo dell’unità delle Chiese, e papa Francesco, incontrando con i pellegrini dall’Ucraina il 25 novembre 2013, ha osservato che «il modo migliore di celebrare san Giosafat è amarci tra noi e amare e servire l’unità della Chiesa».
L’amore di san Giosafat verso Dio ha reso possibile il focolare del servizio sacrificale, bruciato fino al suo ultimo respiro. Tutto iniziò nel 1580, quando il futuro santo nacque nella città Volodymyr, antica città principesca ucraina. I genitori, Gavryil e Maryna, venivano spesso in chiesa con il figlio Ivan (Giovanni).
Un giorno, in chiesa, fermò accidentalmente lo sguardo sulla Crocifissione di Gesù. Guardando i segni della morte, l’attento bambino chiese a sua madre delle ferite sul corpo di Cristo. La mamma gli raccontò il mistero della redenzione, compiuto da Dio, parlando dell’amore senza misura di Cristo e della sua umiliazione sulla croce. In quel momento la scintilla del mistero di Dio gli penetrò così profondamente nel cuore che Ivan cominciò a vivere per Colui che aveva sacrificato il suo sangue e la sua vita per noi. Aveva sei anni.
Durante il processo di beatificazione alcuni testimoni hanno raccontato che spesso, preoccupati per l’assenza del loro figlio, i genitori lo trovavano mentre pregava in chiesa.
Gli inizi della vita monastica
Nel 1604 l’amore verso Dio spinse il giovane Ivan a entrare nel monastero della Santissima Trinità nella città di Wilno (oggi Vilnius), grande città dello stato lituano-polacco del tempo, decidendo di vivere secondo la Regola di San Basilio Magno.
I primi anni in monastero furono una vera prova di vocazione. A quel tempo, la vita monastica nel territorio della Sede metropolitana di Kyiv era fragile e per il giovane monaco Giosafat (il suo nome monastico) mancava di guide spirituali e di esempi. Questa situazione non gli ha impedito di approfondire le opere di san Basilio Magno, di studiare i libri liturgici e le opere dei santi Padri della Chiesa.
Nonostante la mancanza di testimonianze di vita monastica nel suo monastero, Giosafat, animato dallo Spirito Santo, condusse una rigorosa vita ascetica e solitaria, integrata da una intensa preghiera e dalla lettura di libri, nei quali scoprì la ricchezza della vita monastica, apprese le peculiarità della teologia e della storia della Chiesa.
Josyf Veljamyn Ruts’kyj
Dopo qualche anno di vita monastica, incontrò Ivan Veljamyn Ruts’kyj, un giovane dottore in teologia tornato da Roma per rafforzare la Chiesa Rutena unita – frutto dell’unità di Oriente e Occidente nell’Unione di Brest nello spirito del Concilio di Firenze. Giosafat esercitava il suo ministero in questa Chiesa, testimoniando nella tradizione orientale il suo amore verso Cristo.
Accesi dal desiderio di rivitalizzare la vita monastica, iniziarono entrambi un difficile cammino in un momento di cambiamenti sociali e differenze religiose. Il Signore è stato per loro di grande aiuto. Lo raccontano molti testimoni della vita di san Giosafat, che così descrivono la caratteristica principale del santo martire: l’unità con Cristo, che dona forza, saggezza e discernimento, moltiplicando i talenti umani.
Ivan Veljamyn Ruts’kyj, ispirato dall’esempio di Giosafat, entra nel monastero dove prende il nome monastico di Josyf (Giuseppe). Egli è certo che quando sarebbe apparsa una generazione di monaci come Giosafat, la situazione della Chiesa sarebbe migliorata. Josyf Veljamyn e Giosafat Kuncewycz diedero ai giovani monaci ciò che avevano di più prezioso: Ruts’kyj, la sua educazione, le idee, gli esempi di ordini monastici occidentali e gli insegnamenti dei Padri della Chiesa, in particolare san Basilio Magno; Giosafat, invece, fornì loro gli elementi della spiritualità monastica orientale e un esempio di vita santa. Grazie alla loro opera si formò l’Ordine di San Basilio Magno, che divenne per secoli la base della Chiesa greco-cattolica ucraina.
Nel 1613 Josyf Veljamyn Ruts’kyj divenne metropolita, capo della Chiesa, e nominò Giosafat arcivescovo dell’arcieparchia di Polotsk (dal 1618), che comprendeva la maggior parte del territorio della Bielorussia. Giosafat, umile monaco, non mostrava alcun desiderio di diventare vescovo. Al primo capitolo dell’Ordine Basiliano nel 1617, il Metropolita Ruts’kyj annunciò solennemente la nomina a vescovo di Giosafat. Sentendo ciò, egli si inginocchiò davanti ai membri del Capitolo e chiese al metropolita di cambiare la sua decisione. Nella sua saggezza, il metropolita esortò il confratello a obbedire.
Diventato vescovo, San Giosafat continuò a vivere come monaco e per il resto della sua vita indossò anche un cilicio che gli ricordava la passione di Cristo.
Il servizio nella Chiesa
San Giosafat era caratterizzato da uno stile pastorale il cui obiettivo era l’unità dell’uomo con Dio. Confessava per diverse ore al giorno e insegnava le verità della fede cristiana. Gli abitanti della città di Wilno lo ricordavano come amico degli scartati. Essi, più di altri, chiedevano a Giosafat di consolare le loro sofferenze, perché privi di aiuto, sostegno e cura spirituale. E Giosafat non ebbe timore di stare con loro, nonostante al disgusto e il fetore dei luoghi dove vivevano.
Una volta, visitandoli, Giosafat portò con sé un altro monaco, il quale, avvicinatosi all’ingresso di un’abitazione, si allontanò rapidamente a causa del fetore sgradevole che ne usciva e non osava più avvicinarsi. Giosafat prese per mano il confratello e lo esortò: «Vieni, fratello, sopportiamo volentieri questo breve fetore in cambio dell’eterno dolce profumo». Ed entrambi entrarono per dare al povero aiuto fisico e spirituale. Superando ogni difficoltà e avversione, Giosafat incarnò l’immagine del Buon Pastore con spirito di abnegazione. Non sarebbe stato possibile senza un vero amore verso Dio.
Un aspetto importante del ministero di san Giosafat fu la predicazione. Predicò senza stancarsi nelle chiese e nelle strade. Nell’ascoltarlo, i protestanti istruiti erano attratti dalla ricercatezza dei suoi argomenti e i fedeli dell’Ortodossia ammirati dalla conoscenza delle tradizioni orientali. Grazie al suo stile persuasivo, Giosafat acquistò autorità anche tra i rappresentanti di altre denominazioni e religioni. La sua tenerezza e il suo amore misericordioso erano gli stessi per tutti, indipendentemente dalla appartenenza e dal peccato.
Nel 1609, un uomo attentò alla vita del metropolita Ipatij Potij, tentando di ucciderlo con una sciabola. Il tribunale civile lo condannò a morte. Giosafat, allora giovane sacerdote, si dava pena per quell’anima che stava per comparire davanti al Giudice eterno. Riuscì insistendo ad entrare in carcere e a parlargli. E quell’uomo, prostrato dalla sua estrema povertà di spirito, pianse e aprì il suo cuore a Giosafat, confessando i suoi peccati e ricevendo l’Eucaristia. Là dove la giustizia umana aveva già negato ogni perdono, Giosafat portava testimonianza della misericordia di Dio.
Ministero episcopale
Come vescovo, Giosafat iniziò il rinnovamento della arcieparchia dai sacerdoti. Si preoccupava della loro formazione, aveva con il suo clero colloqui frequenti e vari tipi di incontri, che erano una componente importante nel processo di vivere la Chiesa come una sola famiglia.
Giosafat ha scritto le «Regole per i Sacerdoti», prospettando un rinnovamento morale, spirituale ed ecclesiologico del clero. I suoi metodi e il modo di gestire l’arcieparchia rappresentano un esempio di gestione collegiale o sinodale della Chiesa. Un esempio per noi, a imparare ad ascoltarci, a incontrarci, a dialogare per analizzare bene la situazione insieme, vedere le difficoltà e stabilire l’unità per vivere nella Chiesa secondo il Vangelo.
Per i fedeli, san Giosafat ha scritto il Catechismo, un testo importante in un periodo segnato dalle riforme in seno alla Chiesa cattolica dopo il Concilio di Trento. Il Catechismo è basato sui modelli del rinnovamento della Chiesa occidentale adattati alla realtà della Chiesa orientale.
Il ministero pastorale di san Giosafat aveva alcune caratteristiche principali: la sua testimonianza personale di fede, la vita sacramentale, la formazione, diffusione di pratiche che aiutassero ad approfondire l’adesione di fede in Gesù Cristo.
Martirio per l’unità
Il 12 novembre 1623, nella città di Vicebsk, dopo la preghiera del mattino, Giosafat esce a difendere il suo servitore, il quale stava allontanando dalla chiesa un uomo che aveva tentato di interrompere la preghiera e attaccare Giosafat. La gente resta sorpresa dal coraggio del vescovo. In quel frangente, due criminali ubriachi si avvicinano a Giosafat: uno lo colpisce con un bastone e l’altro gli taglia la testa con un’ascia. Il corpo viene poi gettato nel fiume Dvina.
Dopo il suo martirio molti videro un bagliore miracoloso sul suo corpo, e i testimoni raccontano di numerose guarigioni dopo che fu il corpo collocato nella chiesa. Anche uno dei più grandi oppositori di Giosafat, il vescovo ortodosso Meletii Smotrytskyi, si pentì e si convertì alla Chiesa cattolica.
Molti altri racconti testimoniano che la grazia di Dio è stata attiva nella vita e dopo la morte del santo vescovo Giosafat. Pochi anni dopo il suo martirio iniziò il processo di beatificazione, culminato con la solenne proclamazione di Giosafat come beato della Chiesa Cattolica nel 1643. Nel 1867 fu canonizzato da Pio IX.
Nella Lettera apostolica in occasione del 300° anniversario del martirio di San Giosafat Kuncewycz, Pio XII scrisse: «Il sacro sangue di questo martire divenne in un certo senso il seme di cristiani. Così il rinnovo dell’unione di tutta metropolia di Kyiv con Sede Apostolica è stata sigillata dal sangue di san Giosafat».
Questo Santo della Chiesa Cattolica, nato nell’odierna Ucraina, unisce in particolare quattro popoli: ucraino, bielorusso, lituano e polacco. L’eredità di San Giosafat è ancora poco conosciuta nel mondo occidentale. La vicenda di questi santi è occasione per conoscere meglio la realtà della Chiesa cattolica nella tradizione orientale, così che i due polmoni – Oriente e Occidente – possano respirare un’aria vivificata dalle comuni radici del Vangelo.
P. Yakiv Shumylo appartiene all’Ordine di San Basilio Magno (OSBM)