Michela Murgia, la domanda e il paradosso

di:

michela murgia

Come spiega bene Francesco Ognibene sulle pagine di Avvenire, le posizioni sono diverse, non per questo ostili, ma certamente non omologabili, soprattutto sul piano antropologico (qui), preferisco ricordare questa persona inquieta e stimolante, nonché provocatoria per il pensiero teologico, proprio per un paio di riflessioni che interpellano il nostro mestiere.

La prima la riporta Roberto Carnero, sullo stesso quotidiano: «È stato proprio lo studio della teologia a educarmi a una cultura della domanda. Mentre oggi siamo circondati da persone che hanno il culto della risposta» (qui). Penso che non possiamo non rallegrarci della fecondità del sapere teologico, capace una volta tanto di superare le barriere delle nostre sacrestie e interpellare, in un moto perpetuo del quaerere (fides quaerens intellectum) il pensiero laico, anche di chi adotta posizioni non coincidenti con la dottrina cattolica, mentre devo con rammarico segnalare che il «culto della risposta» si esprime come una vera e propria idolatria nei nostri ambienti accademici particolarmente da parte della maggior parte dei giovani in formazione.

L’altra riflessione riguarda un tema al quale ho dedicato diverse pagine: la «logica del paradosso» e la trovo espressa nel suo God save the Queer: «Nei secoli la teologia ha lavorato in maniera assidua per mantenere insieme gli ossimori della rivelazione, evitando la facile scelta di semplificarli. Tutte le volte che si è provato a lasciar fuori o minimizzare uno degli aspetti contraddittori per andare verso la comfort zone delle definizioni nette, si è approdati nella terra dell’eresia, dove si perde qualcosa della divinità e spesso parecchio pure dell’umanità».

Quella che il compianto Italo Mancini, ispirandosi a Blaise Pascal, chiamava la «professione dei contrari», pone il teologo di fronte alla necessità di superare il «principio di non contraddizione» e la «logica binaria» nel momento in cui riflette il «mistero», confrontandosi col «paradosso assoluto» che è il Cristo, parola di Søren Kierkegaard, per il quale

«non bisogna pensare male del paradosso; perché il paradosso è la passione del pensiero e i pensatori privi di paradosso sono come amanti senza passione: mediocri compagni di gioco. Ma la potenziazione estrema di ogni passione è sempre di volere la propria fine: così la passione più alta della ragione è di volere l’urto, benché l’urto possa in qualche modo segnare la sua fine. È questo allora il supremo paradosso del pensiero, di voler scoprire qualcosa ch’esso non può pensare. Questa passione del pensiero è in fondo presente dovunque nel pensiero, anche in quello del singolo, fin quando egli, col pensare, non si riduce a se stesso. Ma a causa dell’abitudine, egli non lo scopre» (Briciole di filosofia).

E di questa «passione» Michela Murgia è stata testimone scomoda e provocatrice.

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8 Commenti

  1. Elda Margherita Vernoli 13 agosto 2023
    • Gian Piero 14 agosto 2023
  2. Gian Piero 13 agosto 2023
  3. Fabio Dipalma 12 agosto 2023
  4. Antonio 12 agosto 2023
  5. Christian 12 agosto 2023
    • Giuseppe Lorizio 12 agosto 2023
      • Christian 12 agosto 2023

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