Pagola è famoso non soltanto in Spagna come teologo e scrittore, ma un po’ ovunque. Si pensi che il suo libro su Gesù (Gesù. Un approccio storico) uscito nel 2007, pubblicato in Italia nel 2009, fu tradotto, oltre che in italiano, in euskera (basco) catalano, inglese, francese, portoghese, russo, giapponese. Ma costò all’autore ben cinque anni di attacchi e di condanne, che gli procurarono una grande stanchezza mentale e psicologica.
Nel 2008 intervenne la diocesi di Tarragona: «Il Gesù di Pagola non è il Gesù della fede della Chiesa». Luis Javier Arguello, vicario generale di Valladolid, lo condannò senza mezzi termini, seguito da due articoli dei teologi José Maria Iraburu e José Antonio Sayés e da uno scritto di José Rico Pavés, in quel tempo direttore del segretariato della Commissione episcopale per la dottrina della fede in Spagna. Interventi senza minimamente avere scambiato quattro chiacchiere con l’interessato.
Il vescovo Juan María Uriarte di San Sebastián, la diocesi di Pagola, dopo aver consultato eminenti biblisti, diede l’imprimatur il 16 giugno 2008. Due giorni dopo, la Commissione episcopale per la dottrina della fede rendeva pubblica la «Nota di chiarificazione».
Si aprì un dibattito assai acceso e convulso. Il segretario della Congregazione romana, lo spagnolo mons. Ladaria, intervenne per portare un po’ di calma, chiedendo all’editore (PPC) che non ponesse il libro in catalogo.
Nel 2010 giunse la notizia che il card. Rouco, presidente della Conferenza episcopale spagnola, e mons. José Antonio Martínez Camino, presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede spagnola, fecero visita al card. Levada, presidente della Congregazione romana, per chiedere che Roma sconfessasse il libro e venisse tolto l’imprimatur.
Il libro fu sottoposto a uno studio, che coinvolse lettori di diverse nazionalità, che non riscontrarono affermazioni contrarie alla fede, cosa che fu confermata dal discusso vescovo Munilla di San Sebastián a Pagola. Per Roma il libro non conteneva proposizioni direttamente contrarie alla dottrina della fede e si chiedeva a Pagola di chiarire alcuni punti.
Il 26 gennaio del 2012, Pagola si incontrò ad Almeria con Adolfo González Montes, presidente della Commissione della dottrina della fede spagnola e con il teologo Enrique Benavent, vescovo ausiliare di Valencia, già professore di cristologia. Incredibile: il primo non aveva letto il libro e il secondo solo la prima edizione in catalano, non in spagnolo.
Il 19 febbraio il vescovo di San Sebastián ricevette una lettera da parte del card. Ladaria. Papa Benedetto aveva rassegnato le dimissioni. Pagola, non avendo ricevuto notizie dal vescovo Munilla riguardo al contenuto della lettera di Ladaria, l’8 marzo pubblicò la Lettera ai miei lettori, con la quale comunicava la risposta di Roma: nessuna proposizione contraria alla fede, nessuna richiesta di correggere errori dottrinali o affermazioni eretiche. Solo la richiesta che, nelle edizioni successive, fossero apportate modifiche riguardo a cinque punti concreti.
Lo stesso giorno, il segretario della Commissione spagnola, José Antonio Martínez Camino, con uno scritto di trentasette righe faceva un rapido excursus della vicenda e solo tre righe e mezza per comunicare che «l’autore ha risposto in maniera soddisfacente alle osservazioni fatte dalla Congregazione». Le eventuali future edizioni non dovevano avere l’imprimatur.
Più volte incontrai Pagola, anche per la pubblicazione in Italia dei suoi libri. Lascio a lui la parola: «Ho sofferto molto. Soprattutto, veder soffrire le mie due sorelle, con le quali abitavo, e tutta la mia famiglia e tanti amici e amiche che soffrivano nel vedermi soffrire. A volte non sapevo che dire loro né come spiegare ciò che stava succedendo. Ho sofferto molto vedere una strana esperienza che mai avevo conosciuto prima. Sentivo che alcuni settori della Chiesa volevano zittire la mia voce e spegnerla. Secondo loro, io recavo danno alla Chiesa. Volevo ascoltarli sinceramente per vedere se potevo presentare meglio il Vangelo di Gesù. A volte mi sentivo rifiutato dalla Chiesa. Altre volte pensavo che non mi importava che mi considerassero eretico o ariano. Solo Dio incarnato in Gesù conosce ciò che c’è nel mio cuore».
Non ho letto il libro ma, con tutte le eresie che escono dai vertici della gerarchia penso questo non sia certo un problema