Alla fine di agosto, nei giorni dal 25 al 27, si è tenuto in Francia, in un eco-villaggio cristiano che porta il nome biblico di Goshen, a tre quarti d’ora da Digione, il Festival des Poussiérs. Évangile et révolutions (Festival delle Polveri. Vangelo e rivoluzioni), così chiamato ispirandosi a Genesi 3,19. Infatti, era scritto nella presentazione: «Le polveri sono ciò che resta quando il tempo è consumato. Sono dunque ciò resiste».
Duecentoquaranta i partecipanti, con una grande maggioranza di francesi, più alcuni provenienti dal Belgio e dalla Svizzera francofona e solo un paio da altri paesi europei, ovvero io e un domenicano svedese. Età media dei partecipanti, trent’anni: insegnanti, ricercatori, sindacalisti, musicisti, giornalisti, contadini, attivisti, seminaristi, diaconi, suore e tanti bambini, per i quali era stato preparato appositamente un programma.
L’invito al Festival recitava: «In risposta al grido dei poveri e della terra e alle palesi ingiustizie, il festival delle polveri intende contribuire allo sviluppo e alla diffusione di quelle pratiche di liberazione che instaurano il Regno qui e ora. Con le nostre radici nella tradizione cristiana e rivoluzionaria, vi invitiamo a condividere i nostri rispettivi dubbi e le nostre gioie».
Pratiche di liberazione
Dal momento in cui l’appello è apparso sulle reti sociali, nel giro di pochi giorni ha raggiunto le duecento adesioni, tanto che gli organizzatori hanno dovuto chiudere le iscrizioni. Parlando con i tanti e le tante che erano lì, l’idea che mi sono fatto è che il Festival è stata una sorpresa per chi lo ha organizzato, per il boom di adesioni, ma, allo stesso tempo, qualcosa di molto atteso da parte di chi vi ha aderito, per la possibilità offerta di incontrarsi e di condividere delle passioni, dei percorsi e specialmente delle domande.
La stampa, non solo quella francese, spesso indulge nella descrizione dei giovani cattolici francesi come “tradizionalisti”, ma evidentemente vi è qualcos’altro che si muove e che scardina quest’immagine. Mostrare la vitalità di questo qualcos’altro è stato precisamente uno degli obiettivi raggiunto dagli animatori del Festival che si sono riproposti di organizzarne una nuova edizione per l’anno prossimo.
Organizzatore dell’evento è un collettivo politico cristiano, Anastasis, nato due anni fa su iniziativa di alcuni giovani cattolici che avevano il desiderio di creare un «nuovo oggetto», un collettivo di affinità che lavorasse, allo stesso tempo, sulla strategia politica e sulla ricerca teologica: «Il nostro più profondo desiderio è di far vivere nel nostro paese un cristianesimo che prenda sul serio la radicalità del Vangelo».
Molti dei suoi componenti erano già impegnati nel caffè associativo parigino “Le Dorothy” – un’esperienza che meriterebbe un articolo a parte – e tra di loro vi sono anche gli autori di un libro bello e intenso che ha fatto molto discutere oltralpe, La communion qui vient. Carnets politiques d’une jeunesse catholique di Paul Colrat, Anne Waeles e Foucauld Giuliani. Un altro dei suoi membri, Guillame Dezaunay, ha appena pubblicato Le Christ Rouge (éditions Salvator, 2023), in cui propone una critica dell’economia politica capitalista sulla base di una singolare lettura delle parabole evangeliche di carattere “economico”.
Il collettivo Anastasis prende pubblica parola sugli argomenti dell’attualità, ad esempio ultimamente con un articolo di Anne Waeles sulla questione della “laicità” e del divieto discriminatorio alle ragazze musulmane di portare a scuola la abaya (una veste tradizionale) e partecipa abitualmente ai movimenti sociali che attraversano la Francia in questi anni, da quelli sull’emergenza ecologica a quello contro la riforma delle pensioni fino alle mobilitazioni seguite alla morte di Nahel, il giovane delle periferie ucciso dalla polizia in una delle sue ormai più che abituali «bavures».
Tra i loro riferimenti: innanzitutto la dottrina sociale della Chiesa e quindi Dorothy Day, il teologo americano William Cavanaugh, la teologia della liberazione e quella del popolo sviluppatesi in America Latina, la spiritualità di Taizé, sant’Agostino (di cui mi hanno raccontato che hanno letto in gruppo, per settimane, l’intera Città di Dio), Jacques Ellul, Ivan Illich e la tradizione ignaziana; non sono pochi, infatti, quelli e quelle che tra loro fanno riferimento al Centre Sèvres-Facultés jésuits di Parigi. Leggendoli e ascoltandoli, se dovessi definirne in due parole l’orientamento, direi: testardi nel perseguire una politica rivoluzionaria, tenaci nel restare fedeli teologicamente alla tradizione della Chiesa.
Politica e cristianesimo
Il luogo ove si è tenuto il Festival – Goshen – ha pure una storia interessante. Si tratta di un complesso di edifici che costituiva il granaio dell’abbazia di la Boussiere-sur-Ouche, fondata nel 1131. Nel 1983 si formò l’associazione Goshen che riuniva persone provenienti da differenti confessioni cristiane e che, all’inizio, prese in carico i luoghi per salvaguardarli e quindi per farne un luogo di reinserimento per persone tossicodipendenti. Dal 2009 Goshen è diventato un eco-villaggio dove vivono stabilmente tre famiglie con il progetto di farne una «piattaforma da cui possa irradiarsi il mondo alternativo cristiano», che ospita regolarmente persone e gruppi che percorrono vie di ricerca spirituale.
Personalmente ci sono arrivato su invito del collettivo Anastasis per parlare di filosofia politica e cristianesimo, ovvero del «messianismo come potenza destituente» e in particolare della relazione tra il concetto di «destituzione», abbastanza discusso negli ultimi anni, e il cristianesimo, con la tradizione della Chiesa. Gli autori de La comunione che viene se ne sono infatti occupati, in particolare nel capitolo sulla Chiesa come «istituzione destituente».
Vi sono state quindi altre due conferenze. Una è stata svolta sulla «teologia delle lotte ecologiste» da parte di Hélène Noisette, suora ausiliatrice, agronoma e teologa particolarmente attenta al “grido della Terra” che attualmente lavora con i rifugiati nel Secours catholique e come formatrice al Centre Sèvres. Suor Hélène ci ha condotto attraverso una rilettura appassionante dei primi capitoli della Genesi a guardare con un occhio diverso l’attuale situazione ecologica, cercando di mettere in luce quelle risorse teologiche che possono nutrire le lotte sociali per la difesa del creato.
Quindi la domenica mattina, prima della celebrazione eucaristica, vi è stata quella tenuta del gesuita Philippe Demeestere, cappellano del Secours catholique che, dal 2016, vive a Calais, dopo molti anni passati con i senzatetto a Parigi, nel contesto di quelli che lui chiama le «persone esiliate»: migranti, rifugiati, poveri che si accampano sulla costa francese nella speranza di raggiungere quella inglese; una conferenza in cui il gesuita ha cercato di mostrare come è possibile «attraversare la morte e rinascere collettivamente».
Due anni fa padre Philippe è salito alle cronache per via di uno sciopero della fame che, insieme ad altri due volontari, ha portato avanti per tre settimane, al fine di attirare l’attenzione sulle condizioni drammatiche degli esiliati e per domandare che la norma che vieta gli sfratti durante i mesi invernali venisse allargata alle tende e baracche di fortuna che servono da rifugio agli esiliati di Calais.
Un po’ come dire: almeno si equipari la loro povertà a quella dei “cittadini”. Il suo discorso, molto emozionante, ha presentato la vicenda di Calais leggendola attraverso alcuni Salmi ed episodi evangelici, per culminare nell’episodio della risurrezione di Lazzaro, invitandoci a vivere eucaristicamente la condivisione con i corpi dei fratelli e delle sorelle che sono maggiormente nel bisogno.
Oltre le tre conferenze, erano state organizzate tre tavole rotonde:
– la prima, «Riprendere la terra e il cielo», sulla questione ecologica, vedeva la partecipazione della pastora protestante Caroline Ingrand-Hoffet che, dal 2017, è impegnata nella lotta per difendere la foresta di Kolbsheim, Mathieu Yon, contadino che ha scritto un libro sulla spiritualità e il lavoro della terra (Notre lien quotidien, Nouvelle Cité 2023) e un abitante della ZAD di Notre Dame des Landes, impegnato nel movimento ecologista Soulevements de la Terre recentemente messo fuori legge dal governo Macron;
– la seconda, «Beati i poveri?», attorno all’appello ad ascoltare la voce dei poveri per sentire attraverso di loro quella di Cristo, con il sacerdote Sylvain Mansart, autore del libro De la domination à la fraternité sublime avec la creation (Parole et Silence Eds, 2022), Guillemette In, medico in un carcere, e Gabriel Amieux, membro del collettivo Anastasis e sindacalista di ASSO-Solidaires;
– infine la tavola rotonda «Rivoluzione dei figli di Abramo», sull’impegno religioso e quindi politico da parte di cristiani, musulmani ed ebrei, con i membri di Anastasis e del collettivo politico musulmano Attariq.
Preghiera e collettivo
Per tutti i tre giorni, inoltre, ciascuno, singolo o gruppo di persone, ha potuto proporre un laboratorio, per cui, tra gli altri, vi sono stati incontri sulla teologia femminista, sullo yoga, sulla pittura (atelier che, con la guida di Edith Ouss, ha prodotto un bel murales ispirato a Isaia 11,6) e pure sulla panificazione, durante il quale è stato confezionato il pane che sarebbe servito per la celebrazione eucaristica della domenica. Concerti di musica tradizionale borgognona, rock e balli folk hanno poi rallegrato le serate.
Momento centrale di ogni giornata è stata la preghiera collettiva: una alla mattina e un’altra alla sera, in un campo di ciliegi, davanti a una grande croce francescana, animata dai canti di Taizé e da quelli scritti da un membro del collettivo Anastasis, con l’accompagnamento di un’arpista e una violoncellista. Ogni preghiera consegnava alla meditazione, con un salmo, una pagina, ad esempio di Frère Roger di Taizè o, un’altra, il venerdì sera, sulla croce, scritta da alcuni dei giovani organizzatori.
Infine, la domenica, una gioiosa messa eucaristica, celebrata da un francescano, fra Eric Moisdon, padre guardiano di La Cordelle a Vézelay, è stata il “luogo” da cui partire per i tradizionali pellegrinaggi per Assisi. Al termine della celebrazione, fra Eric ha invitato la pastora protestante a impartire insieme a lui la benedizione su quelle scintillanti «polveri resistenti», quel frammento del popolo di Dio che in quel giorno era riunito a Goshen.
Una preghiera è stata scritta appositamente per accompagnare il Festival ed è stata recitata collettivamente all’inizio e al termine dell’incontro.
Preghiera delle Polveri
Con la polvere della terra, con le stelle del cielo, l’acqua,
il vento, l’asina, le api, le zucche e i pomodori,
con il grano appena raccolto, ma anche con l’ortica, il
cardo e la zanzara, noi ti lodiamo Signore!Grazie per ogni persona risollevata, ogni oppresso
liberato, ogni sguardo d’amore. Grazie per i fratelli e le
sorelle che si uniscono e lottano perché il pane
sia condiviso e che i potenti
siano rovesciati dai loro troni.Spirito Santo, donaci l’audacia di profanare ogni
potere che usurpa il regno di Dio. Insegnaci a denunciare
le strutture di peccato che schiacciano le vite umane e
distruggono il vivente.
È per la tua grazia che possiamo vivere il Vangelo.Perdona le nostre complicità con il male. Donaci
di saper lottare contro le calamità del nostro tempo
mentre cerchiamo di amare le persone che incontriamo.Donaci di essere fedeli alla preghiera e alla contemplazione,
alla meditazione della tua Parola e alla frazione del pane.Donaci la gioia di essere salvati
e la speranza della tua vittoria.
Che venga il tuo regno. Amen
Il cristianesimo o è “rivoluzionario” o non è. Ma di quale rivoluzione si tratta? È questa una parola ambigua che lungo il corso della storia si è caricata di un retrogusto di sangue e, spesso, di fallimento. Allora io ritornerei al linguaggio biblico proponendo il termine “conversione” più che quello di “rivoluzione”. Allora per me il cristianesimo è “conversionario” o non è. Molto delle cose descritte nell’articolo fanno parte della conversione predicata da Cristo.
Interessante il manifesto di Anastasis ma non credo che il sovranismo sia una reazione ottusa al turbo consumismo dei nostri giorni.
Il sovranismo veicola la paura dell’eterno diverso da noi cosa che accade comunque anche in assenza di consumismo.
Resta il fatto che stare dalla parte dei poveri a volte significa combattere perché la loro condizione migliori in un difficile equilibrio tra l’amare i proprio nemici e lottare per la giustizia.
Hasta siempre
Aprendimos a quererte
Desde la histórica altura
Donde el sol de tu bravura
Le puso cerco a la muerte.
[Estribillo]:
Aquí se queda la clara,
La entrañable transparencia
De tu querida presencia,
Comandante Che Guevara.