In questi primi decenni del XXI secolo e con varie modalità, anche se con certe difficoltà legate ad eredità culturali frutto di posizioni legate da una parte all’anti-scienza e dall’altra a punti di vista di matrice scientista e restie ancora a fare debitamente i conti con la «scienza come pensiero» nel senso indicatoci da alcuni dei maggiori epistemologi da Moritz Schlick e Federigo Enriques a Gaston Bachelard e Karl Popper, sta emergendo in tutta la sua cogenza teorico-esistenziale la dimensione umanistica della scienza anche sotto la pressione degli inediti problemi venuti a galla nella nostra era geologica, l’Antropocene; essa è stata avvertita sempre più pregnante del resto come tale dagli stessi scienziati sin dalla modernità ed espressa in modo spontaneo e germinale nei loro lavori, ma per varie motivazioni storico-culturali, pur essendo una delle ragioni e anime di fondo che hanno portato la scienza a costituirsi come conoscenza tout court, non ha ricevuto un’adeguata trattazione teoretica col rimanere marginale e ritenuta legata solo a questioni di natura etica e coscienziale da parte del singolo scienziato.
Se si escludono alcuni scritti pioneristici di Federigo Enriques e di Hélène Metzger degli anni Trenta, solo nella seconda metà del secolo una figura, rimasta quasi del tutto sconosciuta, come il gesuita Enrico Cantore (1926-2014) ci ha fornito un organico lavoro in tal senso come Scientific Man. The Humanistic Significance of Science nel 1977 (L’uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, a cura di L. Valdrè, EDB, Bologna 1987, rist. 2021).
Questo lavoro, preceduto nel 1969 da Atomic Order. An Introduction to the Philosophy of Microphysics, è frutto dello stretto rapporto avuto con scienziati al lavoro come Werner Heisenberg e Jean Piaget e del fatto che ricevette, dopo la pubblicazione di un suo breve scritto del 1971 dove erano esposti alcuni punti di tale suo engagement, numerose lettere di scienziati, interessati anche al rapporto tra scienza e religione, che lo incoraggiarono a proseguire su questa strada da fondare a New York nel 1974 l’Institute for Scientific Humanism.
Umanesimo scientifico
Ma per comprendere meglio l’articolato percorso di ricerca messo in campo da Enrico Cantore ci vengono in aiuto vari articoli pubblicati in vita e scritti inediti messi insieme in Umanesimo scientifico e mistero di Cristo. Raccolta di scritti (1956-2002), a cura di Claudio Tagliapietra, con scritti introduttivi dello stesso e di Giuseppe Tanzella-Nitti (Roma, Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare, EDUSC 2023), che ne ripercorrono i vari momenti col mettere a fuoco i punti nodali nel loro situarsi in modo organico tra scienza, filosofia, esperienza religiosa e lavoro teologico.
Come sottolinea Tanzella-Nitti, pur appartenendo i suoi scritti all’ambito della filosofia della scienza come riflessione epistemologica sui contenuti veritativi della scienza e della fisica in particolar modo, vanno al di là con l’andare «con naturalezza verso il piano antropologico, esaminandone le risonanze in ambito personale e sociale» in quanto il suo non comune «pensare la scienza è principalmente un pensiero sull’attività scientifica, cioè sul lavoro scientifico», fonte di ogni sano discorso sulla scienza per capirne «l’esprit» di fondo che, una volta ben metabolizzato, rafforza le nostre stesse difese razionali portandoci «verso il più vero», come aveva evidenziato l’epistemologo francese Gaston Bachelard.
In tal modo se ne fanno risaltare «le dimensioni umanistiche, esistenziali e religiose» sino a porre le basi di una «filosofia dell’attività tecno-scientifica», ma anche di una «teologia della natura» e di una «teologia della scienza» con l’accostarsi ai percorsi di figure come Pierre Teilhard de Chardin, Pavel Florenskij, Romano Guardini che ritenevano il lavoro scientifico un «nutrimento» per l’esperienza di fede e a Gilbert Simondon per gli importanti studi sul senso della tecnica; tutto ciò portò Cantore nel suo impegno pastorale a fornire alla Chiesa gli strumenti per agevolare la sua missione nei confronti degli ambienti scientifici e a far capire allo stesso mondo dei credenti il ruolo non secondario degli scienziati nella ricerca della verità senza assumere posizioni di carattere apologetico.
La pubblicazione di questi scritti permette di inquadrare meglio sul piano concettuale la fondamentale opera Scientific Man, opera portatrice di una vera e propria «svolta» nel senso di Moritz Schlick, nell’ambito della ricca letteratura epistemologica, la «svolta umanistica» nata sul solco della quotidiana prassi scientifica e a stretto contatto «con alcuni scienziati creativi da avanguardia».
Non a caso tale testo più organico, che dovrebbe accompagnare ogni percorso di studio in una visione inter e transdisciplinare, si segnala per la ricchezza di idee e strumenti concettuali messi in campo nel far comprendere in modo netto ed inequivocabile il fatto che «la scienza in quanto attività vissuta dall’uomo integrale costituisce un modo caratteristico di esperire la realtà e l’uomo stesso» oltre a fornire le più giuste chiavi ermeneutiche per prendere in debita considerazione «la storicità della natura».
Orizzonte sapienziale
La raccolta di tali scritti ha l’obiettivo, pertanto, di portare a confrontarsi con la non comune «eredità intellettuale» di Cantore e con l’attualità del suo pensiero nell’aver posto le fondamenta di «nuovo umanesimo scientifico», frutto dell’aver sviluppato in particolar modo «coerentemente il dinamismo umanizzante contenuto nella complementarità di scienza ed epistemologia» sulla scia delle importanti indicazioni di Einstein, scienziato come Planck e Heisenberg oggetto di continue rivisitazioni critiche.
Emerge in ogni piega dei suoi scritti «un umanesimo scientifico sapienziale», come lo chiamano sia Giuseppe Tanzella-Nitti, con forti ricadute antropologiche con l’introdurre dentro l’attività scientifica tout court le domande di senso considerate da Cantore non estranee ad essa, ma portanti in quanto ivi prendono piede sia come ricerca ed «esperienza dei fondamenti» (experience of ultimates), anche se il metodo scientifico per sua natura non può dare risposte definitive e adeguate, e sia perché ci si trova continuamente col mistero della natura da rispettare e da interrogare; il contatto stretto con i «suoi» scienziati gli ha permesso, infatti, di fare i conti con quello che chiama «shock dell’inaspettato», con «l’altrimenti» come lo chiama Suzanne Bachelard e di dare il dovuto spazio al «presentimento» (Ahnung), nel senso del matematico Hermann Grassmann, di qualcosa che pur non percepibile permette di arrivare ad una nuova verità che dà senso ed unità al percorso intrapreso.
Lo stesso Claudio Tagliapietra evidenzia nel suo scritto tale ‘vocazione sapienziale della scienza’ con l’insistere sul termine «umanizzante» presente nell’intera opera di Cantore che ha puntato sulla sistematica «integrazione tra scienza e uomo» col valorizzare a tal fine sia «il contributo della riflessione filosofica alla scienza che quello della scienza alla filosofia», processo che porta alla ‘pienezza’ dell’uomo e a renderlo «più uomo».
Tali scritti si imperniano così nella prima parte più sull’analisi epistemologica e filosofica della scienza col mettere in evidenza «le prospettive filosofiche della fisica atomica» in base all’analisi dei dibattiti sul principio di complementarità; segue un interessante scritto sulla storia dell’ottica secondo un «approccio genetico» per fare vedere i diversi «atteggiamenti» assunti dagli scienziati in diverse epoche nei confronti dei fatti naturali per arrivare ad evidenziare «la mutevolezza» delle conoscenze nell’essere dei modi «di avvicinarsi all’intelligibilità della realtà legata all’uomo».
Molto pregnante si rivela poi in un altro scritto del 1968, sempre incentrato «sulla comprensione della realtà da parte dell’uomo», il suo dialogo con la psicologia genetica di Jean Piaget nel cercare di stabilire un equilibrio tra scienza e filosofia, dato che lo scienziato-filosofo ginevrino in Saggezza e illusioni della filosofia del 1968 aveva sottolineato le pretese di superiorità di certa filosofia nei confronti delle scienze.
Scienza come vocazione
La seconda parte comprende scritti che illustrano la «vocazione filosofica dell’uomo» e la «scienza come vocazione» per i processi dialogici di «integrazione umanizzante» che mettono in campo e che portano a renderci «coscienti, in modo inatteso, della bellezza e della ricchezza delle cose», con una precisa diagnosi del «significato della crisi umanistica contemporanea»; non poteva mancare un’analisi del «ruolo degli scienziati nella leadership in favore della dignità umana», scienziati che spesso non sono ritenuti consapevoli di questa responsabilità.
A tal proposito Cantore, come sottolinea molto opportunamente Tagliapietra, lancia una precisa sfida col delineare le «coordinate di tale sfida» con un’analisi dei concetti di sviluppo, progresso, tecnologia, professionisti della scienza, tutti elementi che devono mettere in atto processi concreti in tale direzione della dignità, in quanto spesso ci si limita solo agli aspetti tecnici con eroderla.
Nella terza parte si delineano altri elementi fondanti dell’umanesimo scientifico proposto da Cantore col far risaltare «la dimensione religiosa della ricerca scientifica», già evidenziata dal matematico-filosofo Federigo Enriques agli inizi del secolo scorso; a tal fine gli scritti analizzano la «sapienza biblica» e i suoi «aspetti filosofici e intellettuali», il ruolo di «Cristo all’origine della scienza»; molto interessante si rivela il ruolo assegnato all’umanesimo scientifico nel ridefinire i rapporti fra scienza e fede, aspetto questo centrale nella ricca letteratura odierna coagulatosi intorno al movimento Science and Theology.
Molto opportunamente Tanzella-Nitti si interroga su quale potrebbe il suo contributo a tale attuale dibattito e ad altre cogenti problematiche come il rapporto fra «uomo e tecnica» spesso conflittuale, «fra ricerca di spazi per l’umano e società tecnologica» ed in difesa di esso. Ma il pensiero di Enrico Cantore, grazie alla decisa «svolta umanistica» avanzata e svolta che va metabolizzata oggi più che mai nel suo pieno spessore teoretico-esistenziale, può, come viene proposto, essere un invito per la filosofia della scienza, a migrare dalla «critica della conoscenza», nella quale è rimasta confinata per buona parte del secolo scorso (e ancora in quello presente), ad una vera e propria «filosofia dell’agire scientifico e tecnico, che potrebbe mettere in luce il ruolo del soggetto e le dimensioni personaliste della conoscenza».
Ed è questo il lascito etico-antropologico di Enrico Cantore che occorre fare nostro per non svuotare i contenuti veritativi della scienza con i suoi gradi crescenti di intelligibilità del mondo e con essa di noi uomini, accomunati dal fatto, come affermava Simone Weil, che siamo obbligati «a non mentire sul reale» per rafforzare le nostre difese razionali, spesso in balia di ideologie devianti; e forti degli strumenti forgiati da tale umanesimo scientifico, si sarà più in grado di migrare dal piano della conoscenza al piano della vita con avere delle indicazioni su come impostare le nostre scelte strategiche nella nostra era alle prese con inedite sfide globali.
- Dalla rivista online Odysseo, 21 settembre 2023