Potere dell’autorità e autorità del non-potere

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Papa Francesco riceve in udienza i membri accreditati del Corpo diplomatico per i tradizionale scambio di auguri. 9/1/17 (ANSA/L'Osservatore romano)

Papa Francesco riceve in udienza i membri accreditati del Corpo diplomatico per il tradizionale scambio di auguri. 9/1/17 (ANSA/L’Osservatore romano)

Il potere dell’autorità degli stati trova nel papato l’esercizio di un’autorità del non-potere. L’ormai tradizionale distinzione fra corpo politico e corpo ecclesiale si rinnova nell’annuale discorso del papa al corpo diplomatico (9 gennaio 2017) nel contesto della globalizzazione del mercato, di una fragile autorità mondiale (ONU) e del protagonismo delle nazioni e dei risorgenti nazionalismi. Intervento molto coerente con la tradizione diplomatica della Santa Sede (scongiurare i conflitti o accompagnare processi di pace), ma non privo di originali posizioni personali.

Papa Francesco ha scelto l’ottica della sicurezza e della pace, non tanto attraverso l’elenco dei punti critici delle situazioni mondiali, quanto piuttosto con «una parola di speranza, che indichi anche una prospettiva di cammino». La pace, infatti, è «una virtù attiva che richiede l’impegno e la collaborazione di ogni singola persona e dell’intero corpo sociale nel suo insieme». Essa si alimenta del perdono, che risana le ferite e guarisce i rapporti, ed è rafforzata dalla cultura della misericordia, «basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri», come anche dalla solidarietà.

A un secolo dal messaggio di Benedetto XV che, in grande solitudine, qualificò la prima guerra mondiale come «inutile strage», papa Francesco si giova del superamento della pura condanna del moderno e della priorità riconosciuta al diritto sulla forza delle armi espresso in quel documento e declina il sentire ecclesiale per contenere e rovesciare la «guerra a pezzi» di un mondo plurale e senza egemonie riconosciute che vive «un clima generale di apprensione per il presente e di incertezza e di angoscia per l’avvenire».

Sul versante della tradizione diplomatica si possono collocare sia il richiamo ai nuovi rapporti diplomatici (Repubblica islamica di Mauritania) sia i numerosi accordi bilaterali (Congo, Centrafrica, Benin, Timor-Leste; l’Avenant con la Francia, la convenzione fiscale con l’Italia, il memorandum d’intesa con gli Emirati Arabi Uniti, l’attuazione del Comprehensive Agreement con la Palestina).

Anche il fiancheggiamento positivo alle iniziative dell’ONU rientra nell’attenzione consueta. Vengono citati il vertice umanitario mondiale, il vertice sui movimenti di rifugiati e migranti, la firma della Santa Sede alla convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, la prossima conferenza sul disarmo, la recezione dell’accordo di Parigi sul clima.

La focalizzazione di alcune situazioni allarmanti descrive con efficacia i possibili pericoli: in Medio Oriente «il caro popolo siriano», Israele-Palestina (nel quadro «di due stati all’interno di confini internazionalmente riconosciuti»), Iraq e Yemen; in America Latina, Venezuela e Colombia; in Africa, Libia, Sudan, Sud Sudan, Repubblica centrafricana, Congo; in Asia, Myanmar e Corea del Nord; in Europa, Cipro e Ucraina. Un’attenzione specifica è per l’Italia, legata alla Santa Sede «da ovvie motivazioni storiche, culturali e geografiche».

Proprie di Francesco mi sembrano alcune sottolineature. In particolare, il nodo da sciogliere tra fedi e guerra. Vi è, in proposito, una memoria cristiana dolorosa nel contesto europeo di alcuni secoli passati, ma soprattutto vi è oggi un’emergenza mondiale. «Purtroppo siamo consapevoli di come ancor oggi, l’esperienza religiosa anziché aprire agli altri, possa talvolta essere usata a pretesto di chiusure, emarginazioni e violenze». L’elenco delle violenze fondamentaliste è lungo. «Si tratta di una follia omicida che abusa del nome di Dio per disseminare morte, nel tentativo di affermare una volontà di dominio e di potere. Faccio perciò appello a tutte le autorità religiose perché siano unite nel ribadire con forza che non si può mai uccidere nel nome di Dio. Il terrorismo fondamentalista è frutto di una grave miseria spirituale, alla quale è sovente connessa una notevole povertà sociale». Con i conseguenti doveri sia per le autorità religiose, sia per le autorità politiche e civili.

Coerente con il magistero recente la particolare attenzione data ai rifugiati e ai migranti. Ingenti flussi migratori interessano l’Africa, il Sud-Est asiatico, il Medio Oriente. Il diritto di emigrare è connesso alla possibilità dell’integrazione. «Un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti». Non si può ridurre tutto a conteggio numerico. Gli elogi ad alcune nazioni come l’Italia, la Germania, la Grecia, la Svezia (ma anche Libano, Giordania, Turchia, America Centrale ecc.) suona aperta condanna per altri che non sono stati citati. Questi ultimi, preda di facili populismi, la nuova ideologia «che fa leva sui disagi sociali per fomentare il disprezzo e l’odio e che vede l’altro come un nemico da annientare».

Infine, il vecchio continente. «L’Europa intera sta attraversando un momento decisivo della sua storia, nel quale è chiamata a ritrovare la propria identità. Ciò esige di riscoprire le proprie radici per poter plasmare il proprio futuro. Di fronte alle spinte disgregatrici, è quanto mai urgente aggiornare “l’idea di Europa” per dare alla luce un nuovo umanesimo basato sulle capacità di integrare, di dialogare e di generare, che hanno reso grande il cosiddetto vecchio continente. Il processo di unificazione europea, iniziato dopo il secondo conflitto mondiale, è stato e continua ad essere un’occasione unica di stabilità, di pace e di solidarietà tra i popoli. In questa sede non posso che ribadire l’interesse e la preoccupazione della Santa Sede per l’Europa e per il suo futuro, nella consapevolezza che i valori su cui tale progetto, di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario, ha tratto la propria origine e si fonda sono comuni a tutto il continente e travalicano gli stessi confini dell’Unione Europea».

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