Il 7 ottobre di due anni fa il filosofo Salvatore Veca ci lasciava. Inestimabile per me è il valore del suo insegnamento, scoperto grazie al ricordo di un articolo de l’Unità sul “riformismo vero e con riforme”. Ma ad aver generato una vera e propria metamorfosi del modo mio di relazionarmi con i testi e gli autori del passato, anche remoto, è stata la sua lezione sulla prossimità e sulla distanza.
Prima ero come abbagliato dalla passione del presente. Un presente che finiva per frapporsi tra me e i classici, che mi apparivano datati e anacronistici. Dinanzi a essi, in realtà, se davvero diamo retta alla mente e al cuore, proviamo un senso di prossimità e, insieme, di distanza. Il contesto nel quale sono stati concepiti e scritti non è il nostro, certo. Anzi, è dissimile dal nostro.
Da qui la percezione della lontananza: ci raccontano altre storie, con altri protagonisti e altri problemi. Al tempo stesso, tuttavia, ricorrono situazioni, aspetti, fenomeni. Anzi, è sorprendente come i dilemmi, gli struggimenti, le angosce, i pensieri degli umani si presentino più volte, fino ai giorni nostri, a dispetto di secoli o millenni di distanza. È proprio tale duplicità, sono proprio questa prossimità e questa distanza a rendere particolare il nostro rapporto con il passato, con i suoi testi e i suoi autori.
Senza ignorare i messaggi in bottiglia, le lettere a un mondo che generalmente non risponde scritte da sempre da donne e uomini. Lettere e messaggi talora letti dopo secoli, o riscoperti, o diversamente interpretati. Una sorta di dialogo con chi non c’è più e che pure ci ha voluto dire qualcosa, senza conoscerci.
Non a caso, poi, Veca scorgeva nella tensione feconda tra il coltivatore di memorie e l’esploratore di connessioni la via maestra per procedere lungo la strada della conoscenza e del sapere. La tradizione non è un monolito, ma presenta pieghe, increspature, fratture nelle quali può insinuarsi il nuovo, magari stabilendo collegamenti inusuali. Sempre memori, però, di quell’archivio formidabile di possibilità che è il passato.
Il filosofo, inoltre, era sempre attento alle sofferenze e ai tormenti degli umani, in particolare a quelli dei bambini e, ancor più, delle bambine, alle quali in troppi angoli del globo è negato tutto, è negata non di rado la vita stessa. E individuava al crocevia fra parità e differenza l’essenza della questione femminile. Anzi, la sua finezza lo portava a distinguere tra dolore e sofferenza, dove quest’ultima è la declinazione individuale del dolore, il modo soggettivo e irripetibile con il quale viene vissuto da ciascuno e da ciascuna. Grazie, Salvatore.