Davanti alla violenza selvaggia dell’attacco di Hamas a Israele appaiono pienamente giustificati l’orrore e l’incondizionata solidarietà della quasi totalità del mondo occidentale. Una solidarietà che si è immediatamente estesa anche alle reazioni dello Stato ebraico nei confronti dei suoi aggressori. «Israele ha il diritto di difendersi», è stata la frase che è risuonata sulla bocca di politici, di intellettuali, e che anche papa Francesco ha fatto sua.
C’è però, in questa affermazione inoppugnabile, qualcosa di non detto, che andrebbe chiarito e che riguarda i destinatari e le modalità di questa azione di difesa.
Solo un gruppo di terroristi?
«Schiacceremo i terroristi, come l’ISIS», ha promesso Netanyahu. La domanda, però, è se davvero siamo davanti solo a un gruppo di terroristi, di cui i due milioni di persone che vivono nella striscia di Gaza, controllata da Hamas (un milione e duecentomila sono rifugiati palestinesi) sarebbero «ostaggio», come ha sostenuto Giuliano Ferrara alla fiaccolata per Israele.
In realtà, la recente storia di Gaza mette fortemente in dubbio questa narrazione. Gli israeliani (che nel 1967 l’avevano strappata all’Egitto con la «guerra dei sei giorni»), nel 2005 si erano ritirati, lasciandola al controllo dell’Autorità nazionale palestinese, con cui il governo di Tel Aviv, negli accordi di Oslo, aveva stretto un patto già dal 1993. Ma nelle elezioni che si erano tenute l’anno dopo, nel 2006, a vincere non è stata questa frangia, più moderata, bensì proprio il movimento islamico estremista di Hamas, che da allora è al potere.
Un esito dovuto al crescente discredito dell’Autorità palestinese, che, sotto la guida del vecchio presidente Abu Mazen, ha da tempo perduto ogni grinta nella rivendicazione dei diritti del popolo palestinese ed è sempre più affogata nella corruzione. Tanto che oggi, anche in Cisgiordania, l’altro territorio della Palestina dove Abu Mazen è rimasto ancora al potere, evita da anni di indire nuove elezioni perché tutti i sondaggi predicono, in caso si svolgessero, la sicura vittoria di Hamas.
Neanche a Gaza, in realtà, ci sono state, dopo il 2006, nuove elezioni. E sicuramente non si tratta di un regime liberale, come dimostra la sistematica repressione dei diritti delle donne – sulla stesa linea dell’Iran, lo Stato islamico sciita a cui Hamas è più vicino – e in generale di tutti gli oppositori.
Un popolo di disperati
Ma a compattare dietro il suo governo il popolo della Striscia è venuto in soccorso, contro le proprie intenzioni, proprio Israele che, per reazione ai risultati elettorali del 2006, ha imposto un embargo totale sulla regione, con un soffocante controllo delle persone e dei beni in entrata o in uscita, determinando una condizione avvilente di dipendenza e un ulteriore impoverimento degli abitanti.
La Croce Rossa internazionale ha dichiarato l’illegalità di questa politica, che comportava una «punizione collettiva per le persone che vivono nella Striscia di Gaza» – due milioni di esseri umani –, trasformandola in quella che lo scorso anno l’organizzazione non governativa Human rights watch ha definito «una prigione a cielo aperto», ma senza esito.
Così, la rabbia sociale – esasperata da queste misure spietate e dalla colpevole inerzia dell’Autorità palestinese –, ha spinto le nuove generazioni nelle braccia di Hamas che, a questo punto, ha finito per esprimere la disperazione di un popolo senza speranza. Alla fine, oggi è questo popolo il vero bersaglio dell’azione di «difesa» di Israele.
Lo è, del resto, anche per motivi logistici. «Bisogna liberare Gaza anche con le bombe, anche con i carri armati, anche con l’esercito», ha gridato tra gli applausi scroscianti Giuliano Ferrara nel suo infiammato discorso. Ma, in un territorio che è fra i più densamente popolati del mondo, con due milioni di persone stipate su una superficie di 360 km quadrati, le bombe sono inevitabilmente destinate a colpire prevalentemente i civili. Il bilancio di sei giorni di raid aerei sulla Striscia è di più di 1.500 morti, di cui 500 bambini.
Così è stato peraltro per l’embargo imposto da Israele nel 2007. Così è adesso per il blocco totale di carburante, acqua e luce con cui lo Stato ebraico ha risposto all’attacco di Hamas. A soffrire non sono certo solo i «terroristi», ma la povera gente, uomini, donne e bambini, che sono allo stremo. Anche gli ospedali comunicano di non riuscire più a fare funzionare, senza elettricità, le loro apparecchiature, a cominciare da quelle delle sale operatorie e dalle incubatrici per salvare la vita ai neonati.
È strano che tanti acuti osservatori occidentali – giornalisti, personalità politiche, intellettuali – giustamente inorriditi davanti alla «strage degli innocenti» perpetrata da Hamas, non abbiano nulla da obiettare, anzi in molti casi plaudano, a questo massacro dei bambini e delle donne palestinesi.
Su questa linea di spietata violenza verso la popolazione si colloca anche l’ultimo ordine dato dal comando militare israeliano, che ha intimato lo sgombero entro 24 ore del nord della Striscia. In questo modo, la povera gente di questa zona – un milione di esseri umani, di cui molti erano già stati cacciati dalla loro terra, presa dagli israeliani, e vivevano lì da rifugiati – viene costretta, da un giorno all’altro, ad abbandonare le proprie case, le proprie povere attività lavorative, il proprio mondo (cf. qui sul sito dell’ISPI − ndr).
Un antiterrorismo che somiglia al terrorismo
Ma con questo siamo anche davanti alla risposta alla seconda domanda, quella relativa alle modalità. Qualche giorno fa, un quotidiano fuori dal coro ha titolato: «Scatta l’antiterrorismo. Assomiglia molto al terrorismo». Dove la differenza tra guerra e terrorismo è che la prima è pur sempre soggetta a delle regole, stabilite a livello internazionale, e ha come bersaglio il personale militare nemico, per distruggerlo, mentre il secondo regole non ne ha e, piuttosto che a sconfiggere un esercito mira a terrorizzare la popolazione civile.
Ora, in realtà questa è la tattica di Hamas, che non può certo competere con l’apparato militare di Israele, ma – come ha fatto anche nell’ultimo attacco – si propone di colpire l’avversario seminando paura. Ma finisce per essere molto simile a questa anche la tattica dello Stato ebraico, che sa bene di non poter colpire al cuore i combattenti di Hamas – protetti da una rete i 45 km di gallerie sotterranee fortificate – con i suoi raid aerei, ma infligge alla popolazione palestinese, oltre alle bombe, una serie di privazioni e di disagi, nella speranza (rivelatasi, come si è visto prima, fallace) di distaccarla dall’organizzazione armata, senza rendersi conto di fare così proprio il suo gioco.
Rientra in questo stile anche il ricorso, da parte dell’aviazione israeliana, ad armi vietate dalle convenzioni internazionali, come le bombe al fosforo bianco, vietate dalle convenzioni internazionali perché provocano tremende ustioni e, in chi sopravvive, gravi patologie.
Se i bambini ebrei bruciati da Hamas destano il nostro orrore, non meno ne provoca il pensiero che ce ne siano tanti palestinesi che stanno subendo in questi giorni la stessa sorte. Una tragica simmetria di mostruosità, che però, assurdamente, non trova riscontro nelle valutazioni dell’opinione pubblica occidentale, giustamente scossa dalla prima, stranamente insensibile alla seconda.
L’importanza della memoria
Ma i drammatici eventi di questi giorni vanno compresi alla luce di una storia, che non può certo essere invocata per attenuare l’assoluta condanna delle atrocità commesse da Hamas, anche se aiuta a capire la loro origine.
Una storia che comincia nel 1947, quando una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite stabilì la costituzione e la convivenza di uno Stato ebraico e di uno palestinese. Gerusalemme sarebbe stata invece una zona internazionale.
Anche se né palestinesi né israeliani hanno mai accettato questa spartizione, i primi perché si sentivano derubati di una terra che per quasi duemila anni avevano abitato e da cui ora erano cacciati, i secondi perché vedevano in essa la possibilità di un ritorno alle loro origini e la volevano tutta.
In realtà, più di settantacinque anni dopo, quella risoluzione resta disattesa. Lo Stato palestinese non è mai nato e i territori che avrebbero dovuto essere suoi, secondo la risoluzione dell’ONU, sono illegalmente occupati da Israele, tranne la striscia di Gaza e parte della Cisgiordania, che però non hanno neppure una continuità territoriale. Quanto a Gerusalemme, essa è stata proclamata da Israele, nel 1980, capitale di Israele.
Per di più, nei territori che ancora restano ai palestinesi e che sono sotto il suo controllo, il governo israeliano, in questi anni ha moltiplicato i nuovi insediamenti di coloni, violando ulteriormente la risoluzione dell’ONU. Dal 2002, poi, il governo israeliano, con una decisione condannata dalla Corte di Giustizia e dall’Unione Europea, eretto in Cisgiordania un muro fortificato di più di 300 km che separa i più importanti territori palestinesi della Cisgiordania da Israele, separando le famiglie e le comunità che abitano e lavorano da una parte e dall’altra del muro.
Le Nazioni Unite hanno esplicitamente dichiarato illegali, in più occasioni, queste evidenti prevaricazioni, senza che però né Israele, né i suoi alleati – primi fra tutti gli Stati Uniti – ne tenessero alcun conto.
Ultimamente, poi, il presidente Netanyahu – alle prese con pesanti accuse di corruzione e bisognoso, per sfuggire al processo, di rafforzare il consenso della destra estrema, ne ha avallati altri, andando questa volta contro il parere anche del presidente Biden, che vanamente ha cercato di dissuaderlo. Poi il diluvio. Che però, come dovrebbe essere chiaro, non è venuto «a ciel sereno».
Per combattere i mostri
«Il sonno della ragione genera mostri», ha scritto Goya. Dall’una e dall’altra parte, in questo spietato conflitto ne sono stati scatenati parecchi, con costi umani spaventosi. Non si risolve il problema cancellando la memoria e riducendo tutto, come si cerca di fare, a un fenomeno di «terrorismo».
Hamas non è l’ISIS, perché ha dietro di sé un popolo i cui diritti sono stati riconosciuti dall’ONU e sistematicamente calpestati.
A sua volta, non si può pretendere di partire, come fa Hamas, dalla premessa che Israele non ha il diritto di esistere. Solo un reciproco riconoscimento – che a Oslo, per un momento sembrava essere stato realizzato – può costituire una vera soluzione.
Bisogna rafforzare, sia da parte israeliana che da parte palestinese, le frange – che pure esistono – delle persone ragionevoli, in grado di riaprire il dialogo. Ogni giustificazione di comportamenti disumani, da una parte e dall’altra, è un favore fatto alla festa dei mostri.
- Dal sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu), 13 ottobre 2023
P.S.: per un errore involontario (uso di pc condiviso) nei due posti precedenti, il mio nome appare sbagliato (Giacomo è sempre la stessa persona: cioè Christian)
Gentile signor Savagnone, la ringrazio per la sua risposta che tuttavia non chiarisce i miei dubbi personali. Preciso ad ogni modo quanto segue:
1) non credo sia del tutto corretto affermare che Hamas abbia vinto le elezioni politiche a Gaza nel 2007 dal momento che non ha raggiunto la maggioranza assoluta dei votanti (meno della metà degli aventi diritto) e non può pertanto considerarsi come rappresentativa della maggioranza assoluta dei palestinesi dell’epoca. E’ stata anzi tale situazione a spingere Hamas ad impadronirsi violentemente del potere eliminando (anche fisicamente) gl avversari politici di Al Fath (che aveva ottenuto ben il 41% dei voti alle elezioni a fronte del 44% degli avversari). Già dall’inizio del suo dominio Hamas aveva già chiarito come intendeva agire politicamente: eliminando subito gli avversari, qualunque essi fossero. Va a tal proposito tenuto presente che Hamas riconosce esplicitamente come propria ragion d’essere e operare la distruzione dello Stato d’Israele (di qui la barbarie degli omicidi dei bambini fatti appunto per spegnere le speranze nel futuro….).
2) Nutro forti dubbi sul fatto che Hamas goda oggi del sostegno della maggioranza degli abitanti della Striscia di Gaza (e più in generale dei palestinesi, che vivano essi nella West Bank o in Israele). Il suo regime di terrore si scatena innanzitutto sugli abitanti di Gaza che obbediscono oppure muoiono. Non hanno scelta e se pure ci fosse il dissenso sarebbe eliminato violentemente. Hamas non è rappresentativa del popolo palestinese: credere o far credere questo è frutto di ignoranza storica oppure (peggio) di connivenza con quelli che non solo altro che terroristi senza scrupoli.
3) Che Abu Mazen non indica elezioni in Cisgiordania (come fanno i terroristi di Hamas a Gaza) è ovviamente legato alla sua debolezza politica e anche alla mancanza di alternative credibili. Sta innanzitutto ai palestinesi selezionare e sostenere una classe politica in grado di rendere credibile a tutto il mondo il progetto di un loro futuro Stato democratico, libero e soprattutto pacifico. Sta poi magari anche a Israele fare in modo che tale progetto prenda forma riconoscendolo e sostenendolo. Ma questa è un’altra storia. Personalmente (e questo è il punto, secondo me) legare le azioni di un gruppo terroristico sanguinario come Hamas (che dei palestinesi se ne infischia) alle politiche repressive di Israele confonde i piani di comprensione della realtà. Hamas va eliminata come minaccia terroristica ormai planetaria. Sta poi a Israele e ai palestinesi “di buona volontà” cambiare profondamente i modi di rapportarsi tra loro per trovare una soluzione al conflitto che li oppone. Questa è almeno la (mia) speranza.
Non mi piace mai replicare punto a punto; non lo farò neppure in questa occasione. Lo trovo appunto puntiglioso ed improduttivo, proprio di chi si attacca alle parole, piuttosto che ad i concetti. Lei non dice cose sostanzialmente scorrette, ma la maggior parte di esse sono sue interpretazioni, sue letture; rispettabili come tali e come ogni altra opinione, ben s’intende, ma tali rimangono anche se a tratti condivisibili. Resta che generalmente parlando i popoli oppressi, e che per ovvietà non possono guerreggiare ad armi pari con i loro oppressori, mettono in atto azioni aggressivo-difensive volte più ad esternare rabbia che non a sostanziare prospettive politiche. Della Palestina nessuno parla. Le risoluzioni ONU 181, 194, 242, 338 sono carta al macero. Fatah e le altre forze politiche moderate non hanno avuto alcuna voce e, sostanzialmente, non hanno ottenuto nulla; mi pare incontestabile. Se la mediazione diplomatica della politica moderata non ottiene nulla cosa resta, le domando? Non possiamo quindi trascurare che il popolo, non terrorista per antonomasia, possa vedere in queste rappresentanze aggressive e violente l’unico modo di canalizzare la frustrazione dell’oppressione, la rabbia, e di far parlare di sé ad un mondo che l’ha dimenticato ed ha dimenticato, nel suo riguardo, l’effetività del diritto internazionale, che pare valere solo per alcuni, ma non per tutti. Quando non c’è rispetto della legge, non c’è legge per nessuno e non ci si deve meravigliare se qualcuno, pur sbagliando, pensi di farsi giustizia da sé. Non ci si può meravigliare. La storia è talmente piena di esempi sui generis che penso non valga la pena farne, ma una condizione come quella palestinese è forse unica: innumerevoli volte illusi e innumerevoli volte calpestati nelle dignità fondamentali.
Grazie per il suo intervento. Va da sé che, per qual che vale la mia opinione, non seguo in nulla il suo ragionamento. Avevo fatto solo presente quella che ritengo essere una distinzione fondamentale: quella cioè tra l’atteggiamento verso un movimento terroristico che ambisce a distruggere uno Stato legittimo e sovrano (Israele) al fine di instaurare nella regione mediorientale un regime ispirato alla svaria, e l’atteggiamento verso le aspirazioni del popolo palestinese ad avere un proprio (e pacifico) Stato. Non pretendo che tale distinzione venga da tutti accettata, ma mi sembra basilare per avere una comprensione più profonda e pacata del complesso conflitto in corso. Il mio solo interesse è che si giunga alla pace, per quanto oggi ciò appaia impossibile. Non mi interessa alimentare il circolo della violenza additando chi tra i due contendenti ha “torto” o ha “ragione”
Grazie a lei della sua cortesia e del suo impegno, che percepisco sincero. Condivido: la pace è il desiderata che ci accomuna, ma si può raggiungere solo attraverso un’analisi in prospettiva storica. Il punto è, mi devo ripetere in altre parole, che se la legge, parlo di quella internazionale, non vede applicazione super partes, evidentemente emergono questioni. Gli insediamenti in Cisgiordania sono illegittimi; mi si deve perdonare: se è vero che Israele è uno stato legittimo e sovrano, una democrazia, altrettanto è vero che la Cisgiordania ed il popolo palestinese è vessato a casa propria. Cosa è più legittimo od illegittimo? Dov’è l’origine della distorsione che si manifesta in questa asimmetria? Se la diplomazia non ottiene risultati grazie alla legge, cosa rimane a questo popolo? Gli estremismi nascono, crescono e proliferano su questi terreni, c’è poco da fare. Hamas è dov’è perché ha trovato terreno per crescere. Il PKK, per fare altro esempio, nasce per medesimi motivi. Mi piacerebbe poter pensare che Hamas sia seccamente estirpabile dal popolo palestinese, un corpo estraneo a sé stante, ma temo non sia così semplice: Hamas è parte di una situazione molto complessa la cui origine affonda nella violenza, subita, prima che agita. Questo bisognerebbe non dimenticarselo.
Gentile Sig. Christian, prendo atto con piacere che la sola «inesattezza storica» che lei mi rimprovera è l’aver affermato che Hamas ha vinto le elezioni del 2006, dato che in realtà subito dopo lei stesso riconosce assolutamente vero, con la riserva che non ha avuto la maggioranza assoluta. («non credo sia del tutto corretto affermare che Hamas abbia vinto le elezioni politiche a Gaza nel 2007 dal momento che non ha raggiunto la maggioranza assoluta dei votanti»). Mi sembra sufficiente per dire che non si tratta solo di un semplice “gruppo terroristico”, di cui popolazione di Gaza è “ostaggio”. Neanche i partiti del nostro governo hanno avuto la maggioranza assoluta dei voti, ma rappresentano sicuramente gli italiani. Peraltro, concordo pienamente col suo giudizio molto negativo su Hamas e sul suo stile di lotta. Ma nel mio articolo ho cercato di spiegare che è stata la cecità di Israele e dei suoi alleati occidentali a spingere moltissimi palestinesi ad abbracciare questa linea estremista e fondamentalista. Su chi dovevano contare? Su Israele, che ha continuato a fare nuovi insediamenti abusivi sulla loro terra e altri ne stava per fare proprio in questi giorni, mirando esplicitamente a cacciarli via del tutto? Sugli Stati Uniti, alleati di ferro di Israele da sempre? Sull’ONU, incapace da decenni di far rispettare le varie risoluzioni di condanna di Israele? La scelta che hanno fatto i palestinesi che hanno appoggiato e appoggiano Hamas è stata sbagliata, ma qual era quella giusta (possibile)?
Ci tengo innanzitutto a ringraziarla per la risposta e per il tono pacato della nostra discussione, non è scontata di questi tempi. Abbiamo opinioni diverse in merito. Io resto persuaso che Hamas non rappresenta il popolo palestinese (anche perché a questi terroristi interessa poco e nulla delle persone,sono ideologizzati a tal punto che massacrano a prescindere dall’identità delle vittime). Riguardo poi agli errori politici di Israele (a partire dalla colonizzazione della West Bank) penso che siano reali ma che non rappresentino la sola causa della mancanza di un Stato palestinese. E ad ogni modo la scelta della violenza, specie nella forma radicale del terrorismo contro civili, è sempre controproducente. Il vero dramma dei palestinesi, a mio avviso, è (oltre al disinteresse nei loro confronti di cui danno prova in primis i Paesi arabi) la mancanza di una classe dirigente autorevole, competente e decisamente schierata per la pace. Ma la situazione è ovviamente molto complessa. Ora la priorità è (secondo me) bloccare la spirale dell’odio e della violenza distruttrice.
Sì, la ringrazio anche io per il bel dialogo, che come ben esprime è cosa rara di questi tempi in cui tutto è farraginoso ed ogni cosa viene posta su un terreno di faziosità. Peraltro non guasta scrivere, oltre che con buon tono, in buono stile; anche questa cosa mi permetto di dire è rara. Ho compreso il suo punto di vista. Sì, certamente Hamas gioca una “partita doppia”; da un lato vuole essere alfiere della libertà degli oppressi e valvola di sfogo di una rabbia definibile atavica, dall’altro indubbiamente impersona puramente una deriva violenta, la cui violenza, appunto, non guarda in faccia a nulla, neppure al proprio sangue. Determinare in che misura queste due componenti si confrontino è secondo me molto difficile, per non dire improbabile. Mi sto convincendo che se la comunità internazionale accoglierà la richiesta da sempre elusa della creazione dello stato palestinese, Hamas verrà prestamente cancellata dall’interno. C’è desiderio di pace, di vita, di speranza per un futuro nuovo. Accogliere le istanze del popolo palestinese toglierà il carburante ad i violenti. Se Israele ha avuto ben donde di cui temere, date le continue e ripetute aggressioni dei paesi islamici confinanti, svolte più per interessi nazionali che non per il condursi di una vera “crociata” pro Palestina, bisogna riconoscere che gli accordi di Camp David del ’78 furono un passaggio importantissimo, ma non colto. Condivido che la Palestina non abbia mai espresso grosse personalità, forse a parte Arafat; l’OLP, val la pena ricordarlo, nacque ella stessa come movimento armato e violento, per poi stemperarsi grazie al coinvolgimento in apparenza serio dell’Occicente. Forse le personalità non emergono perché nessuno lo permette. Credo profondamente che per sconfiggere Hamas sia necessario, rapidamente, risolvere la questione dello stato palestinese; se verrà fatto, una buona misura del terrorismo islamico, tout court, non solo quello di Hamas, si sgretolerà.
Ma davvero quest’articolo è apparso in prima versione sul sito di una diocesi cattolica? Perché,a parte le numerose inesattezze storiche e le conseguenti e discutibili interpretazioni, arrivare ad affermare cose del tipo “dietro Hamas c’è un popolo” vuol dire nel concreto dare legittimità alla tesi cardine di un gruppo terrotistico che rivendica appunto (in modo pretestuoso) di agire in nome di un popolo quando uccide e massacra civili. Non so allora se ciò che è scritto sia solo frutto di ignoranza storica e politica oppure se al fondo vi sia anche una “pregiudiziale” nei confronti degli israeliani
Prego il sig. Giacomo di dire quali sono «le numerose inesattezze storiche e le conseguenti e discutibili interpretazioni» a cui si riferisce. Quanto all’affermazione che «dietro Hamas c’è un popolo», essa si fonda sul dato che le uniche libere consultazioni elettorali svoltesi nella Striscia di Gaza hanno portato al governo i suoi rappresentanti. E’ vero, non si sono da allora più ripetute. ma, se il sig. Giacomo avrà la bontà di informarsi, apprenderà che secondo tutti gli osservatori (occidentali) il motivo per cui Abu Mazen non le fa neanche lui, in Cisgiordania, è che i sondaggi prevedono una sicuro successo di Hamas anche là. Nell’articolo spiego che questo non legittima in alcun modo la logica criminale di Hamas, di cui si devono con chiarezza denunciare la folle ferocia e il cieco fanatismo, ma alla assurda politica di repressione e di prevaricazione di Israele nei confronti del popolo palestinese, mai bloccata dalle potenze occidentali, che lo ha spinto – per disperazione – nelle braccia di questo movimento estremista. Il fermo rifiuto dell’antisemitismo non comporta l’approvazione incondizionata della politica di Israele, specialmente quando a guidarla, da molti anni, è un governante che molti suoi concittadini ebrei giudicano corrotto e antidemocratico come Netanyahu.