Dal discorso del Santo Padre del 4 Ottobre 2023, all’apertura del XVI Sinodo ordinario, emergono sentimenti di speranza, ma anche di preoccupazione. L’appello allo Spirito santo del Papa è sincero, insistente, con riferimenti precisi (non è un parlamento, non è una riunione di amici) per invocare quell’armonia divina, origine della fede cristiana e della Chiesa.
Nuovo itinerario
In data 24 aprile 2021, è stato approvato un nuovo itinerario sinodale per la XVI Assemblea Generale Ordinaria. Lo scopo, come ricordato nel discorso del Papa per il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo (17 Ottobre 2015) è ben definito: «Le differenti fasi del processo sinodale renderanno possibile l’ascolto reale del Popolo di Dio (…) non è un solo evento, ma un processo che coinvolge in sinergia il popolo di Dio, il Collegio episcopale e il Vescovo di Roma, ciascuno secondo la propria funzione».
Al di là delle preghiere e degli auspici, il Sinodo è rimasto una convocazione di chierici: cardinali, vescovi, preti, suore con la presenza di uno sparuto gruppo di laici e laiche (15%), indicati dalle autorità ecclesiastiche. Seguendo la costituzione di Paolo VI (15 settembre 1965), il Sinodo è «un’assemblea di Vescovi i quali (…) prestano aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi» (CIC can. 342).
Con la Costituzione apostolica Episcopalis communio del 18 settembre 2018 papa Francesco ha apportato strutture significative per la celebrazione sinodale. Sono state portate a termine le fasi diocesane, nazionali e continentali, accompagnate dall’Instrumentum laboris, da questionari e da sintesi.
Il 4 Ottobre 2023 si è aperta la terza fase della celebrazione del Sinodo, tuttora in corso. La nuova impostazione sinodale è da lodare per lo sforzo di partecipazione di tutti i battezzati. Definirla come partecipazione piena del popolo di Dio alla vita della Chiesa è una forzatura. È l’inizio di un processo.
Mancano i contenuti di come la fede cristiana oggi possa essere proposta. Ritorneranno i «volti clericali» della teologia e dell’organizzazione ecclesiastica. Lo schema fondante, anche dopo il Concilio, è legato a sintesi precedenti, appena teologicamente scalfite dal Concilio, non ancora tradotte in realtà. Sorge il fondato dubbio che il Sinodo non possa essere strumento adeguato alla partecipazione, pure desiderata.
Leggendo i nomi dei partecipanti viene la tristezza del raduno di rappresentanti «governativi» della Chiesa: una specie di assemblea dell’ONU, anche se le intenzioni sono tutt’altre. I nostri parrocchiani, parlando di Sinodo, non capiscono oppure rispondono «roba vostra». Il metodo rimane deduttivo: questa è la verità che tentiamo di correggere. Il metodo induttivo è sperimentare comunione e partecipazione, per arrivare a correggere comportamenti e istituzioni.
I volti clericali
I volti che si incontreranno (e scontreranno) al Sinodo sono già definiti e operanti, si possono riassumere:
- Teologici
- Istituzionali
- Pastorali
- Movimentisti
- Popolari
Non occorrono molte parole per descriverli. La tendenza teologale appella alla «verità». Gli aggiornamenti immobili da secoli sono avvenuti in termini nominali, non sostanziali. Non si tratta di negare le verità, ma di renderle autentiche oggi; non si può appellare semplicemente alle sintesi medioevali. La creazione, la redenzione, la sacramentalità, la grazia, il peccato, il male, la morte non possono essere affrontati con concetti e linguaggi incomprensibili.
La ricerca teologica (difficile) è bloccata negli istituti preposti; esercitazioni per pochi ascoltatori. La liturgia è resa sterile, con nessuna possibilità di partecipazione emotiva, con il rischio di perdere la sostanza dei contenuti (curioso e buffo il dibattito se, nella liturgia, si possono battere le mani: cf. qui su SettimanaNews). Il principio dell’ortodossia è diventato ossessivo, così da imporre (senza risultati) i modi di pensare, di pregare, di cantare, di agire così come predeterminato.
La corrente istituzionale appella all’autorità: necessaria, ma anche invadente, superflua, spesso molto poco umana e discutibile. Il modo di agire è aggressivo e non dialogante. Le strutture ecclesiastiche sono le stesse del Concilio di Trento. Il clero è insieme maestro, gestore e santificatore. Più spesso maestro e gestore, meno santificatore (gli scandali economici e sessuali sono distruttori di autorità più di quanto si creda).
La pastorale ondeggia tra regole e misericordia. Le difficoltà sono enormi. La religiosità è messa all’angolo, per demeriti e per culture post-moderne. La voce del Papa è ascoltata se si innesta sulle preoccupazioni vitali dei popoli. La fede non è guida, ma, eventualmente, conferma. La vita dello spirito è marginale e opzionale, a esclusivo giudizio individuale.
La corrente movimentista agisce nei propri confini. Porta del bene, ma è chiusa a chi non vi appartiene. Produce frutti, soprattutto per le vocazioni, ma non si occupa di non credenti. Nuclei attenti a sopravvivere; non sempre affidabili nel vasto mondo che richiama il «carisma»; un generico anello di congiunzione tra intuizioni umane e il sacro.
Infine, la pietà popolare: è forse antica, arcaica, fanciullesca, ma anche sincera. Ha radici solide, frammista a eventi e contenuti non sempre teologicamente difendibili. Si poggia su emozioni che le moderne catechesi non riescono a suscitare.
Attese
L’attesa per le sintesi di quest’anno del Sinodo e per il prosieguo del 2024 prossimo è alta e piena di speranza. Il desiderio è di una Chiesa che recuperi le due dimensioni essenziali di ogni fede: la lode a Dio, la reciprocità nel rispetto di sé e degli altri.
Gli esempi dell’amore a Dio sono dati dalle preghiere dei Salmi. Riescono a mescolare la natura, gli animali, le persone, il popolo in un coro che riconosce e loda il creatore e salvatore.
Il Padre nostro (ma anche i 10 comandamenti e il Magnificat) mettono sempre insieme la duplicità inscindibile della dimensione spirituale e di quella fraterna. Il resto sono dettagli che possono essere lasciati ai tempi e ai luoghi, senza preoccuparsene più del dovuto. Una specie di spoliazione che smantelli, o almeno attenui, le preoccupazioni di organizzazioni umane sempre imperfette.
Come sempre don Vinicio è chiaro e lucido. Per me questo sinodo non solo manca di un sostrato teologico, ma manca di un sana e spirituale immaginazione ecclesiale (https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2023/08/sul-sinodo-2.html). Tra una settimana ne sapremo qualcosa in più con la lettera al popolo di Dio che questo sinodo invierà.
Se tutto è stato già detto non servono Concili, Sinodi o altro, basta il catechismo di S. pio X. Ma non è così
Condivido in pieno e aggiungo che spero non sia “l’inizio della fine” della CC, ma “la fine dell’inizio”. Cosa sono duemila anni nella la storia umana? Certo, abbiamo fatto, nel bene e nel male, più in questi duemila che in tutti i precedenti millenni, ma abbiamo l’umiltà di sentirci gli epigoni di una storia che deve cambiare e cambierà rotta, prima di tutto uscendo dal patriarcato, imparando a guardare con due occhi e non solo con il maschile. Finché questo cambio non ci sarà, cambio che con altre e altri intravedo ma non posso certo conoscere, sarà un mettere pezze più o meno nuove su un vestito sdrucito, fatto passare per buono solo perché antico e un tempo bello e ricco. Il Sinodo darà i frutti che una riunione tra maschi celibi (con qualche donna e maschi non celibi) può dare. Frutti non necessariamente cattivi, ma tremendamente parziali, non solo nel senso che saranno “di parte”: oggi più che mai abbiamo invece bisogno di uno sguardo il più inclusivo possibile, che sia la somma di più sguardi possibili. E per quanto il Sinodo sia presentato come universale, come ben ha spiegato l’autore dell’articolo, non lo è, purtroppo.
È proprio questo il problema.
La parola definitiva della storia dell’umanità è già stata detta e quella parola è Gesù Cristo.
Nessun sinodo di maschi celibi o di femmine coniugate potrà cambiare questo fatto.
Non è una questione di abiti, di forme di governo o di patriarcato.
Se non si crede in questo, nella definitività della rivelazione cristiana, allora ci stiamo prendendo tutti in giro.
Ma se fosse così, la teologia non esisterebbe, e neanche quella che chiamiamo storia della Chiesa, che di cambi ne ha visti molti, in tutti i sensi e in tutti i campi: sacramentale, liturgico, teologico, pastorale e così via.
Non è la prima volta che ho modo di leggere don Vinicio Albanesi sia in queste pagine che altrove. Ne lodo ed apprezzo la lucidità e la visione. Ne apprezzo anche la sincerità e chiarezza, impossibile fingere o equivocare. Mi ritrovo nelle sue parole, analisi, atteggiamento generale. Vivo questo sinodo mio malgrado dall’esterno e lo vivo con alternanza di speranza e delusione. Proprio come lui, mi sembra. Rilevo che Francesco inizia qui un processo che non terminerà (non deve terminare) nell’ “apoteosi” del 2024. I processi si distendono nel tempo e procedono lentamente con risultati si spera duraturi. Chi si aspetta da lui l’autoritario decisionismo romano di sempre resterà deluso. Chi attende riforme calate dall’alto sarà ugualmente deluso. La riforma non sarà e non potrà essere un “Motu proprio” papale. Per me va bene così. Mantengo tenacemente la speranza che lo Spirito ci aiuti tutti a superare i blocchi che rendono quasi impossibile una vera riforma e un cambio di mentalità, che ci scuota dall’immobilismo nostalgico di tempi che non erano neppure buoni.