Medio Oriente e mondo post-secolare

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La tragedia che si sta vivendo in Palestina ci interroga, e non solo per le conseguenze di quegli eventi. Più volte le religioni sembravano sul punto di estinguersi, per poi riproporsi. Perché?

L’essere umano non è, non può essere solo homo oeconomicus, orientato alla razionalità e all’impiego ottimale del proprio tempo e delle proprie risorse. Vi sono anche le ineludibili domande sul senso della vita: perché tutto questo? A che pro? In vista di cosa?

La grande narrazione marxista sembrava aver coniugato i due aspetti: scientificità del metodo, dunque razionalità, e risposta a una domanda di senso. Tanto che si facevano non di rado “scelte di vita” orientate da quel grande faro.

Oggi, ecco il punto, i due aspetti paiono di nuovo scissi: da un lato vi sono i “racconti”, anche piccoli piccoli, come quelli che circolano sui social, e le suggestioni, dall’altro vi è una razionalità prosaica che individua e prova a cogliere il carattere complesso dei problemi e dei dilemmi.

Una razionalità, un paradigma della complessità che illuminano ma non seducono, al cospetto di narrazioni, anche assai elementari e ingannevoli (si pensi, da noi, al regno sconfinato delle fake news), che esercitano un maggior appeal, pur se prive di basi razionali. Per non dire dell’internazionale del terrore.

Beninteso: i discorsi di fede non vanno confusi con le fake news o con il fanatismo e, per dirla con Blaise Pascal, “il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”. Né andrebbero sottaciuti gli interessi economici e le complicità inconfessabili che alimentano il fenomeno integralista, la violenza, il terrore globale.

Per superare l’impasse, così a me sembra, occorre una sorta di patto della ragionevolezza. Non la rivendicazione del primato di una presunta razionalità scientifica, bensì prove di dialogo e di traduzione tra prospettive e istanze differenti. Orizzonti anche lontani che provano a darsi un terreno comune, condiviso. Quello che John Rawls definiva consenso per intersezione; quelle che, forse con una visione ancora più articolata, Jürgen Habermas chiama “traduzioni”. In nome della ragionevolezza.

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