Proprio in queste settimane sto studiando l’inizio dell’Umanesimo, negli ultimi decenni del Trecento e nei primi del Quattrocento, e i suoi rapporti con le istituzioni universitarie dell’epoca. Quelle istituzioni che insegnavano le arti liberali del Trivio e del Quadrivio e le arti maggiori del Diritto, della Medicina e della Teologia. A ciò ho subito pensato dinanzi alla morte di Luigi Berlinguer, giurista e politico, di cui tutti ricordano, appunto, il profondo umanesimo.
Di tanto in tanto visitavo il suo sito web, dal quale emergeva, in effetti, una visione rinascimentale del sapere e della cultura: le origini familiari di Antonio Gramsci accanto a una disquisizione giuridica, un commento politico accanto a un riconoscimento accademico.
Tutte le linee immaginarie, che divengono spesso gabbie e confini rigidi, fra le varie aree disciplinari restavano in lui proprio linee utili a orientarsi, senza impedire di vivere e assaporare l’unitarietà del sapere e dell’esistenza stessa. Si coglieva in lui la formazione giuridica: un’attitudine, un approccio attento ai particolari e pronto a discernere, ma sempre rispettoso dei fatti, poco incline ai sofismi o a filosofare “in libertà”.
E, nello stesso tempo, la passione politica si faceva in lui passione per l’uomo, per l’essere umano; attenzione verso i problemi e le fragilità degli umani, lotta a sostegno dei deboli, dei minimi, degli ultimi e dei penultimi.
Lotta che poteva trasferirsi nel Palazzo e tradursi in cultura di governo. Non a caso molti ricordano la sua figura di ministro. Egli era espressione, senza dubbio, di quella sorta di egemonia culturale (uso tale espressione per la sua efficacia: la realtà era assai più articolata e complessa) della sinistra e del Pci nell’Italia del dopoguerra.
E, nello stesso tempo, è stato fra coloro che hanno appreso anche dai propri errori, ponendo ad esempio l’accento su idee-forza quali il merito, l’autonomia scolastica, la flessibilità dell’offerta formativa, pur nello sforzo costante di includere i ragazzi e le ragazze.
Per uno di quei paradossi di cui sono colme la vita e la storia, poi, toccò proprio a lui, all’umanista, superare il paradigma risalente a Giovanni Gentile, basato essenzialmente sul primato dell’istruzione classica. Dimostrandosi un novatore. Compiendo, naturalmente, anche degli errori, come accade sempre quando si innova. Errori emendabili con l’esperienza.
In lui, poi, convivevano e si armonizzavano un radicato principio di laicità e un’attenzione costante al mondo cattolico e, più in generale, all’universo religioso. Tratto, questo, comune anche a Enrico e Giovanni Berlinguer, suoi cugini; tratto di famiglia.
Con lo stile e l’aria di un signore d’altri tempi, insomma, ha incarnato il cambiamento. Come ha incarnato il rispetto delle istituzioni, coniugato però con l’attenzione costante verso ciò che si muove e freme fuori di esse.