Sono molti i piani e temi che si incrociano tra loro nell’improvviso viaggio del presidente di Justitia et Pax tedesca, mons. Heiner Wilmer, in Terra Santa.
Dalla memoria della Notte dei cristalli, che ricorre in data odierna, alle ondate di antisemitismo che stanno scuotendo le nostre società; dall’attacco terroristico di Hamas contro Israele alle sofferenze e innumerevoli vittime della popolazione palestinese nella striscia di Gaza. Si tratta di un «viaggio di solidarietà con tutte le persone in Terra Santa» (comunicato JeP) – di un vescovo e non di un politico, ma che comporta inevitabilmente anche dei risvolti politici.
In primo luogo quello del ruolo delle religioni davanti alla violenza – come sottolinea mons. Wilmer: «mi auguro che nel corso dei colloqui e incontri che avrò in questi giorni sia possibile anche porre la questione del ruolo delle comunità religiose in vista del superamento della violenza e del raggiungimento di una pace sostenibile nella regione».
Oltre a visite a luoghi simbolo, come quelle avvenute stamattina a Yad Vashem e alla basilica del Santo Sepolcro, sono previsti una serie di incontri con rappresentanti delle chiese cristiane, con ebrei e musulmani. A Gerusalemme, Tel Aviv e presso il Lago di Tiberiade vi saranno poi dei colloqui di carattere politico e ulteriori incontri con i rappresentanti delle comunità cristiane, musulmane ed ebraiche.
Particolare importanza ha, per mons. Wilmer, l’incontro con il patriarca della Chiesa latina card. Pizzaballa.
Ricordando a Yad Vashem la Notte dei cristalli, mons. Wilmer ha affermato che «il 9 novembre è un giorno di silenzio, riflessione e memoria – ma anche di una chiara presa di posizione pubblica contro l’antisemitismo. In questi giorni l’antisemitismo sta mostrando molti volti. L’esistenza dello stato di Israele viene messa in questione con brutale violenza. Ebrei ed ebree si trovano esposti a minacce e discriminazioni in tutto il mondo.
È per me un dolore profondo che tutto ciò stia avvenendo anche in Germania. Ancora una volta ebrei ed ebree diventano come lo schermo di proiezione per problemi profondamente radicati. Troppe persone non riescono a superare la tentazione oscura di accollare a loro la colpa per cose di cui non sono responsabili. (…) Dobbiamo essere onesti e fronteggiare queste bugie e false attribuzioni. Fa parte di quella necessaria onestà, che ci è richiesta ora, ricordarsi che per tempi troppo lunghi anche la Chiesa ha favorito sentimenti antigiudaici».
Ricordando la figura di Oskar Schindler, che ha vissuto per alcuni tempi nel territorio della sua diocesi di Hildesheim, mons. Wilmer ha messo in guardia dal non cadere troppo facilmente in una falsa consolazione religiosa della memoria. «La memoria deve essere accompagnata da una autoriflessione critica su quello che noi dobbiamo alle vittime e alle persone che soffrono esattamente in questi giorni. Oggi ricordiamo con cordoglio a tutte le persone che, a partire dall’attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre, sono morte o sono state ferite. Facciamo lutto anche per tutta la popolazione civile innocente che è stata uccisa nella striscia di Gaza. Ricordiamo che gli esseri umani stanno soffrendo da entrambi i lati del confine».
Tutti coloro che sono oppressi ingiustamente hanno diritto alla nostra solidarietà pratica. L’immagine del buon samaritano, scelta da papa Francesco come chiave di lettura di Fratelli tutti, deve diventare principio dell’agire cristiano in momenti come questi. Impegnandosi a «rendere sicure le vie che vanno da Gerusalemme a Gerico, e impedendo che i banditi possano mettere mano alle loro azioni».
In territori dove i cristiani sono una piccola minoranza, proprio da loro può venire un apporto significativo per una pacificazione della regione: «sono persuaso che già fino ad adesso i cristiani in Israele e Palestina hanno dato un contributo importante per una convivenza pacifica – e che giocheranno un ruolo importante anche nel futuro».
In questa prospettiva, appena giunto a Tel Aviv, mons. Wilmer ha ribadito che la soluzione promossa da tempo dalla Santa Sede di dare vita a due stati sia quella che getta le basi per una pace duratura in questa parte del Medio Oriente: «Non sono un politico. Non ho nessuna soluzione miracolosa per risolvere un conflitto che si trascina da decenni. Ma sono convinto che una sicura statualità di Israele e una sicura statualità della Palestina deve rappresentare la base per una pace futura».