«Fabula de te narratur». I miti raccontano di noi e, per questo, insegnano. I miti esistono perché gli esseri umani ne hanno bisogno. Ma i miti, proprio perché tali, nulla hanno a che fare con la realtà.
È un po’ quel che accade con il sogno americano e con l’uomo che più di tutti, dal secondo dopoguerra ad oggi, ne è stato l’emblema: John Fitzgerald Kennedy. Il suo carisma, il fascino dell’idea – elevata a sistema – che ciascun uomo, qualunque siano le sue origini, con il duro lavoro e la determinazione, possa riuscire a raggiungere il benessere economico e una buona posizione sociale, si sono radicati nella memoria collettiva di chi visse quegli anni e nel lavoro degli storici come una stagione irripetibile, che riguardava il mondo intero.
Il mito di Kennedy
Correvano i primi anni ’60 del Novecento: chi ne è stato testimone ricorda le speranze legate ai grandi temi dei diritti civili e sociali, all’apertura della Chiesa cattolica alla scienza e al dialogo delle diverse fedi, alla crescita economica, all’uguaglianza tra i popoli, alla messa in archivio dei residui ideologici post-bellici.
Allo stesso modo, dagli archivi della memoria, ripesca le figure forti di Martin Luther King, Nikita Kruscev, papa Giovanni XXIII.
Nella cornice di quel tempo, JFK segnò indubbiamente una presenza indelebile, artefice di una Nuova Frontiera che aprì ma non riuscì a realizzare, consapevole delle barriere da abbattere, a partire dal suo Paese ma anche dei muri ideologici, retaggio della seconda guerra mondiale.
Ad esempio, durante il discorso d’insediamento alla Presidenza, tenuto il 20 gennaio 1961, pronuncia la celebre frase: «Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro paese».
La Nuova Frontiera non è fatta di promesse elettorali, ma di coinvolgimento degli americani a favore della loro nazione.
Kennedy viene affiancato da uno staff di consiglieri, che rappresentano il meglio del mondo dell’economia e della cultura, elaborando – e in parte attuando – una serie di proposte che racchiudono il senso e la sfida del suo mandato presidenziale: intervento pubblico in economia per sostenere l’occupazione; sussidi di disoccupazione; lotta alle diseguaglianze e alle discriminazioni razziali, apertura del dialogo col blocco sovietico nell’ottica della costruzione di un sistema di pace perché – asseriva – «parlare di pace deve essere l’unico scopo razionale di ogni uomo razionale» (e quanto ce ne sarebbe bisogno oggi, nella cornice di un disordine mondiale in cui spiccano, tra i tanti, i conflitti aperti dall’invasione dell’Ucraina e dall’aggressione di Hamas a Israele, con tutto il seguito di terribili di morti civili e, drammaticamente, troppi bambini!).
Sono i tratti di una democrazia partecipata ed estesa a tutte le fasce di popolazione, cifra di un manifesto politico di fatto ancor oggi fondamento di un concetto di democrazia insuperato.
Il mito finisce nel sangue? Invocando l’Ade e le tenebre – riferisce Plutarco – i Persi pestano nel mortaio una certa erba che essi chiamano “omomi”, la mescolano col sangue d’un lupo sgozzato e gettano il tutto in un luogo non illuminato dal sole. Come in questa tradizione mitica, tutto o quasi finisce nel sangue, sangue il 22 novembre del 1963.
Il giorno in cui viene ucciso, JFK ha 46 anni. La sua morte, lentamente, segna l’amara e dolorosa constatazione di una realtà cupa e violenta, del fatto che l’America non era poi tanto diversa da altri Paesi, come pretendeva di essere nella sua vagheggiata purezza. Un risveglio traumatico non tanto (o comunque non solo) sul piano politico o sul terreno del confronto internazionale, ma nel privato di una nazione e dei suoi abitanti: l’intima presa di coscienza della fine dell’età dell’innocenza.
Il pendolo della vita, nelle sue oscillazioni, si è poi spinto a tratteggiare il volto di un’America non più terra dei sogni, ma addirittura causa di ogni male: ingeneroso, ingiusto, falso. Ma di quel sogno americano kennedyano perdura, se non altro, la sua vitalità. E tutto sommato, nell’epoca dei miti fugaci e non più solo falsi, non è poco.