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Liberia: democrazia e fair play politico
“Democrazie nate morte” – scriveva l’editoriale di novembre della rivista J’écris, je crie parlando dei regimi democratici in Africa. I redattori esprimevano così ciò che è ben noto: la difficoltà degli Stati africani ad assimilare i principi fondamentali della democrazia.
Tuttavia, sebbene sia opinione comune che la democrazia fatichi ad attecchire in Africa, ci sono Paesi che hanno fatto buoni progressi. La Liberia è uno di questi.
Dopo una lunga guerra civile e numerosi colpi di stato, questo piccolo Stato dell’Africa occidentale di circa cinque milioni di abitanti può ora affermare di aver compiuto un importante passo avanti. Come tutti sappiamo, uno dei tratti distintivi di uno Stato che si definisce democratico è l’alternanza ai vertici dello Stato stesso e nelle altre istituzioni. Quindi non sono le persone a essere forti, ma le istituzioni. Detto questo, che dire delle questioni politiche in gioco?
Dopo le elezioni del 2017, Joseph Boakai si è rifatto vincendo al secondo turno delle elezioni presidenziali del 14 novembre. Il 78enne veterano della politica liberiana è stato ufficialmente dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali lunedì contro l’uomo che lo aveva battuto sei anni fa. Ha vinto con il 50,64% dei voti, contro il 49,36% di George Weah – ha annunciato lunedì alla stampa Davidetta Browne Lansanah, presidente della Commissione elettorale (NEC), dopo lo spoglio di tutte le schede.
Poco prima della pubblicazione dei risultati finali, il presidente in carica, Georg Weah, ha ammesso la sconfitta e si è congratulato con l’uomo che gli succederà alla guida del Paese. «Questa sera il CDC ha perso le elezioni, ma la Liberia ha vinto. Questo è il momento dell’eleganza nella sconfitta» – ha dichiarato Weah, ex stella del calcio eletta nel 2017, in un discorso alla radio di Stato. «I risultati annunciati stasera, anche se non definitivi, indicano che Boakai ha un vantaggio che non possiamo recuperare. Ho parlato con il presidente eletto Joseph Boakai per congratularmi con lui per la sua vittoria» – ha concluso Weah.
Ci voleva sportività. È stato fair play politico. Come ex giocatore di calcio, Georg Weah lo sa. Infatti, la democrazia, secondo il principio dell’alternanza, ha bisogno di questo spirito per facilitare il trasferimento pacifico del potere, in accordo con la volontà del popolo. Ricordate: le elezioni non devono essere fonte di psicosi per il popolo perché c’è un vincitore e un vinto. E Georg Weah lo ha capito. E se, alla fine, questa ex stella del calcio stesse inviando un messaggio forte ad altri Paesi africani, in particolare alla Repubblica Democratica del Congo, che il mese prossimo terrà elezioni con una posta in gioco importante?
- Yanick Nzanzu Maliro
Congo: campagna elettorale in clima di guerra
La Repubblica Democratica del Congo è una democrazia giovane. Solo nel 2006 il Paese di Lumumba ha tenuto le prime elezioni, che hanno messo in piedi istituzioni che avrebbero dovuto incarnare la volontà del popolo – vox populi, vox Dei.
Dopo un buon periodo di transizione con un sistema atipico 1+4 – cioè un presidente con quattro vicepresidenti, tutti ex ribelli che brandivano la lancia della balcanizzazione -, il Paese ha avuto un presidente eletto: Joseph Kabila Kabange. Giovane, fresco erede di Mzee Laurent Désiré Kabila, il giovane Joseph incarnerà la speranza di rivedere un Paese unito – unito nello spirito dell’inno nazionale congolese: «Uniti dal destino, uniti nello sforzo e nel bene, prendiamo il più bel slancio…».
Un giovane alla guida di un Paese meraviglioso, era bello e promettente. La politica dei «Cinque cantieri» di Joseph Kabila divenne la parola d’ordine della vita nazionale. Alla fine del suo primo mandato, seguito da un secondo, fu chiaro che il Paese era ancora solo un’opera in divenire. Qualcosa era iniziato, ma nulla era stato completato. Era per lasciare il lavoro ai successori? Si potrebbe pensare di sì.
Da allora si sono succeduti i poteri. Con o senza grandi risultati, l’unica risposta possibile è la fame e la sete del popolo congolese, in un contesto in cui si convive con la guerra, in cui i governi governano qualcosa di diverso dal benessere del popolo, in totale contraddizione con le loro promesse elettorali.
Ancora una volta, è tempo di iniziare la campagna elettorale. Nella Repubblica Democratica del Congo è in corso dal 19 novembre la propaganda elettorale per le elezioni del 20 dicembre 2023, al termine delle quali il presidente uscente, Félix Tshisekedi Tshilombo, o uno dei suoi sfidanti dell’opposizione, prenderanno le redini del potere. Tuttavia, la domanda sorge spontanea: in quale contesto si svolgeranno queste elezioni?
E la risposta è lì: nel bel mezzo di una campagna di guerra, naturalmente, mentre i “Wazalendo” (patrioti volontari) combattono i ribelli dell’M23 a sostegno delle FARDC (Forces Armées de la République Démocratique du Congo).
Si tratta di due campagne contraddittorie. Non si combatteranno a vicenda? Ci sono tutte le ragioni per credere che, a parte la situazione sociale del popolo congolese, la principale posta in gioco in queste elezioni sia la guerra nell’est del Paese. È questa la spina nel fianco di Félix Tshisekedi, che cinque anni fa dichiarò alla popolazione sofferente di Beni: «Mi sentirò veramente Presidente solo quando avrò messo fine alla guerra a Beni».
Cinque anni dopo, la realtà è indescrivibile. Inoltre, la guerra è diventata virale: si è diffusa fino alle porte della capitale del Nord Kivu, Goma, dove i ribelli dell’M23 occupano i territori limitrofi da quasi un anno.
Lanciata quasi una settimana fa, la campagna elettorale ha visto i candidati alla Presidenza della Repubblica girare per le cittadine e le grandi città del Paese, mentre i candidati a deputati nazionali e provinciali e i consiglieri comunali (capoluoghi di provincia) promettono agli elettori nelle loro circoscrizioni la manna dal cielo.
In totale sono 21 i candidati in lizza per succedere al potere a Kinshasa al presidente uscente Félix Tshisekedi Tshilombo, subentrato a Joseph Kabila cinque anni fa nel primo passaggio di consegne di questa giovane democrazia ancora in crescita.
Anche se sono così tanti, ventuno, i pochi giorni di campagna elettorale avranno mostrato che i candidati che si distinguono sono solo due: il presidente uscente Félix Tshisekedi Tshilombo e Moïse Katumbi Chapwe, ex governatore del Katanga e ricco uomo d’affari congolese, ammirato dai giovani congolesi per la sua leadership nel calcio (è infatti il presidente del famoso club congolese Tout-Puissant Mazembe de Lubumbashi).
Mentre il presidente uscente Félix Tshisekedi Tshilombo ha recentemente dichiarato a «Radio France Internationale» di non temere l’avversario Moïse Katumbi Chapwe, la realtà dimostra che è in corso una vera e propria battaglia, uno scontro tra titani.
Ovunque vada, Katumbi trascina dietro di sé maree di persone. A Kindu, un membro della polizia ha sparato contro un membro di «Ensemble pour le changement» (il partito di Moïse Katumbi) al suo passaggio in questa zona, roccaforte dell’ex primo ministro Augustin Matata Ponyo, candidato alle presidenziali che si è recentemente alleato con Moïse Katumbi. La campagna elettorale è ancora in corso e qui tutte le promesse sono ammesse. In tempi di propaganda, ci si può prendere in giro da soli, si potrebbe dire.
In questo contesto, vale la pena di notare il braccio di ferro tra il governo congolese e la missione di osservazione dell’Unione Europea (UE) recentemente giunta a Kinshasa. Alla base del contenzioso ci sono le incomprensioni tra il governo congolese, che a torto o a ragione rivendica la propria sovranità, e la missione di osservazione dell’Unione Europea, che denuncia la malafede del governo che non le permette di utilizzare tutte le sue risorse tecniche (telefoni e satelliti) per combattere i brogli elettorali – ormai consueti nella maggior parte dei Paesi africani, con un indegno disprezzo per la volontà del popolo.
Insomma, le elezioni nella Repubblica Democratica del Congo si svolgono in un contesto particolare. Ma c’è ancora speranza che i risultati riflettano la volontà del popolo congolese.
- Blaise Mukama
Libéria : Faire du fair-play politique
“Des démocraties mort-nées” : “J’écris, je crie”, parlant des régimes démocratiques en Afrique, intitulait ainsi l’éditorial de son numéro de ce mois de novembre. Ces rédacteurs exprimaient tout simplement ce que d’aucuns n’ignorent : la difficulté pour les États africains d’assimiler les principes fondamentaux de la démocratie. Toutefois, si l’on s’accorde à affirmer sans risques d’être contredit que la démocratie peine à prendre chair en Afrique, il y a des pays qui, du reste, ont fait du bon chemin. Et le Liberia en est un. En effet, au sortir d’une longue guerre civile et de maints coups d’État, cet petit État de l’ouest de l’Afrique d’environ cinq millions d’habitants peut aujourd’hui se prévaloir d’avoir marqué un grand pas. Nous le savons bien ; l’une des caractéristiques d’un État qui se dit démocratique est l’alternance au sommet de l’État et dans les autres institutions. Ici les hommes ne sont donc pas forts mais les institutions. Ceci dit : que dire de ses enjeux politiques de l’heure ?
Après les élections de 2017, Joseph Boakai fait la revanche en remportant au second tour des élections présidentielles du 14 novembre dernier. Ce vétéran de la politique libérienne Joseph, âge de 78 ans a été officiellement déclaré vainqueur de la présidentielle lundi face à celui qui, il y a six ans, l’avait battu. Il l’a emporté avec 50,64% des voix, contre 49,36% de voix pour George Weah, a annoncé lundi devant la presse madame Davidetta Browne Lansanah, présidente de la commission électorale (NEC), après dépouillement de tous les bulletins de vote. Peu avant la publication des résultats finaux, le président sortant, Georg Weah, avait reconnu sa défaite en félicitant celui qui, désormais, lui succédera à la tête du pays. ” Ce soir, le CDC [Congrès pour le changement démocratique] a perdu l’élection, mais le Liberia a gagné. C’est le temps de l’élégance dans la défaite », a déclaré Weah, ancienne gloire du foot élue en 2017, dans un discours à la radio publique. “Les résultats annoncés ce soir, bien que non finaux, indiquent que Boakai a une avance que nous ne pouvons rattraper. J’ai parlé au président élu Joseph Boakai pour le féliciter pour sa victoire”, a conclu Weah.
De la sportivité, il en a fallu. C’est du fair-play politique. En tant qu’ancien joueur de football, Georg Weah l’a bien compris. En effet, la démocratie, conformément au principe d’alternance, a besoin de cet esprit pour faciliter la passation pacifique du pouvoir, et ce, conformément à la volonté du peuple. Rappelons-le : les élections ne doivent pas être pour le peuple une source de psychose parce qu’il y aurait un gagnant et un perdant. Et Georg Weah l’a bien compris. Et si finalement cette ancienne gloire du football envoyait un message fort aux autres pays africains, la République Démocratique du Congo notamment qui, le mois prochain, procédera aux élections aux enjeux majeurs ?
- Yanick Nzanzu Maliro
Campagne electorale en campagne de guerre
La République Démocratique du Congo est une jeune démocratie. Ce n’est qu’en 2006 que le pays de Lumumba organise ses premières élections qui mettront sur place des institutions censées incarner la volonté populaire puisqu’en fait, vox populi, vox Dei. Après une bonne période de transition avec un système atypique – le 1+4 – , c’est-à-dire un président avec quatre vice-présidents, tous d’anciens rebelles qui brandissaient la lance de la balkanisation, le pays aura un président élu : Joseph Kabila Kabange. Tout jeune, de sang neuf, héritier du Mzee Laurent Désiré Kabila, le jeune Joseph incarnera l’espoir de revoir un pays uni, solidaire selon le voeu de l’hymne nationale congolaise : “Unis par le sort, unis dans l’effort et pour de bon, prenons le plus bel élan…”. Un jeune à la tête d’un merveilleux pays, c’était beau et prometteur. La politique “Les cinq chantiers ” de Joseph Kabila devint le maître-mot de la vie nationale. Un premier mandat terminé, puis un second, l’on en vint à se rendre compte que ce n’était resté que des chantiers. On avait amorcé quelque chose, sans, au final, rien achever. Etait-ce pour laisser du boulot aux successeurs ? Il y aurait de quoi le penser en riant, en s’en moquant tout de même.
Depuis, des pouvoirs se succèdent. Avec ou sans grands résultats, il n’y a que la faim et la soif des congolais qui constituent une possible réponse dans un contexte où l’on cohabite avec la guerre, où les gouvernements gouvernent autre chose que le bien-être des peuples en parfaite contradiction avec les promesses électorales.
Voici encore une fois venir le temps de battre campagne. C’est la propagande électorale en République Démocratique du Congo depuis le 19 Novembre pour le scrutin du 20 Décembre 2023 à l’issue de laquelle soit le président sortant Félix Tshisekedi Tshilombo soit un de ses challengers de l’opposition prennent les rennes du pouvoir. Cependant, il y a lieu de s’interroger : Dans quel contexte se passeront ces élections ? Et la réponse est là : dans la guerre, en pleine campagne de guerre entendu que les “Wazalendo”(les patriotes volontaires) combattent les rebelles du M23 en appui aux FARDC (Forces Armées de la République Démocratique du Congo). On a à faire à deux campagnes contradictoires. Ne vont-elles pas se combattre ? Tout porte à croire, tout montre qu’outre le social des congolais, l’enjeu principal de ces élections demeure la guerre à l’Est. Cette dernière est l’épine dans les bottes de Félix Tshisekedi, lui qu’il y a cinq ans avait déclaré au peuple meurtri de Beni : ” Je ne me sentirai vraiment président que lorsque j’aurai mis fin à la guerre de Beni “. Cinq ans après, la réalité est indescriptible. Bien plus, la guerre est devenue virale : elle s’est paisiblement étendue aux portes de la capitale du Nord-Kivu, Goma, où depuis près d’un an, les rebelles du M23 occupent des territoires avoisinants.
Lancée depuis près d’une semaine, la propagande fait promener les candidats présidents de la République dans les villes et grandes agglomérations du pays pendant que les candidats députés nationaux, provinciaux ainsi que les candidats conseillers municipaux (cfr chef-lieu de province) promettent le ciel aux électeurs dans leurs circonscriptions restreintes.
Au total 21 têtes d’affiche prétendent prendre le pouvoir à Kinshasa, le reprendre des mains du président sortant Félix Tshisekedi Tshilombo qui, il y a cinq ans, avait pris la suite de Joseph Kabila, une première passation du pouvoir dans cette jeune démocratie obligée de grandir.
S’ils sont aussi nombreux, vingt-un, les quelques jours de propagande auront montré qu’il n’y a que deux candidats qui ressortent : le président sortant Félix Tshisekedi Tshilombo et Moïse Katumbi Chapwe, l’ancien gouverneur du Katanga et riche homme d’affaires congolais, admiré par la jeunesse congolaise de par son leadership dans le football. Il est le chairman du réputé club congolais, le Tout-Puissant Mazembe de Lubumbashi.
Alors que le président sortant Félix Tshisekedi Tshilombo a récemment déclaré, sur les ondes de la Radio France Internationale, n’avoir pas peur de l’opposant Moïse Katumbi Chapwe, la réalité montre qu’il y a une vraie bataille, un choc des titans. Partout où il passe, Katumbi traîne derrière lui des marées des populations. Et ici, notons que quelques incidents suspects se sont révélés : à Kindu, un élément de la police a tiré à balles réelles sur un cadre de “Ensemble pour le changement ” ( parti de Moïse Katumbi ) lors du passage de l’opposant dans ce coin, fief de l’ancien premier ministre Augustin Matata Ponyo, candidat à la présidentielle, qui s’est récemment allié à Moïse Katumbi. La campagne se poursuit et ici, toutes les promesses sont permises. En période de propagande, trompe qui peut, dirai-on.
À côté de ce décor, il y a lieu de relever le bras de fer qui a opposé le gouvernement congolais à la mission d’observation de l’Union Européenne (UE ) arrivée depuis peu à Kinshasa. À la base, des mésententes entre le gouvernement congolais qui brandit, à tort ou à raison, sa souveraineté et la mission d’observation de l’Union Européenne qui dénonce la mauvaise foi du gouvernement en ne lui permettant de mettre en oeuvre tous ses atouts techniques (téléphones et satellites) envue de lutter contre la fraude électorale, devenue monnaie courante dans la plupart d’Etats africains au mépris indigne du voeu des populations.
Bref, les élections en République Démocratique du Congo se passent dans un contexte particulier. Mais, l’espoir reste permis de voir les résultats des urnes refléter la volonté du peuple congolais.
- Blaise Mukama