Prendendo in esame, sia pure solo a volo d’uccello, le altalenanti vicende del cristianesimo in Europa, non si può certo affermare che siano state intrise di volontà di capirsi e di operare assieme da parte delle diverse Chiese. Tutt’altro… controversie, polemiche, apologetica, steccati e barriere di ogni tipo, lotte aperte, o almeno duro proselitismo tra i fedeli delle Chiese altre! E poiché ciascuno identificava senza discussioni la propria confessione con l’unica Chiesa abilitata a mediare la salvezza per i propri membri, qualsiasi riunificazione non sembrava possibile che con la conversione dell’altro.
Qui, ci limitiamo ad affrontare le due spaccature più clamorose, a partire da quella fra cristianesimo orientale e occidentale del 1054. Da dove nasce? L’origine profonda di quella ferita non ancora rimarginata risiede in primo luogo nelle vistose differenze fra l’universo mentale e culturale romano e quello orientale, accentuatesi durante l’Alto Medioevo: tanto che si è potuto scrivere che la separazione tra Chiesa latina e Chiesa bizantina rappresenterebbe «l’esempio più evidente del predominio dei fattori non teologici nelle divisioni della Chiesa» (F. Lovsky). Tanto più che – fra l’altro – entrambe confessavano la stessa cristologia calcedonese!
Oriente e Occidente
Da una parte, intanto, l’uso del latino, che peraltro non sopprimerà l’influenza germanica delle cosiddette invasioni barbariche; dall’altra, il greco, la lingua del Nuovo Testamento e con cui era stato evangelizzato l’Occidente, che ha assorbito nel tempo la maggior parte delle altre lingue. Da una parte, un pensiero segnato da modeste preoccupazioni intellettuali; dall’altra, una riflessione caratterizzata piuttosto da speculazione e astrazione. Da una parte, una civiltà poco popolata e con città in crisi, economia semplificata, ridotti il ricorso alla moneta e gli scambi commerciali; dall’altra, un’urbanizzazione crescente che valorizza commercio e scambi internazionali. Fino a condurre quelle che erano state le due metà del più potente impero mondiale a ignorarsi a vicenda, soprattutto a partire dal settimo secolo. A considerare progressivamente l’altro mondo come un vero e proprio corpo estraneo, non solo sul piano politico. Si era venuto a creare, reciprocamente, un autentico fossato psicologico.
Negli anni, il fossato sarebbe ulteriormente aumentato. Fino a causare un sostanziale capovolgimento di prospettive rispetto alla situazione precedente, nel senso di una sorta di complesso di superiorità da parte della nuova Roma rispetto a quella antica. Così, a Costantinopoli si legge sempre più la condizione della latinitas come quella di una civiltà declinante, dominata dai barbari; non si recepisce quello che, nell’altra porzione dell’ecumene cristiano, è ritenuto un magistero indiscusso, quello di sant’Agostino; si segue un diverso calendario liturgico, differenti giorni di festa e digiuno, mentre i ministri di culto vivono in un modo distante da quello dei colleghi latini.
Anche sul versante politico si creano opzioni divaricanti, con gli imperatori orientali spinti a estendere il proprio influsso sull’Italia meridionale e i papi che cercano, e ottengono, protezione presso i potenti re franchi. Tanto che quando, nella notte di Natale dell’800, papa Leone III sistema la corona imperiale sul capo di Carlo (poi Magno), da parte di Costantinopoli s’interpreta l’evento nel modo peggiore possibile: come un tradimento dell’identità imperiale. Cosa che incrinerà definitivamente le relazioni fra Roma, l’imperatore d’Oriente e, a cascata, con quella Chiesa. Ed è proprio sotto Carlo che l’antica professione di fede detta niceno–costantinopolitana comincerà a essere declamata con regolarità, durante le messe di quella porzione d’impero, con l’aggiunta della locuzione fatale sulla processione della terza persona della Trinità, lo Spirito Santo, non solo dal Padre, ma anche dal Figlio (ecco il Filioque!).
Se in genere si tende ad attribuire a quell’aggiunta il carattere di una provocazione, fino a considerarla la causa prima della rottura definitiva, in verità – dunque – molte altre si possono considerare le tappe della progressiva separazione fra i due microcosmi religiosi in questione.
L’irruzione di Lutero
Seconda rottura. L’irruzione di Martin Lutero avviene nella vicenda ecclesiale di un Cinquecento già assai squassato dalle enormi novità prodotte da quella che andrebbe chiamata più conquista che scoperta dell’America. Aprendo immaginari inattesi, frantumando convinzioni teologiche plurisecolari, lasciando presagire che andasse riscritta una consistente porzione di antiche certezze, religiose e non solo. Meno inattesa, in realtà, avrebbe dovuto risultare l’impresa di quel giovane e inquieto monaco originario di Eisleben, nato nel 1483, divenuto magister artium, poi eremitano di sant’Agostino e prete a dispetto di non poche perplessità familiari.
Non va sottovalutato, peraltro – pur senza sminuire la gravità della frattura del XVI secolo – il fatto che l’Europa latina avesse smarrito il senso dell’unità della Chiesa ben prima dell’opera del Riformatore per eccellenza: e conviene ricordare che le divisioni appaiono in piena luce quando sono in corso già da tempo.
Meno inattesa, si diceva, perché l’esigenza di una radicale revisione delle strutture ecclesiastiche veniva da lontano, sintetizzata in tre grandi questioni ampiamente disattese: la causa reformationis, cioè l’eliminazione di enormi irregolarità ecclesiali; la causa fidei, con relativa lotta contro le eresie; e la causa unionis, cioè la ricostituzione dell’unità della Chiesa, messa in discussione non solo dalla storica lacerazione con l’Oriente ma anche nel cuore dell’Occidente.
Grazie a un buon numero di studi al riguardo, oggi sappiamo che, da una parte, nessuno dei riformatori possedeva una reale intenzione di fondare una nuova Chiesa, muovendosi piuttosto nel solco dell’antico adagio Ecclesia semper reformanda est; e che, dall’altra, la teologia di Lutero non fu l’opera di una singola personalità, sia pur di grande rilievo. Essa va infatti inserita in un movimento spirituale e religioso all’epoca assai ampio, oltre che sparso per l’intera Europa, compresa l’Italia. Tanto che varie personalità destinate ad avere più tardi un ruolo determinante in quella che, tradizionalmente, è considerata la risposta cattolica all’azione luterana (la Controriforma o Riforma cattolica, a seconda dell’ottica adottata), e in particolare al concilio di Trento, stavano sviluppando pensieri analoghi a quelli riformistici (i cardinali Contarini, Morone e Seriprando). È certo, quindi, che le domande su cui rifletteva Lutero fossero le stesse cui tanti altri credenti cercavano di dare risposta: su una religiosità evangelica, una teologia rinnovata e una riforma ecclesiale/ecclesiastica.
Lund
Infine. Nel panorama tardomedievale e nel linguaggio teologico del tempo, Lutero ha anticipato esperienze moderne, soprattutto nell’insegnamento sul Dio nascosto: tanto che «molti cattolici oggi neppure sanno quanto essi nel loro cuore pensino e vivano luteranamente» (H. Pesch). È vero che nello svilupparsi della controversia non mancarono da entrambe le parti degli irrigidimenti, e che la politica, come capita spesso, ha perseguito con la Riforma anche i propri interessi, così che Trento, giunto troppo tardi, non ha concesso spazio a un’ipotesi di riconciliazione: ma ciò non ci dovrebbe portare oggi a chiudere le orecchie di fronte alle tesi luterane (di cui quest’anno viene celebrato il cinquecentenario).
D’altra parte, se per evitare complicazioni ci riferiamo in genere alla Riforma e alla Controriforma, resta il dato che la Riforma non è stata un blocco unico, così come il protestantesimo che ne è scaturito; e, malgrado le apparenze, questo vale anche per il cattolicesimo controriformistico, che ha conosciuto divergenze e attinto da sensibilità diverse. Il che prova, a ben vedere, quanto tali movimenti facessero appello alla coscienza cristiana e all’interiorizzazione della fede. Nonostante simili riletture, e a dispetto del lungo mezzo secolo che ci separa dal concilio Vaticano II, è stata, non lo si può negare, una scelta audace, sia da parte dei leader luterani sia da parte di papa Francesco, quella di celebrare insieme l’inizio di questo anno speciale, dedicato a Lutero, il 31 ottobre e 1° novembre 2016.
L’evento si è svolto nell’austera cattedrale romanica di Lund, nella Svezia meridionale, per un omaggio alla località in cui è nata la Federazione Luterana Mondiale (FLM), oltre che per ricordare l’antica presenza evangelica in terra scandinava. La presenza del papa era una novità assoluta: è stata la prima volta nella storia che un pontefice ha partecipato pubblicamente alla celebrazione della Riforma, che da Roma è stata, per oltre quattro secoli, condannata come eretica e giudicata, fino al decreto conciliare Unitatis redintegratio (1964), deviante rispetto alla verità cristiana. Ma questa non era l’unica ragione di interesse. Come ha colto bene il pastore valdese Paolo Ricca in un’intervista concessa in vista dell’avvenimento, un altro motivo è che il papa, recandosi a Lund, ha continuato il processo di decentralizzazione rispetto a Roma, già da lui da tempo avviato, ad esempio recandosi in Centrafrica a inaugurare il Giubileo straordinario della misericordia. «L’unità cristiana – ha detto Ricca –, secondo questo papa, si costruisce camminando insieme, ma non si direbbe che questo cammino comune porti necessariamente a Roma. Non c’è dubbio che il viaggio del papa a Lund contribuisca ad avvicinare cattolici e luterani, ma non nel senso di riportarli tutti all’ovile romano».
Brunetto Salvarani ci accompagna lungo la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani con un medaglione quotidiano, nella rubrica «Unitatis redintegratio». È docente di Teologia della missione e del dialogo presso la Facoltà teologica dell’Emilia Romagna. Dirige il movimento e rivista CEM Mondialità e la rivista trimestrale QOL (di cui è anche cofondatore), nata per dare voce alla ricerca biblica, al mondo dell’ecumenismo, al dialogo ebraico-cristiano. Dirige inoltre la collana della EMI Parole delle fedi. È membro del comitato editoriale della trasmissione Rai Protestantesimo.