Mercoledì 13 dicembre 2023, poco dopo le otto – ora italiana – i 198 Paesi della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, hanno raggiunto un risultato storico alla ventottesima Conferenza delle Parti, la COP28 di Dubai.
Per la prima volta il mondo decide di porre fine all’era dei combustibili fossili, gas, petrolio e carbone, partendo subito e con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica – il famoso Net Zero – entro il 2050.
«Transitioning away»
Erano in molti, noi compresi, a pensare erroneamente che la giornata sarebbe stata una lunga giornata di attesa. L’ultima bozza di testo negoziale disponibile aveva sollevato critiche di molti dei Paesi – la maggioranza – favorevoli a impegni più ambiziosi per l’eliminazione dei combustibili fossili.
Tra le tante voci, quella che è risuonata più forte nelle concitate ore prima dell’accordo, è stata quella di Toeolesulusulu Cedric Schuster, presidente dell’AOSIS, l’alleanza delle piccole isole (39 paesi): «Non firmeremo il nostro certificato di morte. Non possiamo firmare un testo che non preveda impegni forti per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili».
L’impegno è arrivato. Nel complesso gergo negoziale, tale impegno si legge:
«Transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050».
Tradurre questo genere di testi non è mai semplice. Nel farlo si corre il rischio di perdere il senso delle parole che hanno permesso di raggiungere un compromesso verbale capace di mettere d’accordo tutti. O almeno di non scontentare nessuno.
Ci proviamo lo stesso a tradurre. L’accordo parla di:
«favorire il percorso verso l’abbandono dei combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050».
Cosa c’è dopo i fossili
Ora che la COP28 è terminata, tutti i Paesi dovranno contribuire, sulla base delle proprie capacità e condizioni, a triplicare le energie rinnovabili e duplicare l’efficienza energetica.
Le prime letture emerse in queste ore sembrano lasciar spazio a varie interpretazioni. È quindi importante ribadire che non viene riconosciuto un ruolo transitorio dei combustibili fossili, bensì il graduale abbandono.
Questo significa passare da una fase storica nella quale benessere e sviluppo erano accessibili – solo a pochi – grazie allo sfruttamento delle fonti fossili, a una nuova, nella quale auspicabilmente tutte le economie possano beneficiare delle energie rinnovabili, a disposizione di tutti. Una potenziale rivoluzione.
Il nucleare entra per la prima volta in un testo negoziale della COP ma con un ruolo marginale e secondario rispetto a rinnovabili, efficienza energetica e batterie. Questo tritico di opzioni, infatti, viene indicato nel testo come quello più disponibile, più economico e più scalabile (nel senso con le maggiori economie di scala) già da ora grazie ai progressi tecnologici e alla crescita degli ultimi anni.
Nonostante la marginalità a COP28, il nucleare è spesso centrale nel dibattito italiano. Questo nonostante sia una tecnologia assente nel nostro Paese e l’Italia non preveda un suo sviluppo entro il 2030, almeno stando alla Strategia nazionale energia e clima (PNIEC).
Anche la fusione nucleare non è oggi un’opzione realistica. Seppur i principi fisici sottostanti siano assolutamente assodati, nessun impianto sperimentale al mondo si è mai avvicinato a una produzione costante positiva di energia.
È impossibile quindi al momento fare previsioni accurate riguardo a quanto ancora ci vorrà per avere questa nuova tecnologia. La praticabilità commerciale è ancora più lontana. Al netto, dunque, dei prototipi di ricerca, il ruolo della fusione nucleare nelle politiche di decarbonizzazione al 2030 è pari a zero.
Tra le soluzioni, almeno esplicite, per la transizione non rientrano neppure i biocombustibili. Per i quali il contributo sulla riduzione delle emissioni è ancora da dimostrare, considerando gli impatti della loro produzione sui suoli, sulla natura, sulla biodiversità e sui sistemi alimentari.
Viene riconosciuto dalle Parti un ruolo per le tecnologie di assorbimento e rimozione della CO2, come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio, in particolare nei settori industriali in cui è più difficile abbattere le emissioni.
Attenzione però a comprendere bene pesi e misure: attualmente, a livello globale, sono operativi circa 40 impianti commerciali di cattura della CO2, catturando annualmente 45 milioni di tonnellate di CO2, equivalenti allo 0,12 per cento delle emissioni globali del 2022 legate all’energia.
Pur avendo un ruolo nel percorso verso la neutralità climatica al 2050, la CCS è una tecnologia ancora in fase di sviluppo e, come emerge dall’accordo, dovrebbe essere dedicata alle sole emissioni non altrimenti evitabili, dove non vi siano alternative disponibili, come alcuni processi industriali quali cemento e chimica.
Dove sono i soldi
Nell’accordo si affronta anche il tema della finanza per il clima. Il testo riconosce che il fabbisogno finanziario per l’adattamento – preparare i territori agli impatti del cambiamento climatico – dei Paesi in via di sviluppo è stimato in 215-387 miliardi di dollari all’anno fino al 2030.
Si sottolinea che è necessario investire circa 4.300 miliardi di dollari all’anno in energia pulita fino al 2030, aumentando poi a 5 mila miliardi di dollari all’anno fino al 2050, per poter raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Si riconosce inoltre la necessità di un aumento di nuovi e ulteriori finanziamenti per sostenere i Paesi in via di sviluppo nella transizione verso un’economia giusta e equa.
Questo accordo, raggiunto in uno dei paesi che più contribuisce allo sfruttamento dei combustibili fossili – gli Emirati arabi uniti – è certamente un risultato inaspettato ma importante.
COP28 ha permesso di mettere in luce quale sarà il ruolo dei paesi con maggiori interessi nella produzione di carbone, petrolio e gas.
Saranno proprio le scelte che questi Paesi, e con loro le aziende dell’Oil & Gas, faranno che permetteranno di ridurre le emissioni e mantenere gli impegni di contenimento delle temperature entro 1.5°C. Unica strada percorribile per salvare il pianeta, le nostre economie e il futuro delle prossime generazioni.
La palla ora passa ai governi, ai loro piani nazionali e alla loro diplomazia e cooperazione, che dovranno allinearsi agli impegni internazionali e aiutare tutte le imprese, incluse quelle dell’Oil&Gas, a passare dall’era dei fossili a quella delle energie pulite.
- Antonio Ghianda è responsabile della comunicazione del think tank italiano «Ecco» (qui il sito; su COP 28: un bollettino quotidiano e un podcast). Pubblicato sul Substack di Stefano Feltri, Appunti, il 13 dicembre 2023