Versión española abajo
Il 17 ottobre 2023, i rappresentanti del governo venezuelano e dei partiti di opposizione hanno firmato un accordo di intesa e di rispetto reciproco in vista delle le elezioni presidenziali del 2024. Ciò è avvenuto davanti a testimoni internazionali, a Barbados, una piccola isola dei Caraibi.
Sebbene l’accordo non sembri indicare nulla di nuovo per la sua evidente ovvietà, poiché ciò che cerca è la garanzia di libere elezioni nelle prossime votazioni presidenziali, rappresenta tuttavia un fatto significativo, poiché sia i membri del governo sia i partiti che lo avversano si sono seduti a un tavolo per parlarsi e raggiungere accordi.
Il problema in Venezuela non è che ci siano o meno le elezioni, visto che negli ultimi anni ce ne sono state molte. Il problema sta nel rispetto della volontà dell’elettorato e nella formazione di un governo che garantisca la giustizia politica, economica e sociale.
Quale soluzione per il Venezuela?
Molti ritengono che l’unica possibilità per garantire un Paese libero sia l’uscita dal partito quando si è designati a governare, soprattutto da parte di quelle persone che esercitano il potere. Ma sarebbe proprio una soluzione, quando ci sono vari settori in concorrenza che non sono disposti a perdere la loro quota di potere e di ricchezza? Come garantire la stabilità in un Paese in cui settori importanti sono sotto il controllo di coloro che occupano attualmente al governo?
Forse un nuovo presidente può abolire questi controlli o intervenire e proporre un alto incarico militare affidabile? Un nuovo esecutivo potrebbe ricomporre l’apparato dello Stato, sapendo di avere poche risorse per farlo? Il Venezuela deve indebitarsi ed entrare nuovamente in una dipendenza economica con pacchetti di misure che non favoriscono la popolazione più povera, al fine di migliorare i dati macroeconomici?
Comunque sia, la verità è che i problemi non si risolvono con decreti o con piani elaborati su una scrivania. In generale, queste procedure favoriscono un piccolo settore del Paese ma finiscono per creare nuovi malumori e dividere profondamente la popolazione.
È per questo motivo che applaudo al dialogo svoltosi alle Barbados. Si tratta tuttavia di un dialogo insufficiente, poiché ciò che viene discusso è il tema elettorale, lasciando in sospeso altri problemi come l’impoverimento, il salvataggio della produttività, il rispetto dei diritti sia umani sia civili, la salvaguardia dell’istruzione, della sanità, delle vie e dei mezzi di comunicazione…
Il Venezuela ha bisogno di un dialogo aperto in cui possano partecipare accademici, impresari, agricoltori, lavoratori e studenti, che vada oltre gli interessi dei partiti. Le misure che non tengono conto del venezuelano concreto che ha aspirazioni e desidera e cerca un paese diverso hanno poco valore.
Si ottiene ben poco se, statisticamente, vengono rispettati solo i diritti umani, ma si calpestano i diritti dei cittadini. Bisogna evitare che gli investimenti crescano e gli impresari si avvantaggino, mentre le sacche di miseria continuano a crescere in luoghi dove solo pochi possono godere perché hanno le risorse per farlo.
Le regole chiare in materia elettorale sono positive perché danno fiducia all’elettore. Ma questo non basta, perché un Paese non è democratico solo perché vengono rispettati i risultati delle elezioni, ma lo è perché è capace di operare a favore di tutti, di promuovere un dibattito rispettoso con l’avversario, di cercare meccanismi per ascoltare tutti i settori della popolazione, di rispettare la diversità culturale, di prendersi cura dei diversi modi di pensare e di ancorare la popolazione sui fondamenti di una società civile in cui i suoi membri godano dei diritti di cittadini…
Barbados non basta
Il dialogo alle Barbados era ed è qualcosa di molto buono. Tuttavia, il mondo intellettuale, imprenditoriale e lavorativo deve proporre e ricercare spazi di dialogo che pensino e creino soluzioni alla crisi del Paese.
Purtroppo, ho osservato con stupore che il mondo accademico, di cui faccio parte, è diventato sempre meno disposto al dialogo e risponde a interessi corporativisti/economici. Questo ha eliminato la possibilità di spazi di dialogo, di discussione e di proposte.
Se gli spazi naturali di dialogo e di discussione si stanno trasformando in spazi commerciali, dove i centri universitari hanno smesso di essere luoghi di dibattito accademico per essere solo fornitori di conoscenza per un pubblico trattato come cliente, non sorprende che le promesse politiche ed economiche dei paesi latino-americani siano diventati una sorta di marketing di proposte, estraneo alla discussione e al dialogo sociale.
Le offerte elettorali, purtroppo, cercano le adesioni prima del bene comune. Decisivi, quando si prendono decisioni, risultano i Big Data e non il bene collettivo. C’è poco incentivo a un dialogo costruttivo.
Andare oltre le Barbados è un compito che coinvolge tutti noi. Questo dialogo deve essere rispettato e promosso non solo dai partiti politici del Paese, ma anche dalla comunità internazionale. La pressione internazionale a cui è stato sottoposto il Venezuela non tocca direttamente chi esercita il potere, ma impoverisce chi deve sopportare il peso di governi che esercitano l’autorità con la forza.
A nulla servono le misure di blocco che spingono a proteste che si concludono con l’arresto di persone e l’uccisione di giovani a causa di scontri tra fazioni che cercano di prendere o di mantenere il potere. Sarebbe molto meglio finanziare spazi di dialogo e di creatività politica ed economica, piuttosto che bloccare le risorse e promuovere la violenza per forzare scenari politici. Il dialogo e non la contrapposizione è il percorso che siamo chiamati a costruire.
La salida de la Crisis venezolana pasa por el diálogo
El 17 de octubre de 2023 representantes del gobierno venezolano y de partidos de oposición firmaban un acuerdo de entendimiento y respeto mutuo de cara a las elecciones presidenciales del 2024.
Esto sucedía, frente a testigos internacionales, en Barbados, una pequeña isla del Caribe. Aunque el acuerdo parece que no plantea ninguna novedad por su gran obviedad, ya que lo que busca es la garantía de elecciones libres en las próximas votaciones presidenciales, representa, sin embargo, un hecho significativo, ya que miembros del gobierno y de los partidos que lo adversan se sentaron en una mesa a dialogar y a llegar a acuerdos.
El problema en Venezuela no es si hay o no elecciones, pues en los últimos años ha habido muchas. El problema está en el respeto de la voluntad del electorado y en la formación de un gobierno que garantice justicia política, económica y social.
¿Qué solución para Venezuela? Muchos opinan que la única posibilidad para lograr un país libre pasa por la salida del partido del gobierno, sobre todo, de los personajes que están en el ejercicio de mandato. ¿Es esta realmente una solución cuando hay diversos sectores enfrentados que no están dispuestos a perder su tajada de poder y de riqueza? ¿Cómo garantizar estabilidad en un país donde sectores importantes están bajo el control de gente que actualmente están en el gobierno? ¿Acaso un nuevo presidente puede abolir estos controles o intervenir y proponer un alto mando militar confiable? ¿Acaso un nuevo ejecutivo podría recomponer el aparato del Estado, sabiendo que tiene pocos recursos para hacerlo?
¿Debe Venezuela endeudarse y entrar de nuevo en una dependencia económica con unos paquetes de medidas que no favorecen a la población más empobrecida, con tal de mejorar las cifras macroeconómicas? Sea como sea, lo cierto es que los problemas no se solucionan con decretos o planes diseñados en un escritorio. Por lo general estos procedimientos favorecen a un pequeño sector del país, pero terminan creando nuevos descontentos y dividiendo profundamente la población entre gente preparada, que suman méritos para ocupar cargos importantes y gente sin méritos que deben conformarse, como la siriofenicia del Evangelio, con las migajas que caen de la mesa de sus amos.
Es por esta razón que aplaudo el diálogo tenido en Barbados. Sin embargo, se trata de un diálogo insuficiente, pues de lo que se discute es del tema electoral, dejando pendiente otros problemas como es el empobrecimiento, el rescate de la productividad, el respeto de los derechos tanto humanos como civiles, el rescate de la educación, la salud, las vías y los medios de comunicación…
Venezuela precisa un diálogo abierto en la que puedan sentarse académicos, empresarios, agricultores, trabajadores y estudiantes, que vaya más allá de los intereses de los partidos. De poco valen unas medidas que no tengan en cuenta al venezolano concreto que tiene aspiraciones y quiere y busca un país diferente. Poco se logra si estadísticamente solo se respetan los derechos humanos, pero se pisotean los derechos ciudadanos. No es suficiente que crezcan las inversiones, mejoren los empresarios y que sigan creciendo los cordones de miseria alrededor de lugares donde solo unos pocos pueden disfrutar porque poseen recursos para hacerlo.
Las reglas claras a la hora de unas elecciones son una cosa buena, pues dan confianza al elector. Con todo, esto no es suficiente, pues un país no es democrático solo porque se respetan los resultados de sus elecciones, sino que es democrático porque es capaz de construir a favor de todos, de promover el debate respetuoso con el adversario, de buscar mecanismos de escucha de todos los sectores de la población, de respetar la diversidad cultural, de cuidar los modos de pensar distinto e incorporar a su gente en la cimentación de una sociedad civil donde sus miembros gozan de derechos ciudadanos…
El diálogo en Barbados fue y es algo muy bueno. No obstante, el mundo intelectual, empresarial y obrero deben proponer y buscar espacios de diálogo que vayan pensando y creando soluciones a la crisis del país. Lamentablemente, he observado con estupor que el mundo académico, del cual formo parte, se ha hecho cada vez menos dialogante y responde a intereses corporativistas-económicos.
Esto ha eliminado la posibilidad de espacios de diálogos, discusiones y propuestas. Si los espacios naturales de diálogo y discusión están transformándose en espacios comerciales, donde los centros universitarios han dejado de ser lugar de debate académico para ser proveedores de conocimiento para un público que es tratado como cliente, no es de sorprender que las promesas políticas y económicas de los países latinoamericanos se hayan convertido en una especie de mercadeo de propuestas, ajenos a la discusión y diálogo social. Las ofertas electorales buscan adhesiones antes que el bien común. La Big Data y no el bien colectivo es lo decisivo a la hora de tomar decisiones. Poco se incentiva un diálogo constructivo.
Ir más allá de Barbados es una tarea que nos involucra a todos. Este diálogo debe ser respetado y promovido no solo por los partidos políticos del país, sino también por la comunidad internacional. La presión internacional a la que se ha sometido a Venezuela no afecta directamente aquellos que ejercen el poder, pero si empobrecen a quienes deben soportar el peso de gobiernos que ejercen la autoridad por la fuerza.
De nada valen unas medidas de bloqueo que fuercen a protestas que terminan con gente encarcelada y con jóvenes muertos por enfrentamientos de facciones que buscan apoderarse o conservar el poder. Mucho mejor sería financiar espacios de diálogo y creatividad política y económica, antes que bloquear recursos y fomentar violencias para forzar escenarios políticos críticos. El diálogo y no la polaridad es el camino que estamos llamados a construir.