Danimarca: spegnere le fiamme del Corano

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Il 7 dicembre, il parlamento danese ha approvato una legge che definisce un crimine il «trattare in maniera inappropriata, pubblicamente o con l’intenzione di diffondere in un cerchio più ampio, un libro che abbia un significato religioso importante per le comunità religiose riconosciute». Il riferimento è alla Bibbia e alla Torah, ma sostanzialmente al Corano.

Il progetto di legge è stato presentato quest’estate dopo ripetuti episodi pubblici sia in Svezia sia in Danimarca, sempre in capo alle destre estreme e, talora, ai fuoriusciti dai paesi islamici critici verso i loro governi (cf. qui).

In quei mesi gli episodi si sono moltiplicati. Ne sono stati registrati oltre 400.

Le proteste e le manifestazioni nei paesi islamici si sono moltiplicate. Molto attiva la diplomazia turca. In Iraq è stata incendiata l’ambasciata e in vari paesi sono state messe in difficoltà le Ong a partecipazione danese o svedese.

Il dibattito in Danimarca è stato ampio. Alcuni hanno ricordato che, nel 2005, il giornale danese Jyllands Posten (poi imitato da Charlie Hebdo in Francia) pubblicò alcune caricature di Maometto che produssero migliaia di manifestazioni nei paesi arabi e il terribile attentato alla sede del giornale satirico francese. In quel contesto né la Francia, né la Danimarca pensarono a una legge di contenimento della libertà civile.

Sei anni fa il parlamento danese ha annullato una legge antiblasfemia che durava da 334 anni. La rimozione era stata salutata come un passo storico. Da molti l’attuale legge è stata avvertita come un indebito ripensamento e un cedimento alle pressioni di paesi privi di democrazia e di libertà.

Torna il terrorismo islamico?

Il 15 settembre migliaia di intellettuali e di personalità pubbliche, anche straniere, hanno sottoscritto una protesta, mettendo in guardia da un ritorno ad una legge antiblasfemia e, soprattutto, da possibili derive che costituiscano una limitazione alla libertà di espressione. Le ragioni di quanti si oppongono fanno leva sulle contraddizioni interne alla legge: si custodisce il libro ma non si impedisce la voce e l’ulto, come anche il disegno.

Inoltre, si invia ai paesi islamici il messaggio che le loro proteste possono indurre a modificare le nostre leggi.

In terzo luogo, si pone la legge sotto un’autorità (divina) in dispregio della laicità dello stato.

E, infine, si avvia un processo di limitazioni delle libertà civili i cui esiti non sono prevedibili.

Da parte del governo si fa notare che la legge segue da vicino la disciplina contro gli oltraggi alle bandiere (con la stessa pena di due anni di carcere). I servizi segreti hanno segnalato con insistenza il pericolo di attentati cruenti. Come ha detto il ministro della giustizia, Peter Hummelgaard: «La minaccia terroristica contro la Danimarca a seguito dei recenti autodafé del Corano è ancora aumentata rispetto a un livello già alto… Per questo il governo prende misure contro atti sistematici di insulti e di disprezzo intesi solo a provocare divisione con conseguenze per la sicurezza del paese e dei danesi».

Le autorità religiose delle diverse fedi sono state molto discrete. Nel dibattito sono assenti anche le religioni minoritarie, in particolare cristiane che, attive nei paesi musulmani, pagano con la persecuzione e le violenze le scelte degli occidentali.

Gli oppositori sono già pronti a ricorrere alla Corte europea per i diritti umani.

Una sentenza del 7 dicembre 1976 afferma che l’aggressione anche gratuita al sentimento religioso delle persone non va sottoposta a limitazioni in nome della libertà di espressione.

Il confronto non è concluso.

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