Grazie a Dio, molti sono i passi compiuti dalla Chiesa cattolica in campo ecumenico: nel dire, nel fare, nello scrivere, nel porre gesti simbolici, nel pregare, nel testimoniare. Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Novo millennio ineunte, incoraggia lo sforzo ecumenico con molto calore: «Intanto – egli scrive – proseguiamo con fiducia nel cammino, sospirando il momento in cui, con tutti i discepoli di Cristo, senza eccezione, potremo cantare insieme a voce spiegata: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme” (Sal 133 [132],1)» (n. 48).
Tante forme ecumeniche a portata di popolo
La Chiesa del XXI secolo deve meritare che il sogno dell’unità dei cristiani diventi grazia. La partecipazione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico non può che continuare; anzi la Chiesa deve pensare il modo di rilanciare una grande stagione ecumenica, fiduciosa e coraggiosa, che si apra a stella verso diverse direzioni:
– ecumenismo di dialogo, che non nasconde le diversità teologiche e le non poche asimmetrie ecclesiali, che molto distanziano le Chiese nel pensare, nel pregare e nel vivere;
– ecumenismo di collaborazione, che non tralascia di “fare insieme”, di fronte a Dio e per l’uomo, tutto ciò che è promuovibile insieme (costruzione della cultura e della spiritualità della pace, diffusione della giustizia, salvaguardia del creato);
– ecumenismo di ampio respiro ecclesiale, che coltiva il sogno di fare comunione alla stessa tavola eucaristica, celebrando, nella pienezza del segno sacramentale, la memoria del Signore, apice dell’agire dei suoi discepoli;
– ecumenismo di preghiera, irrinunciabile aspetto dell’esperienza ecumenica, dal momento che l’unità dei cristiani è una grazia da ottenere anzitutto con la preghiera;
– ecumenismo di popolo, poiché l’ecumenismo riguarda l’unità, una nota essenziale della Chiesa, che è popolo di Dio: questa forma di ecumenismo consiste nel tendere, nella Chiesa, a credere di più e ad essere di più uomini e donne di comunione;
– ecumenismo di santità, giacché l’ecumenismo fa santi e richiede i santi per essere fatto: perciò Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Tertio millennio adveniente ha parlato di «ecumenismo dei santi» (n. 37). In concreto, tale ecumenismo richiede:
- uno sforzo permanente di conversione che tutta la Chiesa deve compiere per ritornare alla purezza delle sue caste sorgenti, con spirito penitente e con cuore di pellegrina;
- la crescita in una grande pietà cristocentrica, che pensa la Redenzione di Gesù in termini così vasti e profondi da conquistare la consapevolezza che quel mistero avvolge tutti i popoli e le loro differenze culturali e religiose;
- lo sviluppo di una vera spiritualità: perciò il Concilio ha parlato di ecumenismo spirituale (cf. decreto Unitatis redintegratio, n. 7), concetto richiamato dal santo padre Giovanni Paolo II (cf. enciclica Ut unum sint, nn. 15-17).
Sulla scia del Concilio
Inoltre, direi che il decreto Unitatis redintegratio del Vaticano II e l’enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo II siano portati dalla Chiesa alla piena espressione di sapienza ecumenica che contengono, traducendosi, questa, concretamente, diffusamente, stabilmente in stili di vita e in metodi di missione.
In sintesi, occorre che l’ecumenismo venga rilanciato con grandi attenzioni:
- avere assoluta fedeltà alla verità rivelata e dogmatica;
- avere grande coraggio cristiano nel ricercare l’unità, con tenacia e generosità;
- adottare metodologie di ricerca di studio (ai livelli biblico, teologico, storico ecc.), di giudizi storici e di scelte operative nella costante attenzione alle esigenze ecumeniche;
- scrutare, pensare, inventare possibili e sempre nuovi spazi collaborativi nel servizio della liberazione e della promozione dell’uomo, specie nel fronteggiare le immani questioni planetarie, più volte ricordate (la giustizia, la pace, la natura).
– Occorre, soprattutto, un clima rinnovato, che dobbiamo meritare come dono dello Spirito e corrispondendovi con docile ubbidienza. Se ci sforzeremo di creare una forma di vita ecclesiale più evidentemente intonata alla fraternità battesimale e alla convivialità eucaristica, la Chiesa mostrerebbe un volto più evangelico, più amabile nell’incontro ecumenico e questo renderebbe tutto più facile; in tale clima più affrontabili sarebbero anche le spinose e dolorose differenze dottrinali.
Inoltre, deve crescere maggiormente l’umiltà dell’ascolto verso il fratello cristiano e bisogna far diventare sempre di più rigorosa una metodologia ecumenica ormai già esperimentata con frutto: il movimento ecumenico va pensato, non tanto come paragone frontale fra le Chiese, quanto come lo sforzo comune, sempre più coraggioso e coerente, di convergere tutti verso la persona del Cristo, essenza del cristianesimo, al fine di crescere in una sempre più piena fedeltà a lui, che ha avvertito i suoi discepoli: «Chi non raccoglie con me, disperde» (Lc 11,23).