Va a finire l’anno e, con esso, il 150° anniversario della morte (1873) del Manzoni. Le iniziative e le pubblicazioni sono state tante per lo più sui Promessi sposi: un’opera pubblicata nella sua versione definitiva nel 1840 ma che mostra l’enorme lavoro di ricerca, sperimentazione e ricostruzione fatta dal Manzoni prima di arrivare a quella misura armonica finale che fa dei Promessi sposi il capolavoro ammirato da tutti.
Una di queste manifestazioni dedicata ai Promessi sposi è avvenuta al Senato domenica 10 dicembre in occasione del Concerto di Natale, durante il quale l’attore Sergio Castellitto ha letto la pagina finale dei Promessi sposi, a cui Manzoni ha dato il nome di «sugo della storia».
I protagonisti de “il sugo della storia”
Renzo e Lucia sono i protagonisti del “sugo della storia”. In quel capitolo 38° si narra del loro matrimonio e del loro trasferimento nella Bergamasca, dove Renzo cambia lavoro. Nascono diversi figli ai quali poi racconta il “suo far bene” le cose: «Ho imparato a non mettermi ne’ tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d’aver pensato quel che possa nascere. E cent’altre cose».
A quella sequenza di cose fatte, Lucia si sentiva a disagio e Renzo, ascoltandola, capì di aver esagerato. «Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore».
E Manzoni commenta: «Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia».
“Il sugo della storia” rimodella il futuro
In questo capitolo Renzo ha fatto diverse altre scelte senza il concorso di Lucia: trasferirsi nella Bergamasca e cambiare lavoro, da agricoltore diventa industriale. Le scelte libere importanti come queste hanno grande influsso sulla verità di sé stessi e delle proprie relazioni: il loro intreccio descrive le risorse e i punti di forza del suo mondo.
La conclusione del dialogo tra gli sposi aggiusta le loro relazioni, ma il modo complessivo di comportarsi di Renzo appare vacillante tra qualche ingenuità e un ottimismo ragionato, secondo il “far bene” dell’Anonimo. Costui diceva, «si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio». Questa morale di Renzo appare, nel suo piccolo, con un’idea di sé più razionale che credente, sul filo di quanto diceva l’Anonimo ‒ di cui Manzoni commentava: «È tirata un po’ con gli argani, e proprio da secentista; ma in fondo ha ragione».
In realtà, questa opposizione tra razionale e credente è più del secolo di Manzoni che del tempo della peste. L’autore condivide la scelta di Lucia, come luce e occasione della fede. Tuttavia, il pensiero dell’Anonimo lo tiene sulle spine: «ma in fondo ha ragione». “Il sugo della storia” non è, dunque, un sunto del passato, ma un rimodellamento per il futuro, con i suoi slanci, e tentennamenti, e non solo per Renzo e Lucia, ma anche per Manzoni e per l’Italia che egli sognava.
Le parti ignote di noi stessi
Alla fine di questo anno ci si può chiedere se quel “sugo della storia” può essere confermato o rimodellato. La domanda riguarda ciascuno, le singole famiglie, i gruppi, la Chiesa stessa che si interroga cosa fare e come essere una Chiesa sinodale. La domanda ha una portata anche ben più ampia che va a definire il campo di forze che plasma tutte le evidenze di un’epoca.
In questo periodo, si è scoperto che esistono parti ignote dell’umano, l’inconscio, fino a poco tempo fa inesplorato.
Un’altra parte ignota è il “silenzio” emerso attorno alla sentenza nietzscheana, per la quale «Dio non parla più: a parlare è il suo silenzio».
Nella prima parte del secolo scorso, l’una e l’altra trovarono la più ampia diffusione tra i protagonisti della cultura, da qualche decennio sono diventati il sentire diffuso tra la popolazione europea. Ora c’è anche un al di là di noi che non conosciamo, il “transumano”: è umano o no? E l’intelligenza artificiale è umana o no?
La dignità umana oggi «non ha quasi più niente a che fare con l’anima, con la parte spirituale, ma ha a che fare con l’identità sessuale, con la forma sociale, con la libertà, un’inedita libertà di disporre di sé. La maggior parte dei nostri contemporanei si sta abituando a questa percezione, cioè a considerare necessaria, ma non sufficiente la conoscenza dell’umano acquisita fin qui» (P. Sequeri, Osservatore Romano, 6/11/23).
Assieme per rimodellare il nostro futuro
Il cattolicesimo non si considera alternativo all’esperienza e alla conoscenza umana. Per continuare a dirlo e a praticarlo, deve sempre accogliere, però, il proprio tempo come un evento, non come un concetto. L’evento è il dispositivo della “svolta” moderna verso la “soggettività”. Diverse sue forme, però, non sanno reggere l’urto di una pressione che «incrina la fiducia, spegne l’entusiasmo e fanno venir meno il coraggio. […] È saggio darsi ragioni e condizioni per avere coraggio e praticare la fiducia»: diceva l’arcivescovo Delpini, parafrasando l’opposto di don Abbondio, «Il coraggio, uno non se lo può dare».
Lucia non era soddisfatta delle parole di Renzo: parlava troppo del suo “far bene”. Non s’accorgeva che altri possono far essere il bene. E questo “altri” potrebbe essere anche Dio, che non vuol essere subìto, ma amato. Amare Dio è un affetto giustificato come risposta, non da una ragione necessaria dedotta da una ragione astratta. Viene semmai dall’abisso dell’affezione, che arriva a noi per far essere altra affezione per le persone amate e considerarci fratelli e sorelle con tutti.
La famiglia è ancora il primo luogo delle affezioni, come per Renzo e Lucia, forza permanente per il mondo e per la vita della Chiesa.