La memoria dei Santi Innocenti ci presenta la prima tentazione vissuta nella propria carne da Gesù. O, forse, la prima tentazione di Maria – insieme a quella del tempio e quella del “ricupero di Gesù” dalla “follia” della sua predicazione – che si compone con la seconda tentazione di Giuseppe, dopo quella di ripudiare Maria per osservare la Legge.
Sullo sfondo dell’Esodo («dall’Egitto ho chiamato mio figlio») questa memoria mostra l’estensione pasquale del Natale. E in questa plasticità pasquale, il Natale mostra tutta la sua verità: il Figlio di Dio si è fatto uomo assumendo anche la tentazione che non può essere amputata «per singolare privilegio», pena lo svuotamento dell’incarnazione.
Davanti ai progetti malvagi del Potere, che vuole uccidere l’Obbediente, Giuseppe è tentato di custodire il Figlio appena abbracciato dall’abbraccio mortifero del potere. Ed esprime in questo la perdurante tentazione materna di preservare il figlio del proprio grembo dalle minacce e dalle difficoltà.
Attraverso la tentazione di Giuseppe e Maria, Dio vive nel suo Figlio incarnato quella che sarà la tentazione suprema sulla croce: salva te stesso.
Nella circostanza della strage di Betlemme – se sia storica a questo punto non importa –, il Figlio di Dio e Figlio dell’uomo è tentato di salvare sé stesso. E a questa tentazione la paternità/maternità di Dio soccombe nella paternità e maternità di Giuseppe e Maria.
E se Dio fugge dalla nostra storia, perseguitata in tante forme dal potere, per i figli degli uomini, per i loro padri e le loro madri, da Rachele in giù, la nostra si fa storia di sangue.
Voglio credere che cedendo a questa tentazione, Dio abbia imparato che, se vuole essere nostro Padre, non può esimersi dalla storia dei padri e delle madri di questo mondo. Il Figlio ha imparato che non ci può salvare se salva sé stesso. Ha imparato – a nostre spese – che, se vuole essere il Dio-con-noi, l’Emmanuele del Natale, deve restare là dove incombe la minaccia dei potenti sugli umili innocenti.
Gesù resterà sulla croce, resistendo alla tentazione di scendere e salvare sé stesso. E noi abbiamo creduto in lui, nella verità della sua incarnazione non perché ha salvato sé stesso, scendendo dalla croce, ma perché ha scelto definitivamente di restarci su quella croce, inchiodato con noi alla nostra storia di martiri innocenti e spesso involontari.