Agostino e la vera religione

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Marco Vannini – filosofo, studioso della mistica cristiana – ha recentemente pubblicato il volume Sulla religione vera. Rileggere Agostino (Lindau). In questa intervista espone le tesi del suo libro, con le quali propone una via attraverso la crisi del cristianesimo occidentale.

  • Marco, perché questo titolo e perché citare Agostino, oggi?

Il titolo è esplicitamente ripreso dal De vera religione di Agostino, che non è la sua opera più famosa, ma che resta tra le più importanti: sicuramente è la più citata dai mistici, in particolare Meister Eckhart.

In alcune pagine del De vera religione, Agostino insegna che la verità – che è Dio – non va cercata al di fuori, nel mondo fisico, in luoghi deputati, neppure nelle chiese, neppure nei libri, bensì nel profondo dell’essere umano, nella propria interiorità, giacché in interiore homine habitat veritas.

Io penso che dobbiamo davvero, oggi, ritornare in noi stessi, per ritrovare la verità che ci abita. E la verità è una luce, la stessa luce annunciata dal prologo del vangelo di Giovanni, «la luce vera che illumina ogni uomo»: il Verbo, il Logos, il Cristo. Questa luce può essere riscoperta solo attraverso la via del distacco, ovvero passando da una vita centrata sull’esteriorità ad una vita governata dall’interiorità, dal  profondo dell’anima nostra.

  • Trovi analogie tra il suo e il nostro tempo?

Per certi versi, sì: come Agostino, viviamo in an age of anxiety, un’epoca di angoscia, in cui la religione tradizionale sta andando in rovina. Stiamo vivendo − non solo nei giovani − un profondo disagio esistenziale, mentre si affacciano sul mercato proposte psicologiche, filosofiche e religiose di ogni tipo. Allora come oggi.

Interiorità
  • Perché la proposta religiosa di Agostino sarebbe vera?

Agostino insegna che esiste la vera religione, che non è il prodotto di una illusione, perché è possibile viverla e sperimentarla dentro sé stessi. È all’interno di noi il vero culto, perché il vero tempio è il nostro intelletto, come dice il platonico Porfirio, “giocando” con le parole greche neos (tempio) e nous (intelletto). Un’ affermazione ripetuta, alla lettera, da Eckhart. Ricordiamo che Agostino ha costruito le sue tesi dopo aver assorbito la filosofia greca, da Platone ai platonici, e la mistica cristiana affonda in ciò le sue radici.

  • Così religione e filosofia sembrano coincidere.

Sì, può apparire una tesi sorprendente, di questi tempi. Ma anticamente non lo era affatto. Prendiamo i termini e i contenuti nel loro senso originario. Filosofia è una parola greca che comprende un concetto, pur con sfumature diverse, concorde: il genere di vita distaccato. Platone nel Fedone sostiene che chi «filosofa correttamente (ortòs) si esercita a morire», nel senso che esercita il distacco da tutto ciò che è accidentale. Dicendo tutto, dobbiamo intendere veramente tutto, anche il portato storico, culturale e religioso, perché anch’esso è accidentale. Praticando il distacco (aphaìresis), si scopre il profondo (bathys), ovvero l’essenziale di noi stessi.  Come dice Plotino, una sola è la cosa da fare: distaccarsi da tutto.

Ma anche la religione vera porta al distacco dall’egoità. Cosa insegna il Vangelo? A rinunciare a sé stessi: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso», «chi odia la sua vita in questo mondo la custodirà per la vita eterna», «il granello di frumento… se muore porta molto frutto», ecc. Anche la religione − come la filosofia greca antica − è, dunque, ricerca della verità essenziale attraverso la pratica di vita distaccata. Tra i grandi filosofi moderni, Hegel − purtroppo poco compreso e poco considerato nella Chiesa − ha sostenuto che la filosofia e la religione hanno lo stesso oggetto: l’Assoluto in sé e per sé.

  • Gli aspetti storici e sociali non sarebbero perciò essenziali in questa visione?

Sono certamente importanti. Ma innanzi tutto dobbiamo ammettere che tutti i fenomeni storici e sociali sono contingenti, transitori, anche quelli ammantati di religione. Per Agostino, la religione, nella sua essenza, è puro movimento dell’anima − o della intelligenza − verso la verità, che è Dio. All’inizio del De vera religione sostiene perciò che i cristiani sono eredi di Platone, perché cercano la verità, nel distacco. Un altro Padre della Chiesa, Massimo il Confessore, diceva che i cristiani seguono la «filosofia di Cristo» e, seguendola, fanno esercizio di morte, ovvero di distacco dall’egoità.

Mistica e incarnazione
  • L’incarnazione di Dio nella storia, allora, che posto ha? Non appare essenziale.

Questa è la contestazione che è stata mossa, nel corso dei secoli, ai mistici cristiani: ad esempio ad Eckhart nel XIV secolo, come a Fénelon nel XVII secolo, sino ai nostri giorni. Non c’è, a mio parere, alcuna relativizzazione della incarnazione, se si pensa, come ho detto, che al fondo dell’essere umano c’è la luce eterna (come Dante chiama Dio), che è il Logos, il Cristo.

Voglio citare, in proposito, il grande poeta mistico tedesco e prete cattolico Angelo Silesius (XVII secolo), che nel suo capolavoro Il Pellegrino cherubico dedica diversi distici al Natale, tra cui questo: «Mille volte nascesse Cristo in Betlemme / se non nasce in te, sei perduto in eterno!». Che Dio si sia incarnato in Cristo è, quindi, veramente importante, ma se non ritroviamo Cristo in noi, altrettanto veramente, non ci serve a nulla!

C’è un passo del vangelo di Giovanni (Gv 16,7) molto caro a tutti i mistici, nelle parole rivolte da Gesù ai discepoli, non più chiamati discepoli ma amici, al momento del congedo: «È meglio per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, lo spirito non verrà a voi», «Lo spirito vi condurrà a tutta la verità». Ecco, penso che in queste parole ci sia la risposta alle perplessità espresse nei secoli sulla mistica.

  • Questa visione sembra legare indissolubilmente la rivelazione cristiana alla filosofia greco platonica.

Quando Agostino ha scritto il De vera religione era sicuramente intinto di platonismo. Ma se non fosse passato per il platonismo, probabilmente, non sarebbe divenuto neppure cristiano. Anche i vari Clemente Alessandrino, Origene, Gregorio di Nissa, ecc. erano intinti di platonismo. La domanda importante non è se, da cristiani, dobbiamo restare legati al platonismo o meno: la questione è se ciò che qui stiamo dicendo è vero o non è vero. Io penso che sia vero, nel senso che si prende sul serio la rivelazione cristiana nel nostro sentire più profondo. Meister Eckhart, a proposito del Natale e delle tre messe del Natale, predica sulle tre nascite: c’è la nascita eterna del Figlio dal Padre, c’è la nascita storica di Gesù a Betlemme e c’è la nascita di Cristo nel nostro animo, in ogni istante. Quella che più ci tocca, nell’intimo, è chiaramente, la terza nascita.

  • Per questo, non ci serve tutta la Scrittura.

Faccio parlare ancora Agostino, la sua vita. Lui aveva ricevuto, dalla madre, una educazione cristiana diciamo “tradizionale”, che, ad un certo punto, ha rigettato, perché non era in grado di far fronte al portato e alle ragioni della filosofia del suo tempo. Poi Agostino ha trovato la religione vera, ma attraverso Plotino e i platonici, come ho ricordato. Ciò, secondo me, mostra che anche le Scritture, per quanto importanti, appartengono alla relatività della storia. Tanto più per noi oggi, rispetto ad Agostino. Noi viviamo non solo dopo la filosofia greca, ma dopo l’Illuminismo e la rivoluzione scientifica. Non possiamo più, certamente, “credere” alle Scritture in maniera letterale. Il linguaggio delle Scritture è mitico e va, pur sempre, interpretato dal nostro intelletto.

  • Non è forse mitico anche molto linguaggio filosofico o persino scientifico?  

Infatti, dire mitico non vuol dire falso. Il mito è un racconto che deve subire una interpretazione, o più interpretazioni. E questo va fatto sino in fondo. Ciò riguarda l’Antico ma anche il Nuovo Testamento. Mentre l’istituzione ecclesiale non ha fatto e non sta facendo seriamente questo lavoro. Io ci vedo una precisa responsabilità, perché la verità non va mai taciuta al popolo cristiano.

Quale logos?
  • Filosofia e Scritture sono alternative?

Dipende. Io non ho condiviso la scelta della Chiesa di puntare tutto, dopo il Concilio, sulle Scritture, lasciando perdere la dimensione filosofica del cristianesimo. In questo modo filosofia e cristianesimo possono diventare davvero alternative, e questo è deleterio. Peraltro, neppure il criterio scritturistico viene assunto sino in fondo dalla Chiesa, perché certe parti vengono trascurate o omesse e le traduzioni vengono modificate a piacere: dunque, quando si dice “Parola di Dio”, che cosa davvero si dice? Agostino invitava a studiare la Scrittura per esercizio, in maniera da passare dal vero storico al vero eterno, come dice, sempre nel De vera religione. Il disastro di aver preso poi, troppo spesso, alla lettera la Scrittura è sotto gli occhi di tutti, anche in questi nostri giorni.

  • Pensando platonicamente non corriamo il rischio di ritornare o di divenire dualisti: da una parte il corpo “cattivo” e dall’altra l’anima “buona”?

Innanzi tutto, non è affatto vero che la filosofia classica, anche platonica, abbia svilito la dimensione corporea. Basta guardare una statua greca: vi troviamo la grande considerazione della bellezza e il grande valore attribuito al corpo dalla grecità antica. Non dimentichiamo: palestra è una parola greca, ginnasio e quindi ginnastica pure; le Olimpiadi sono state inventate in Grecia, ecc. La perfezione del corpo è necessaria a quella dell’anima, come questa lo è a quella dello spirito. Lo spirito − conferma Meister Eckhart − non può essere perfetto, se prima non lo sono il corpo e l’anima.

Certamente si sono date, nella storia, forme di ascesi radicale, punitive del corpo. Ma se guardiamo alla grande tradizione della filosofia greca e cristiana, vi troviamo solo una gerarchia di valori. Il corpo e poi l’anima vanno governati con l’esercizio delle virtù. Quando corpo e anima sono nel giusto ordine, si manifesta lo spirito (pneuma). L’elemento antropologico essenziale, dunque, è pneumatico-spirituale, perché Dio è Spirito, come afferma il vangelo di Giovanni; e nell’essere umano è presente il divino. In tale concezione dell’essere umano non c’è alcuna spaccatura dualista.

  • Questo spirito ha la lettera maiuscola o minuscola?

Nella teologia cristiana si rimanda allo Spirito Santo come ad una realtà esterna che sta nei cieli e che cala dall’alto. Occorre pensare, invece, allo Spirito come alla realtà che si manifesta dall’interno, dal nostro essere uomo − o donna − interiore: una realtà che ci costituisce essenzialmente, esperimentabile, qui e ora, con tutta la sua beatitudine. Si può scrivere con la maiuscola.

  • L’effetto etico o morale qual è?

Nel tempio di Apollo a Delfi stava scritto «Conosci te stesso». Gregorio di Nissa ha completato la massima: «e conoscerai te stesso e Dio». Voglio dire che, quando l’essere umano conosce sé stesso, ossia ha esperienza di ciò che è nella sua stessa essenza, quel che fa segue ciò che è. Eckhart invita ripetutamente a non preoccuparsi di cosa fare, bensì di come essere, perché la giusta azione seguirà senza sforzo, ovviamente nella situazione a ciascuno data. L’etica, dunque, sgorga spontaneamente dal soggetto, sicuramente non in maniera estrinseca, precettistica! Anche qui torna Agostino, insieme a Paolo: «Ama Dio e fa’ ciò che vuoi!». Se è chiaro il senso della affermazione, non c’è nulla di pericoloso nelle parole.

  • Da dove viene il male?

Mi limito al nostro male, oggi: non sappiamo più chi siamo e perché viviamo. Siamo divenuti convinti di essere solo questo corpo, da “cosmetizzare” e da curare, sino all’accanimento. Ciò che riteniamo essenziale arriva, al massimo, alla psiche. Ci è pressoché ignoto lo Spirito in noi, e questa è l’origine vera dei nostri mali.

Guardando al nostro tempo
  • Perché, secondo te, questa proposta filosofico-religioso potrebbe fare presa, oggi?

Per gran parte della vita ho fatto l’insegnante nei licei.  Per esperienza, perciò, sono convinto, che certe parole – che ho qui speso – siano in profonda sintonia con l’essere giovanile e con l’essere umano in toto. Non ho incontrato soverchie difficoltà a parlare ai ragazzi di autori spacca-cervelli − come, appunto, Eckhart ed Hegel − perché i ragazzi hanno sempre colto ciò che è realmente corrispondente alle attese, loro e di ogni essere umano. Ognuno e ognuna desidera essere felice e vivere bene, nel Bene. Nel profondo, l’essere umano è lo stesso, ieri, oggi e domani. Le parole che vanno incontro alle esigenze profonde possono essere state scritte da Platone, oppure da Agostino, oppure da Simone Weil (per citare un’altra figura, contemporanea, a me molto cara).

  • Non rischia di essere una proposta per élite?

Nel mio Sulla religione vera parlo molto della devozione: ove devozione significa rimozione delle cose parziali, non essenziali, appunto, per muovere verso quelle essenziali, assolute, infinite: verso la Verità. Ecco, allora, che questo non è discorso per élite: non c’è bisogno di fare corsi di filosofia per “credere”. Guglielmo di Occam giustamente diceva che la fede cristiana è già tutta contenuta nella vecchietta che, sulle panche della chiesa, recita le sue orazioni. Però, certamente, la cultura aiuta, i buoni libri possono facilitare la personale, interiore, ricerca della Verità che dà senso alla vita. Sarebbe bene perciò far conoscere ai giovani i grandi maestri spirituali cristiani − come Agostino o gli altri di cui parlo nel libro: da San Giovanni della Croce ai contemporanei, come Henri Le Saux.

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2 Commenti

  1. Salfi 2 gennaio 2024
  2. Pietro 1 gennaio 2024

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