Da anni, forse da sempre, gli specialisti di affari politici discutono per sapere se l’Europa esista, politicamente, oppure se sia, come Metternich diceva dell’Italia, «una mera espressione geografica».
L’Europa politica è stata e continua ad essere un’ambizione, almeno fin dopo la Prima Guerra mondiale, quando divenne chiaro a molti che, continuando a combattersi tra loro, gli Stati del Vecchio continente sarebbero stati divorati da potenze extra-continentali, e con essi, sarebbe stata divorata l’Europa, diventando una mera espressione geografica.
L’iniziativa francese
Alla fine della Seconda guerra mondiale, il progetto europeo è stato rilanciato dalla Francia.
Approfittando della momentanea impotenza tedesca, Parigi pensava di poter riprendere là dove Napoleone era stato fermato, questa volta espandendo la propria influenza non con la Grande Armata ma con il messaggio di una grande pacificazione del continente, della fratellanza tra i suoi popoli nonché, ovviamente, della creazione di una grande potenza da opporre alla strapotenza e alla prepotenza degli Stati Uniti.
Molti, soprattutto in Italia, vi vedono la prova provata dell’arroganza francese. È l’errore tipico di coloro che sostituiscono la politica con la morale: tutti i processi di unificazione nazionale sono nati da un nucleo fondatore che si è imposto sugli altri, con le buone o con le cattive.
Il limite della Francia non era la sua arroganza, ma il fatto che la sua arroganza non aveva solide basi, cioè, in altre parole, che la Francia non era in grado di imporsi sugli altri: la force de frappe non bastava, occorreva anche l’ausilio del motore economico tedesco.
Da lì nacque l’asse renano, con molti malumori, però, da una parte e dall’altra del Reno, specialmente di Parigi, che continuava a vedere l’Europa come una continuazione della Francia con altri mezzi.
Nazionalismo agricolo
Il problema è che le unificazioni nazionali del passato hanno funzionato in due casi: quando il nucleo fondatore aveva una superiorità schiacciante; e quando il nucleo fondatore ha saputo trovare dei compromessi con i potenziali renitenti (l’una cosa non escludendo necessariamente l’altra).
Il compromesso su cui si reggono gli Stati nazionali consiste nella superiorità dell’interesse comune, nazionale appunto, sugli interessi particolari, almeno nei momenti critici della vita della nazione.
Oggi gli Stati sono in crisi perché nessun politico è più capace di imporre l’interesse superiore del paese sugli interessi particolari. Se poi, gli interessi particolari di una categoria all’interno di un paese particolare dell’Europa si impongono sugli interessi generali europei, allora la crisi è profonda, forse irrimediabile.
La guerra dei contadini dei diversi paesi europei contro i contadini degli altri paesi (europei e non) ha in sé delle conseguenze distruttive sulle relazioni internazionali probabilmente maggiori della crisi di Gaza.
È una ventata di nazionalismo agricolo senza precedenti: non perché non vi sia mai stata prima (man mano che si scende verso il basso, il nazionalismo agricolo si trasforma in regionalismo agricolo, poi in localismo agricolo, poi in chilometro zero), ma perché mai prima d’ora i vari governi europei, e financo la Commissione europea, ne sono stati così sensibili.
La politica debole
Il giovane primo ministro di Emmanuel Macron, Gabriel Attal, proclama «l’exception agricole française», avvallando così il fatto che i suoi cinquecentomila contadini reclamino politiche protezioniste contro i prodotti italiani e spagnoli, ma anche extra-europei, e l’abolizione delle regole europee sull’agricoltura (salvo i soldi della PAC, la politica agricola comune, beninteso), in particolare delle misure ambientali per lottare contro i cambiamenti climatici.
I contadini italiani e spagnoli reclamano la stessa cosa, contro l’importazione di prodotti stranieri, africani, ma anche francesi.
I governi dicono che i loro contadini hanno ragione. La presidente della Commissione UE, Ursula Von der Leyen, nel tentativo di tenere insieme la baracca, tende anche lei a dar ragione ai contadini, al punto di sottrarre un dispositivo chiave all’European Green Deal, da lei enfaticamente definito «the Europe’s man on the moon moment».
Dal loro punto di vista, ovviamente, gli interessi particolari hanno sempre ragione. Ciascuno vuole tirare la coperta a sé, e a volte non può far altro.
Ma lo Stato esiste – o almeno dovrebbe esistere – proprio per combinare gli interessi particolari con l’interesse generale e, dove il conflitto sia insanabile, imporre l’interesse generale sugli interessi particolari.
Conseguenze critiche
Oggi accade il contrario, e il pubblico applaude. E più il pubblico applaude, più i governi saranno tentati di sostenere gli interessi particolari che il pubblico applaude.
Ma il pubblico non mette insieme i vari capi della questione:
- che il nazionalismo agricolo significa trovare al supermercato meno prodotti e certamente più cari;
- che il nazionalismo agricolo rimanda la lotta al riscaldamento globale (che lo stesso pubblico applaude ugualmente) alle calende greche;
- che il nazionalismo agricolo è una bastonata in testa all’Ucraina, la cui resistenza all’invasore russo il pubblico applaude, anche se con sempre meno convinzione;
- che il nazionalismo agricolo rimanda alle calende greche anche l’Europa pacifica e fraterna che ci hanno insegnato ad amare (e ad applaudire) fin dai banchi della scuola elementare;
- che il nazionalismo agricolo provocherà la fine dell’accordo di libero scambio con l’America Latina, un altro colpo alla libertà di movimento di capitali, beni e persone (che il pubblico applaude), un altro passo verso l’inasprimento delle tensioni internazionali da cui i protezionisti del mondo intero troveranno ispirazione per alzare ancora un po’ le loro barriere.
Tutti gli interessi particolari reclamano, innanzitutto, soldi. E i governi sempre più deboli e spaventati da quello che succederà alle elezioni europee di giugno, promettono soldi.
Il che alimenta la convinzione che i soldi ci sono per tutti e quindi alimenta le speranze, e le ingordigie, di tutti gli altri interessi particolari. Con buona pace del debito pubblico, che continua a crescere.
Se si prendono tutti questi ingredienti e li si mescola tra loro, si capirà perché la guerra dei contadini contro l’Europa possa essere uno di quei momenti che, più che l’Apollo 11 («the man on the Moon») finiranno per ricordare l’Apollo 13 («Houston, we have a problem»).
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 1° febbraio 2024
La protesta dei trattori è una sconfitta, una El Alamein della mentalità. Hanno, per adulazione della politica, acquistato piccoli trattori ( e scarsamente concorrenziali) di marche nomi e brevetti americani tedeschi giapponesi od italiani con nomi olandesi o americani perché, comunque esiste un conveniente libero mercato globale di scambio dei prodotti tecnologici dove l’Italia è inserita poi però , le loro produzioni le vogliono imporre a KM ZERO a prezzi maggiorati dal mercato libero.
Se vogliono lavorare A KM ZERO e vendere nei chiusi mercati paesani come i contadini di una volta (che ricordano nella mente) ed a prezzi chiusi di una volta , come una volta debbono adoperare soltanto la Zappa, il Bidente la Vanga , condurre l’Asino e non certo il John Deere da 140hp.
Che poi 140hp sono gli stessi hp dei carri M14//41 che, ci perdemmo ad El Alamein contro gli M10 americani da 750hp, e 750 hp sono i cavalli che hanno oggi i trattori medi dei contadini americani nelle sterminate pianure che coltivano.
Se non sono in grado di reggere la competizione invece di illudersi del permanere del fantastico mondo medievale semplicemente chiudono come hanno chiuso gli altri in altri settori , perché il mercato è globale.
Aa scienziato ambientale penso che la fine del mondo agricolo può essere solo una catastrofe: renderebbe l’Europa totalmente dipendente dal resto del mondo per il cibo, sarebbe la fine degli agroecosistemi rurali, renderebbe l’uomo urbano del tutto alieno alla natura etc.
Sulla riflessione (agostiniana) di cosa sia veramente il male , dobbiamo osservare che Adolf Hitler nel provocare il male assoluto alla umanità ha sterminato decine di milioni di persone, però per essere in grado di farlo ha indotto in quegli anni una tale competizione tecnologica nelle macchine di morte che non sarebbe avvenuta in tempo di pace. Difatti dagli enormi carri armati progettati in guerra sono poi susseguite enormi macchine industriali e di più agricole in grado di produrre cibo in grande quantità salvando centinaia di milioni di persone ogni anno nel mondo per fame. (Lo ripeto centinaia di milioni di persone ogni anno vengono salvati dalla morte per fame grazie ad Hitler, o comunque all’ incomprensibile disegno divino) Lei parla di agrosistemi rurali quando altri parlano di macchine agricole a guida
autonoma di maggiore competizione per arrivare a produrre a più bassi costi .
Il tempo prosegue in avanti.