Domenica 7 maggio, prime comunioni. Ricordo la mia prima comunione. Il vecchio parroco aveva detto «per voi bambini è il giorno più bello della vita». Ma per me non era vero. Oggi lo è stato ancor meno. Guardavo le facce disorientate dei bambini, e quelle distratte dei loro parenti (tranne qualche rara eccezione e qualche lacrima sincera) e mi domandavo: ma ne vale la pena? Che cosa c’entra questa scena stonata di una festa paesana d’altri tempi con l’intimità e il dramma che si consuma nel cenacolo? La chiamiamo “comunione” ma è in realtà uno dei momenti più dispersivi e di maggiore tensione nella vita della parrocchia.
Anche oggi qualcosa è andato storto; il microfono si è messo a fischiare, la Rita (l’organista) ha dato le note dell’alleluia senza attendere la seconda lettura, i parenti hanno provato in tutti i modi a scavalcare il servizio d’ordine (un “servizio d’ordine” alla comunione?!!! Come siamo arrivati a questo punto?) … ma nonostante tutto stasera posso dire di essere contento. Non sarà il più bel giorno della mia vita ma non manca la gioia.
Se spazzo via le molte ragioni di irritazione e di nervosismo che hanno attraversato la celebrazione mi accorgo di riuscire a raccogliere dalla mensa eucaristica molte briciole di bene. Non saranno i cesti pieni della moltiplicazione dei pani ma ci si può sfamare ugualmente.
Accade ogni domenica, ma in questa in modo particolare. Mi commuove pensare che il Signore si consegni ad una comunità così distratta e dispersa. Non disdegni di mettersi nelle mani di uomini e donne che subito dopo lo abbandoneranno al suo destino, si dimenticheranno di lui e delle promesse fatte. E mi dico che le mie mani non sono migliori e più degne delle loro.
Alla fine sono stato rasserenato dalle facce stanche e contente dei collaboratori: le catechiste erano commosse per i loro piccoli, il direttore del coro soddisfatto per buona riuscita dei canti, molti parenti pur nella confusione mi hanno ringraziato. E mi sembra una buona immagine della parrocchia. Dietro a momenti come questi c’è un lavoro immenso di umili braccianti del regno di Dio. E ne vale la pena.
Sono tra le celebrazioni più difficili da presiedere e nelle quali non è semplice pregare. Eppure basta un attimo di silenzio, una parola giusta al momento opportuno, un gesto ben fatto, sobrio e sincero, e scopri che l’attitudine al rito non è del tutto scomparsa. Momenti nei quali il mistero si affaccia nelle nostre vite e riusciamo insieme a vivere attimi di affidamento. Non so come ma succede.
Rimane l’impressione dell’estraneità di tanti, ma sono sicuro che a qualcuno il rito di oggi ha fatto bene. E mi fa piacere pensare che il Signore guardi con benevolenza e soddisfazione a questa assemblea così raccogliticcia e dispersa. Non si scompone più di quel tanto per un po’ di chiacchiere e di distrazione. Somiglia di più al popolo di Dio e al suo gregge un’assemblea così piuttosto che un’adunanza dai ranghi uniti e compatti e fin troppo omologati, quasi da esercito schierato in battaglia. È il bello della parrocchia: non seleziona, non esclude, trova posto per tutti.
don Giuseppe