Meloni&Schlein: un nuovo dualismo?

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Da un paio di mesi, si affaccia nel dibattito politico italiano un nuovo tema: quello del dualismo tra Giorgia Meloni e Elly Schlein. Il tema sembra, in parte, una forzatura e una semplificazione mediatica. Ma forse sotto c’è anche un po’ di sostanza. E di strategia.

Per non farci trascinare dal «gossip» politico, proviamo – prima di ogni altra considerazione – ad analizzare i fatti.

Nascita di due leadership femminili

Il primo fatto è quello più ovvio, ma forse non abbastanza sottolineato. È la prima volta che abbiamo una (anzi, «un») Presidente del Consiglio donna. Ma è anche la prima volta che, in Italia, le leadership dei due principali partiti sono femminili. Due partiti tra loro in netta opposizione, nella storia, nella cultura politica, negli schieramenti.

In Europa e nel mondo non sono pochissime le leader donna: ma di solito hanno sconfitto concorrenti maschi. La competizione tra due donne è davvero un fenomeno raro. E perciò particolarmente intrigante, specie in un paese come l’Italia, che, sul lavoro femminile e le pari opportunità, è ancora molto arretrato.

Ma proseguiamo coi fatti.

La leadership di Giorgia Meloni, nel suo partito, è molto antica: ne è la principale fondatrice nel 2012 e, dal 2014, la guida continua e incontrastata.

Quella di Schlein, invece, è assai recente (poco meno di un anno), e davvero complessa: guida, infatti, un partito in cui ha sempre avuto posizioni di alternativa (la campagna #OccupyPD è del 2014), che ha abbandonato nel 2015 e a cui si è re-iscritta solo sette anni dopo, nel dicembre 2022, giusto in tempo per poter partecipare alle primarie per la Segreteria. E diventandone leader appena 3 mesi dopo il rientro.

Mentre Schlein scalava il PD, Giorgia era già Presidente del Consiglio da alcuni mesi.

È, dunque, un fatto che Elly abbia dovuto confrontarsi con una Giorgia già affermata, più di quanto non sia vero il contrario. Un esempio (sempre per attenerci ai fatti): a Roma, a Piazza del Popolo, al comizio di chiusura della campagna elettorale delle ultime politiche (settembre 2022), Schlein sale sul palco e “scimmiotta” il famoso slogan meloniano del comizio di Vox, in Spagna. Al grido «Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana…», risponde infatti Elly con un’evidente contro-citazione: «Sono una donna, amo un’altra donna, non sono una madre, ma non per questo sono meno donna».

Sembra, dunque, di poter affermare che, fin dai suoi primissimi passi verso la segreteria PD, Schlein abbia voluto accreditarsi come la possibile «leadership femminile alternativa» a quella della Meloni. «C’è una bella differenza tra le leadership femminili e femministe», aveva detto la Schlein – programmaticamente e anche un po’ profeticamente – da quello stesso palco, sei mesi prima di diventare segretaria e di consacrarsi effettivamente come potenziale alternativa femminile alla Meloni.

2023: un confronto a distanza

«Saremo un bel problema per il Governo Meloni», aveva dichiarato la Schlein appena eletta segretaria, a febbraio 2023. Ma, dopo l’onda di entusiasmo seguita alle primarie, il suo ruolo di “anti-Meloni” (suo e del suo partito…) aveva impiegato parecchio tempo a mettersi a fuoco. Anzi, la leadership di Elly – sia interna al PD che nel popolo dell’opposizione a Giorgia – è sembrata per lunghi mesi non decollare, persino consumarsi, nel corso del 2023.

Verso la Meloni qualche attacco diretto, qualche intervento parlamentare, su temi “identitari”, come il salario minimo e il reddito di cittadinanza, le donne, i giovani, le politiche migratorie (si registra in particolare un attacco sul caso Albania a settembre 2023): ma nulla che lasci un segno profondo, che qualifichi Elly (e il “suo” PD) come un’alternativa forte al governo meloniano agli occhi della maggior parte degli italiani.

Insomma, è come se, per tutto il 2023, la Schlein avesse faticato a proseguire nella strategia – abbozzata durante la campagna delle primarie PD – di accreditarsi come il modello politico (e femminile) alternativo alla Meloni.

Nemmeno Giorgia, in verità, le dà molto spago: le risponde occasionalmente, ma il confronto diretto non si accende mai. Del resto, perché accreditare un’avversaria come un’interlocutrice di pari livello? La Meloni non sembrava in questa fase voler fomentare dualismi.

La svolta di fine 2023 e l’inizio del “dualismo”

L’impressione è che a fine 2023 Schlein si sia resa conto che la sua segreteria, nel PD e nel Paese, non decollava (non che sia mai stata facile per nessuno, tra tutte quelle correnti…) e che occorreva una svolta di posizionamento, anche mediatico.

L’occasione – certo, non solo strumentale – la offre il lancio della riforma “presidenzialista” da parte della Meloni: ecco, allora, che Schlein sale con forza sul tema, si schiera in modo radicalmente contrario e indice una manifestazione nazionale del PD a Piazza del Popolo, cui invita (e parteciperà) anche “l’altro leader” dell’opposizione anti-meloniana, Giuseppe Conte.

E proprio da Piazza del Popolo, la Schlein lancia un attacco alla Meloni, più diretto e duro del solito. «Meloni non vuole governare, ma comandare», grida Elly, portando il confronto su un piano più profondo: non incarniamo solo due modelli femminili differenti, ma due diversi modelli di democrazia. Anzi, da una parte, chi tutela la democrazia, dall’altra, chi la insidia.

Sorprendentemente, stavolta Meloni cambia strategia e accetta il guanto di sfida: pochi giorni dopo, infatti, invita la “rivale” ad Atreju, la manifestazione politica di Fratelli di Italia, programmata per dicembre 2023, per un confronto a due. Si noti: un confronto, non un generico intervento.

La vicenda successiva è nota: Schlein rifiuta l’invito («Il confronto con Fdi e Meloni si fa in Parlamento»), Meloni risponde provocatoriamente («Bertinotti non temeva il dialogo»), la Schlein contrattacca, la Meloni, infine, dal palco di Atreju (dove compare anche un irridente “cartonato” della Schlein) chiosa con un definitivo guanto di sfida: «Difetta di coraggio»…

Il dualismo si è acceso.

Il confronto (impari) Meloni–Schlein

A inizio gennaio 2024 si apre la discussione sulle due leader come possibili capoliste alla Europee, in tutte le circoscrizioni. La Meloni abbozza un sì (pur senza sciogliere la prognosi) e Schlein si incarta: non può non accettare la sfida (il dualismo, il coraggio…) ma, al tempo stesso, mettersi capolista in tutte le circoscrizioni danneggerebbe altre donne del PD, che prontamente si ribellano, con tanto di petizione scritta. Elly rimanda la decisione sulle liste.

Il dualismo cresce, ma, mentre la Meloni guida un partito di cui ha il totale controllo (politico e anche “parentale”, potremmo dire), per la Schlein ad ogni passo ci sono le ormai proverbiali faide interne al PD. Una lotta impari.

C’è anche il problema Giuseppe Conte: “l’altro leader” della minoranza, ovviamente, non gradisce questo crescente testa a testa tra le due donne, che accrediterebbe la Schlein come principale opposizione, relegandolo al “secondo posto”. La Schlein sa bene che avrebbe da un dualismo più acceso e consacrato un enorme vantaggio di investitura come “oppositrice ufficiale” delle destre meloniane, ma – al tempo stesso – sa bene che così rischierebbe di mettere a dura prova la tenuta del fragilissimo asse PD–M5S.

Si accende l’ipotesi di una sfida in TV, addirittura. Ma la Schlein non ha il partito dietro, non ha deciso se candidarsi, ha il problema Conte: non è in condizioni di accettare la sfida. Cincischia, si incarta, va al cinema invece che alla convention del suo gruppo parlamentare…

Matteo Renzi, maestro (fino a un certo punto) di leadership personali, la critica in TV: «La Meloni le aveva fatto un assist. Io avrei detto subito: va bene, corro contro di te in tutti i collegi, due donne contro, sfida in tv, vediamo chi vince. Oppure: no, cara Giorgia, io sono seria, non mi candido per un incarico a cui poi dovrei rinunciare. Invece Elly è rimasta a tentennare…».

Segue però, poche settimane fa, il 25 gennaio, un’inattesa occasione di “confronto” parlamentare tra le due. Il tema è importante, ma non personale: la sanità. E, a sorpresa, la Schlein segna un primo punto. Approfittando di una “falla” nel discorso della Presidente del Consiglio, la Schlein (forse grazie al pronto consiglio di qualche compagno di banco) centra una replica che fa male alla Premier. La cui durissima arrabbiatura col suo staff – si dice – testimonierebbe che il colpo è davvero arrivato.

Da ultimo, pochi giorni fa, trapelano telefonate dirette tra Meloni e Schlein, in cui le due, insieme, riconoscendosi il reciproco ruolo, si accordano per una posizione italiana condivisa sul cessate il fuoco a Gaza, con Centrodestra e Pd che si astengono a vicenda. Come farebbero due leader di maggioranza e opposizione in qualsiasi grande paese, su questioni di interesse nazionale.

Il dualismo è partito?

L’utilità dei dualismi in politica (e non solo)

Fin qui i fatti. In effetti, ce n’è abbastanza per sostenere che delle “prove di dualismo” sono in corso, da una parte e dall’altra, da alcuni mesi.

Certamente, il prossimo appuntamento elettorale di giugno (Europee, molte comunali e alcune regionali) facilita l’alzarsi dei toni e dei confronti. Ma – rileggendo la storia di questi mesi – è chiaro che c’è qualcosa di più profondo e strutturale, almeno in potenza.

In un’era di comunicazione digitale, tutto è ormai –drammaticamente – diadico: 0-1, on-off, pro-contro, bianco-nero, filoisraeliano-antisemita, occidente-resto del mondo… Un dualismo in politica è quindi oggi un “motore” di consenso straordinario, di facile gestione sui social, molto semplificante e quindi molto energetico e produttivo.

Simul stabunt, simul cadent, recita l’adagio latino: creare dualismi può essere un vantaggio, un’assicurazione sulla vita per entrambi i contendenti. Lo sappiamo bene nello sport (Coppi o Bartali…), nell’arte (Raffaello e Michelangelo…) e anche nella politica: Cesare–Pompeo, Churchill–Hitler, DC–PCI e così via per infiniti esempi.

Esempi in cui, pur in presenza di vincitori e vinti, il dualismo è una garanzia di durata: e – non a caso – alla vittoria dell’uno, può facilmente seguire la sua rovina, proprio perché viene meno il “tradizionale avversario”.

Accettare il dualismo proposto dalla Meloni? Rischi e benefici

Forse, è proprio per questo che, da novembre 2023, la Meloni sembra aver cambiato strategia, e – dopo mesi di nonchalance – ha iniziato a scegliere la Schlein come interlocutrice, a invitarla ai confronti, a sfidarla nei collegi delle Europee. Come in quel vecchio film: Eva contro Eva. Alla pari: anche se – per ruolo istituzionale, per esperienza, per solidità di controllo delle proprie truppe – le due proprio pari non sono.

E forse Giorgia, astutamente, ha pensato proprio a questo: trarre giovamento dall’eterno confronto destra–sinistra, anche personalizzandolo al femminile, ma senza correre troppi rischi, contro una leader dell’opposizione giudicata – non solo da lei e non solo dagli avversari – piuttosto fragile e inesperta.

In più, la Meloni sa che il salto dentro il “dualismo politico” vero, personale, quasi “presidenzialistico” da parte di Schlein non è agevole, perché non è nella cultura del PD (almeno di quello post–renziano).

E questa potrebbe essere un’altra chiave di lettura interessante: nel momento in cui si propone la riforma “presidenzialista” con l’elezione diretta del Premier, fomentare il dualismo può diventare essenziale, per rafforzare il proprio ruolo e cominciare a scegliersi una potenziale avversaria, che magari non si giudica troppo forte, né troppo in condizione di navigare le acque dell’“uomo forte” (anzi, della “donna forte”), tipiche di un premierato elettivo.

In effetti, l’elezione diretta di un premier “giusto” sembra oggi – per assurdo – l’unica strada con cui la sinistra potrebbe tornare al governo in tempi relativamente celeri: per assurdo, perché questo non è nelle sue corde attuali, e la sinistra si opporrà con forza alla riforma della Presidenza del Consiglio, magari sperando di vincere il referendum confermativo (se mai davvero ci si arriverà).

Ma, a sinistra, c’è la consapevolezza, oggettiva, che conservando il sistema proporzionale attuale la vittoria di un fronte PD–M5S–Sinistra–Verdi, oggi, in Italia, appare lontanissima. E ci vorrebbe forse una leadership credibile e unitaria: quella che l’ulteriore dualismo Conte–Schlein rischia di non incarnare e allontanare.

Accettare o no il dualismo? Il dilemma della Schlein

In tutto questo, per la Schlein si pone un bel dilemma (questione tipica del mondo duale, del resto).

Da un lato, la “tentazione” di accettare la sfida di Meloni che – per quanto impari – la consacrerebbe come contro-leader, possibile riferimento per un’area di opposizione e una futura battaglia di “premierato”: una battaglia che si potrebbe anche vincere, incarnando proprio quello che lei stessa ha detto fin dall’inizio, un modello femminile diverso, alternativo a quello di Giorgia, basato sui diritti e sulle libertà individuali su cui tanti italiani, e specie i più giovani, sono sempre più sensibili. Anche solo per evitare brutte sorprese per il PD alle prossime europee, questa “spinta” dualistica potrebbe essere essenziale.

Dall’altro lato, però, la cultura politica del PD la porta a non poter personalizzare troppo (specie per una che uscì dal partito in contrasto con Renzi…) e, ragionevolmente, a non accelerare ulteriormente l’evoluzione del Paese verso la semplificazione politica, il confronto “all’americana”, il premierato… Restando in un proporzionale, in cui però lei non ha una vera coalizione, né forza federatrice.

Ci vorrebbe qualcuno capace di fare la scelta giusta tra questi due “corni” del problema e, soprattutto, di interpretare efficacemente la diversa strategia che consegue, nell’un caso o nell’altro. Oppure, ci vorrebbe qualcuno capace di uscire dalla paralisi del bivio, dal gorgo della scelta: creando un proprio nuovo scenario, non accettando quello personalistico, “presidenzialistico” e semplificatorio che offre oggi la Meloni.

Ma di figure politiche capaci di sciogliere questi nodi “diadici” e di costruire da zero altre storie e scenari per l’Italia, senza pretendere “alessandri magni” capaci di scindere nodi gordiani, proprio non si vede l’ombra, specie a sinistra.

Nelle prossime settimane, potremo esplorare questo dilemma, e vedere se la Schlein prenderà l’una o l’altra direzione, o se ce ne sarà una terza…

Se ci sarà una candidatura delle due donne alle Europee, se ci sarà un confronto TV, se sarà impari o combattuto, se poi davvero si proseguirà nella riforma del premierato, o se un risultato negativo alle elezioni porrà fine alla breve stagione della segretaria PD: sono queste le variabili che potranno orientarci nel complesso scenario politico dei prossimi mesi e dirci se la Schlein ha scelto il gioco Eva contro Eva proposto dalla Meloni, o se ha trovato un’altra strada. Che porti da qualche parte.

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