Una fiction su Gesù, in sette «stagioni», al momento ancora alla terza. Dal 4 marzo 2024 saranno trasmesse le prime due stagioni su TV2000.
A meno di non essere contrari per ragioni di principio (e c’è qualcuno che lo è), è una notizia già di per sé interessante. Ancor di più sapere che è già un successo mondiale, con oltre 200 milioni di spettatori e 770 milioni di visualizzazioni. Ciò significa che, dal punto di vista dello spettacolo, «funziona», e anche questo è, per alcuni, fonte di sospetto.
Libero accesso
Escludiamo, per cominciare, che sia una furba operazione di marketing intesa a sfruttare un soggetto che, in un modo o nell’altro, fa sempre audience. La produzione americana (piattaforma dedicata Angel Studios) non si appoggia a nessun colosso holliwoodiano e l’accesso alla serie è sempre free.
Netflix ha ospitato per un certo periodo la prima stagione, ma poi ha mollato l’osso, dato che si può vedere tutto senza piattaforme a pagamento, semplicemente scaricando unìapp gratuita.
L’impresa, inoltre, è stata finanziata tramite un crowdfunding di eccezionale successo (dieci milioni di dollari raccolti solo per la prima serie), proprio per evitare vincoli e veti di natura commerciale o ideologica. Aggiungiamo che non c’è pubblicità e solo si trova l’offerta di piccolo merchandising legata alla fiction (magliette e oggettistica varia col logo della serie).
Eliminate le fonti di sospetto che possono derivare dai perversi meccanismi del finanziamento e della distribuzione (primo elemento positivo), un secondo elemento positivo è la collaborazione tra evangelici (il regista Dallas Jenkins appartiene alla Chiesa evangelica) e cattolici con la consulenza di ebrei e mormoni. Questo fatto ha già del miracoloso.
Aspetti positivi
La serie è fatta tecnicamente bene e può piacere a molti, anche se non tutte le puntate sono allo stesso modo avvincenti e ben riuscite sul piano narrativo.
La figura di Gesù è una bella figura: non troppo ieratico, ma sempre composto, misurato, capace di ironia, simpatico senza essere piacione, senza aureola ma senza chitarra e jeans strappati, insomma. L’attore che lo interpreta, Jonhatan Roumie, di confessione cattolica, madre irlandese e padre egiziano, ha un volto non convenzionale, molto espressivo, capace di comunicazione intensa anche senza parola. Gesù pronuncia sempre alla lettera le parole presenti nei lòghia evangelici, mentre nelle altre circostanze ricostruite nella fiction naturalmente non è così, ma sempre le sue parole sono aderenti al significato del messaggio evangelico.
Tutte le vicende rappresentate sono tratte dalla narrazione evangelica, anche se è ovvio che gli elementi di contesto narrativo sono fiction: in una rappresentazione i personaggi e il contesto devono essere caratterizzati, mentre il racconto evangelico non ha questo intento.
Va però detto che la caratterizzazione dei personaggi è fatta con discrezione e credibilità, senza troppe concessioni al romanzesco e nessuna provocazione. La Samaritana al pozzo, per fare un esempio di facile controversia, è accompagnata nella rappresentazione prima e dopo l’incontro con Gesù con scene di fantasia, ma i suoi atti e la sua figura rimangono coerenti con la ricerca insoddisfatta prima e la gioia dell’incontro poi.
Usi e costumi dell’epoca sono ricostruiti con sostanziale fedeltà e accuratezza, con qualche incongruenza che vedremo.
La colonna sonora e la grafica sono pregevoli: molto bella la sigla iniziale e discreta la presenza musicale nel corso della narrazione.
Prospettiva
Il pregio maggiore però è un altro, e cioè che il punto di vista della narrazione è quello di coloro che incontrano Gesù di volta in volta e l’effetto su di loro del suo messaggio: si scava nelle loro aspirazioni e frustrazioni, si osserva come le loro debolezze vengono accolte da Gesù e come la loro vita ne viene trasformata.
Non c’è il racconto biografico della vita di Gesù, e infatti la narrazione comincia con l’inizio della sua vita pubblica, con qualche flashback sull’infanzia e sull’antica storia di Israele (per altro ben fatti).
Questa prospettiva suggerisce una riflessione sulle vicende di chi anche oggi viene in contatto col vangelo: il tormento della ricerca in Nicodemo (che alla fine non riesce a prendere una decisione radicale); la nevrosi di Matteo il pubblicano, salvato dalla marginalità in cui è confinato e profondamente capito e amato da Gesù; l’impulsività di Simone, da tutti ritenuto inaffidabile e da Gesù incaricato di essere responsabile degli altri (e, a modo suo, lo diventa); la dedizione di Maria di Magdala che, liberata dai sette demoni, deve tutto a Gesù e solo teme che il suo affetto possa essere mal interpretato dagli altri (ma di questo Gesù non ha paura!); e Maria, la madre e discepola, la quale parla e agisce con spontanea disinvoltura (il che non è ovvio).
Quanto detto fin qui basterebbe, a nostro avviso, a fare di The Chosen un’impresa apprezzabile.
Aspetti di limite
Dimenticatevi una lettura storico-critica dei vangeli. Tutto è preso letteralmente: dai miracoli (anche se non si indulge a rappresentazioni strabilianti e non ci sono effetti speciali) alla consapevolezza di sé che Gesù manifesta fin dall’inizio, con una pre-scienza e un’onniscienza a volte un po’ fastidiose (conosce la sua missione e l’evoluzione della sua storia, conosce da prima le persone che incontra…), alla stessa origine degli scritti evangelici (Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono rappresentati, in un flashforward, mentre scrivono di loro pugno la narrazione degli eventi, dopo la Pasqua, e addirittura prendono appunti mentre si trovano con Gesù).
Insomma, il cosiddetto «filtro post-pasquale» (cioè la reinterpretazione che gli evangelisti danno della vicenda di Gesù a partire dagli eventi della Pasqua) è mantenuto pienamente. Non era pensabile diversamente, del resto, considerando i soggetti che hanno partecipato all’impresa.
Qualcuno ha eccepito riguardo le presenze femminili tra i discepoli di Gesù, ritenendole concessioni al femminismo contemporaneo, ma è certo, in realtà, che ci fossero donne al seguito di Gesù e che la loro presenza è stata successivamente occultata o ridimensionata da una mentalità patriarcale.
Un discorso in parte analogo può valere per la presenza di personaggi variamente coloured: non è impensabile che nella Palestina del tempo ci fossero anche degli africani, ma in ogni caso non è una presenza disturbante, se viene a significare l’universalità dell’annuncio evangelico.
Piuttosto, sul piano della ricostruzione storica, troviamo eccessivamente caricata la presenza dei Romani, che rappresentano il potere: si capisce che il loro ruolo sia importante in una fiction, ma nella realtà dei fatti i Romani non solo non si occupavano di quisquilie (come invece risulta da molti episodi), ma nemmeno circolavano sempre con l’elmo in testa, tutta l’armatura e il mantello rosso, anche se è molto scenografico (e di gusto maledettamente americano).
Anche i Farisei rappresentano, narratologicamente, gli antagonisti e la loro presenza di «cattivi» potrebbe sembrare caricata. Tuttavia nei vangeli i Farisei risultano i peggiori nemici di Gesù, con poche eccezioni che pure sono presenti: c’è il perverso Samuele, ma c’è anche Nicodemo, che cerca la verità.
Possiamo criticare anche l’eccessiva presenza della scrittura in un contesto culturale prevalentemente ancora orale e aurale: è poco credibile che Gesù avesse bisogno di preparare per iscritto il Discorso della Montagna o che i pescatori e tantomeno le donne avessero accesso alla scrittura.
Su piano più tecnico, da ultimo, è manchevole il doppiaggio: è disponibile in italiano soltanto nelle prime due «stagioni», ma soprattutto la seconda stagione è stata doppiata male, vuoi per fretta vuoi per risparmio. Un peccato.
A proposito di linguaggi
La cosa più importante è che il racconto funziona e che il messaggio passa.
Dobbiamo tornare ai cicli di affreschi delle antiche chiese per far conoscere a tutti il racconto biblico. Capita che un bambino di sei anni, nato e cresciuto in Italia, venga al battesimo della sorellina e mi chieda, guardando il crocifisso, quale strano uccello sia: anche da questo abbiamo la misura di quanto sia necessario uscire dal catechismo e dalle omelie per tentare forme nuove di trasmissione di una cultura religiosa di base, anche se si tratta sempre di operazioni delicate.
Oggi i cicli di affreschi sono le fiction, anche le fiction. E pazienza se non tutti sono Giotto o Michelangelo. Un risultato discreto, come questo, è già un’ottima cosa.
Una analisi che ha raggiunto lo scopo: mi ha fatto venire la voglia di vedere la serie.
🙏💚🙏
La puntata del 4 marzo era troppo buia e talvolta incomprensibile.
Ottima analisi… mi permetto di segnalare la crescita della fiction nella terza stagione, ed anche un miglioramento nel doppiaggio… e concordo sulla similitudine con gli affreschi di una volta, c’è sicuramente bisogno di messaggi espressivi nuovi, grazie!
Grazie a lei!