Pubblichiamo in anteprima, per gentile concessione dell’Ufficio per la Pastorale della cultura della diocesi di Palermo, il testo di Giuseppe Savagnone sull’approvazione della modifica alla Costituzione francese che recepisce il «diritto di aborto». Il testo sarà in seguito pubblicato nella rubrica «I chiaroscuri» che l’autore firma per il sito della Pastorale della cultura.
Con l’approvazione definitiva della modifica alla Costituzione da parte del Parlamento francese, a camere riunite, lunedì 4 marzo, la Francia è ora il primo paese non solo in Europa, ma anche nel mondo, a includere il diritto di aborto nella sua Carta fondamentale.
In realtà, in Francia l’interruzione volontaria della gravidanza è già stata legalizzata da decenni, e il numero di aborti è in continua crescita: 234mila solo nel 2022, record assoluto, 17mila in più dell’anno precedente. I pochissimi oppositori (nella votazione finale i voti favorevoli sono stati 780, i contrari 72), avevano sottolineato questo dato di fatto per evidenziare l’inutilità pratica di un’ulteriore conferma a livello costituzionale.
Ma non è valso a nulla, perché la solenne proclamazione del diritto di abortire è stata voluta per il suo valore simbolico, come un messaggio di civiltà. E come tale è stato salutato, con entusiasmo, in Francia e nel resto del mondo. Anche come risposta all’annullamento, un anno e mezzo fa, della Roe vs Wade da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti.
Qualche domanda
Davanti a tanto entusiasmo, può tuttavia essere lecita qualche perplessità. La prima riguarda il profondo mutamento di prospettiva che questo clima comporta. L’aborto da sempre è stato per molte donne una dolorosa necessità, di cui sono state loro stesse le prime vittime. Uccidere il bambino che si porta nel seno è sempre stato ed è, normalmente, per una madre, un dramma, reso più tremendo dal fatto che una società maschilista, ancora oggi, non fa il possibile per evitarlo, lasciandola spesso sola a vivere sulla propria pelle i tanti problemi che rendono problematica la maternità.
Il voto del Parlamento francese e i toni trionfalistici dei commenti che lo hanno esaltato, sia in Francia che sulla stampa internazionale, sembrano trasformare una tragedia per cui indignarsi e contro cui lottare in una suprema affermazione della dignità e della libertà delle donne. L’aborto diventa simbolo di emancipazione, profezia di un nuovo modo di intendere la femminilità. Mettendo ancora una volta in secondo piano l’urgenza di investire maggiori risorse per dare alle donne, piuttosto che la licenza di eliminare i propri figli, la possibilità di non farlo.
Senza dire che l’inserimento del «diritto di aborto» nella Costituzione pone seri problemi a quei francesi che non si riconoscono in questa decisione per motivi di coscienza. Da sempre alcune grandi religioni – come il cattolicesimo –, ben lungi da ritenere l’interruzione volontaria della gravidanza un diritto, l’hanno considerata una violenza contro la vita umana e altre – come l’islam – le hanno posto limiti rigorosi. Che cosa significherà per i credenti di queste fedi religiose essere cittadini di un paese che la esalta come un valore fondamentale della comunità civile? Queste persone resteranno in Francia come stranieri morali? Come sarà possibile l’obiezione di coscienza di medici e infermieri nei confronti di un diritto costituzionalmente riconosciuto?
Si potrà dire che la laicità dello Stato non può accettare interferenze di ordine confessionale. Ma – a parte il fatto che, in un paese che proclama la tolleranza religiosa, la fede non dovrebbe costituire un motivo di spaccatura tra i cittadini – non sono pochi i laici che si sono pronunziati contro la legalizzazione dell’aborto. Valga per tutti, l’autorevole esempio di Norberto Bobbio, che in Italia rifiutò di sostenere il referendum per motivi di coscienza e di ragione.
Il parallelo polemico con la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti non funziona, anzi evidenzia la differenza: in quella non si dichiarava anticostituzionale l’aborto, anzi neppure lo si proibiva, solo ci si limitava a rimandare la questione ai singoli Stati, lasciando impregiudicata la questione a livello federale. Nessun americano era messo in condizione di scegliere tra il suo essere cittadino e la sua coscienza. In questo caso sì.
Diritto di aborto e libertà delle donne
Si potrà dire che il diritto di aborto è solo una implicazione e una conseguenza logica del riconoscimento della libertà della donna. Ed è in nome di quest’ultima, come abbiamo appena visto, che esso è stato inserito nella Costituzione francese. Ma è veramente così?
A metterlo in dubbio è proprio uno studioso che da anni è in prima fila nel sostenere la legittimità etica e giuridica dell’aborto, Peter Singer, il quale in un suo libro fa notare che appellarsi alla libertà della donna per dimostrare questa legittimità «può essere una buona politica, ma certo è cattiva filosofia. Presentare il problema dell’aborto come una questione di libertà di scelta individuale (…) significa già di per sé presupporre che il feto in realtà non conta nulla. Chiunque pensi che un feto umano ha lo stesso diritto alla vita degli altri esseri umani non potrà mai ridurre il problema dell’aborto a una questione di libertà di scelta, più di quanto possa ridurre la schiavitù a una questione di libertà di scelta da parte degli schiavisti».
E lo slogan, coralmente ripetuto, secondo cui il diritto di aborto esprime la libertà della donna di fare del suo corpo quello che vuole? Le parole di Singer − autore non certo sospetto di bigotto moralismo – ci ricordano quello che qualunque biologo sa benissimo, e cioè che quello slogan è falso. Secondo la scienza, l’embrione e il feto non fanno affatto parte del corpo della donna, perché sono individui a sé stanti.
Si può ignorare questo dato scientifico, come si può essere terrapiattisti, ma la realtà non cambia. Perciò non si può equiparare la libertà della donna di abortire a quella di studiare, di viaggiare, di esercitare una professione, perché in questo caso è in gioco la vita di un altro essere vivente.
Esseri umani e persone
Se, dunque, si vuole affrontare seriamente il problema, è sul valore o meno di questa vita che bisogna concentrare l’argomentazione. Ora, come riconosce il pensatore australiano, non si può negare che, anche in questa fase, si tratti di una vita umana. Ormai, egli osserva, la biologia ha dimostrato che non ci sono “salti” tra la vita pre-natale e quella successiva al parto e una cesura tra l’una e l’altra sarebbe arbitraria.
Ma questo, secondo Singer, non significa che embrioni e feti siano persone. Ed è la vita della persona, non la vita umana come tale, che bisogna tutelare. «Perché è moralmente sbagliato», si chiede Singer, «sopprimere una vita umana? (…). Che cosa c’è di così speciale nel fatto che una vita sia umana?». Per lui l’appartenenza alla specie umana è un dato di fatto meramente biologico, privo di implicazioni valoriali ed etiche.
Su questo punto, peraltro, convergono tutti i grandi bioeticisti anglosassoni. A essere importanti, secondo loro, non sono gli esseri umani come tali, ma le persone. Qual è la differenza? Se lo chiede un altro autorevole studioso, Michael Tooley: «Quali proprietà si devono avere per essere una persona, cioè per avere un serio diritto alla vita?». La sua risposta esprime la convinzione largamente condivisa, pur con delle varianti, dalla maggioranza dei bioeticisti anglosassoni: «Un organismo possiede un serio diritto alla vita solo se possiede il concetto di sé come soggetto continuo nel tempo di esperienze e altri stati mentali, e crede di essere una tale entità continua nel tempo».
Per essere persone, insomma, è necessaria l’autocoscienza. Perciò, come dice lapidariamente un altro notissimo studioso, Tristam Engelhardt, «non tutti gli esseri umani sono persone. Non tutti gli esseri umani sono autocoscienti, razionali e capaci di concepire la possibilità di biasimare e lodare. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non-persone umane». Costoro sono esseri umani ma, poiché non sono in atto coscienti di sé, la loro vita può essere sacrificata al pari di quella degli individui di tutte le altre specie.
L’argomento non vale peraltro solo per embrioni e feti, ma anche per gli infanti, i bambini nelle prime fasi successive al parto i quali, secondo tutti questi autori, non essendo autocoscienti non sono persone. Per Engelhardt «le persone in senso stretto vengono in essere solo qualche tempo − probabilmente qualche anno − dopo la nascita». È questione di logica. Sulla stessa linea, infatti, è Singer: «Sembrano esserci solo due possibilità: opporsi all’aborto o consentire l’infanticidio».
Davanti alle probabili perplessità che una simile implicazione del diritto di aborto può suscitare, entrambi gli studiosi fanno notare che civiltà molto evolute, come quella greca, hanno ritenuto normale l’infanticidio e che, come ha scritto Singer, il tabù relativo ad esso si deve solo a «due millenni di ossequio puramente formale all’etica cristiana», ora finalmente alle nostre spalle.
Una pericolosa discriminazione
Questo è ciò che, in nome della ragione, si è riusciti a dire finora per giustificare la legittimità etica e giuridica dell’aborto. Dove è chiaro che l’appello alla libertà della donna lo può giustificare solo se è valida la distinzione tra esseri umani e persone, che, a sua volta, è basata su una filosofia, non sulla scienza, per la quale i non nati sono individui biologicamente umani, come i nati.
Solo che questa distinzione non vale solo per la questione dell’interruzione della gravidanza e, più in generale, implica la divisione in uomini e donne di serie A e uomini e donne di serie B, escludendo i secondi da ogni tutela e consegnandoli all’arbitrio dei primi.
Non possono non ritornare alla mente le società del passato che, in base a questa distinzione, hanno considerato non-persone gli schiavi, le donne, gli indios, i poveri. O, più recentemente, gli ebrei. E non è un caso che oggi le dichiarazioni dei diritti parlino di esseri umani, senza altro requisito che la loro umanità.
Ora, in nome della libertà delle donne, la Costituzione francese introduce solennemente una nuova discriminazione, l’esercizio in atto dell’autocoscienza. Così il diritto di abortire apre la porta a quello di eliminare chiunque sia sfornito di quel requisito (neonati, malati di mente, individui in coma). È questo il messaggio di civiltà che la Francia vuole lanciare al mondo?
E’ sintomatico che del corpo delle donne ne parlino solo gli uomini.
A tal proposito mi spingerei oltre. Anche lo sperma deve essere tutelato. Anche quella è una posibilità di vita. Dovremmo fare una legge contro lo spreco di spermatozoi, che impediscono al nostro opulento Occidente, incontrando gli ovuli, di mettere al mondo nuove vite. E chiunque sperpera il proprio seme andrebbe sanzionato penalmente.
E’ triste leggere certi sproloqui che mancano del minimo indispensabile per poter avere anche un minimo di dibattito: la biologia. Non conoscere o nascondere le differenze fra cellule sessuali di un individuo ed i termini di zigote, embrione, feto che designano stadi evolutivi di un organismo unico e vivente, distinto dall’organismo che lo cresce è deleterio per qualsiasi forma di ragionamento onesto.
Piccola precisazione: a parlare del corpo delle donne non ci sono solo uomini , ma tantissime donne, basti vedere chi guida i principali movimenti pro-life statunitensi, ma ammesso che anche questo basti a chi vuole zittire le opinioni opposte (infatti non dovrebbe essere la sola donna in questa situazione a discutere sul proprio corpo e non altri individui, uomini o donne che siano?), rimane il fatto che i pro-aborto non parlino del corpo di quell’esserino nell’utero. E’ sempre un’estensione del corpo della donna? Perché se così fosse, in quasi la metà delle gravidanze la donna si troverebbe a possedere pure organi genitali maschili…
Gaetano Greco 10 marzo 2024. Una testimonianza di maschio, una riflessione fra maschi.
Testimonianza. Nella primavera del 1974, sposi già da due anni, giunta al secondo mese di gravidanza la mia giovane moglie fu colpita da un aborto spontaneo (per toxoplasmosi). Ricoverata in ospedale, i medici non riuscivano a bloccare l’abbondante e continua emorragia e il primario si rifiutò di praticare il raschiamento, esponendola al rischio letale di una setticemia. Solo l’intervento di un autorevolissimo primario (cattolicissimo!) indusse il primario di ginecologia a compiere il suo dovere. Ribadisco: il suo dovere! Infatti, già due mesi prima dell’evento, con la sentenza n. 27 del 18.02.1975 la Corte Costituzionale aveva dichiarato incostituzionale l’art. 546 del Codice penale Rocco, che qualificava come reato l’aborto anche in caso di accertato pericolo per la salute della madre. Ricordo ancora con terrore e ira quei giorni, in cui la compagna di tutta la mia vita avrebbe potuto morire per l’indifferente crudeltà di un altro maschio.
Riflessione. Per caso in questi stessi giorni mi è capitato di leggere il trattatello di John Stuart Mill Sull’asservimento delle donne (1869). Ovviamente Mill non poteva conoscere in anticipo gli «studi di genere», ma aveva ben compreso che da millenni anche per le donne, proprio come per la schiavitù, la «razza» e altre «differenze», le regole, i doveri e i – pochissimi – diritti sono stati elaborati e imposti dai maschi potenti e dagli intellettuali maschi al loro servizio. Ma noi maschi possiamo sentire sui nostri corpi la sofferenza della morte o della menomazione per una gravidanza settica, possiamo subire l’oltraggio bestiale di una gravidanza imposta con la violenza sessuale? No di certo! Noi maschi possiamo soltanto accompagnare e sostenere le nostre donne nelle loro libere scelte.
Una legge sull’aborto che lo regolamenti nei casi limite quali lo stupro, il pericolo per la vita della madre e via discorrendo potrebbe anche essere accettabile.
Ma questi casi limite non sono una buona ragione per introdurre una legge che liberalizzi in toto l’aborto.
Noi maschi, assumendoci le nostre responsabilità (laddove ci sono), dobbiamo ricordare che chiunque uccide un innocente commette un peccato gravissimo. E ne risponderà davanti a Dio.
È difficile fare chiarezza in questioni così delicate appellandosi alla logica dilagante e fuorviante dei “diritti” . D’altronde la nozione di diritto è stata lanciata nel mondo dalla Francia nel 1789 e da allora non si riesce più a slegarla dal concetto di persona umana. A mio parere si tratta di cambiare prospettiva e mettere da parte l’ idea stessa dei “diritti”, delle donne come dei nascituri e di tutti coloro che chiedono semplicemente – rispetto-. Si tratta di capire cosa è veramente sacro in ogni essere vivente e cosa offende questa sacralità. A tal proposito vorrei usare le parole della filosofa Simone Weil che, francese di nascita e di formazione, ma con un pensiero libero e profondo, scrive: “ Dalla prima infanzia sino alla tomba qualcosa in fondo al cuore di ogni essere umano, si aspetta invincibilmente che gli venga fatto del bene e non del male. È questo, innanzitutto , che è sacro in ogni essere umano”. E chi sente il male che viene fatto è spesso chi è meno capace di parlare.
Io spero tanto e me lo auguro di cuore che si discuta e che venga approvato nel parlamento italiano l’articolo di legge di proposta popolare “Un cuore che batte”. Con una preghiera.
Iniziativa sorta per volontà del grande “Giorgio Celsi” e della sua meritevole associazione “Ora et labora” in difesa dei più indifesi: o nascituri.
Teoricamente può essere una cosa molto positiva, perché si è visto che mostrare alle donne il bambino dentro di loro è un forte dissuasore verso l’aborto.
In pratica ho molti dubbi.
Mi spiego: quando si sono fatti i referendum sulla legge 194 non è stato respinto solo il referendum abrogativo, ma anche la proposta dei radicali per liberalizzarlo in toto. Ergo la 194 è diventata una legge compromissoria tra le sue posizioni.
Una qualsiasi modifica rischia di porsi come una rottura di un fragile compromesso, con il rischio di dare forza alla parte avversa e di ritrovarci tra qualche hanno con una situazione come quella francese, ergo molto peggiore.
Un giurista serio, non può che inorridire per questa elevazione a “diritto costituzionale” di una pratica che dovrebbe invece rientrare nel concetto di “facoltà” regolamentata da una legge che, per la delicatezza della materia, ne dovrebbe definire modalità e limiti. Purtroppo siamo di fronte alla assolutizzazione di un individualismo che prescinde da qualsiasi etica..
Macché siamo di fronte ad una difesa dall’effetto Polonia. È una facoltà messa troppo spesso in discussione per non immaginare reazioni di difesa anche molto forte. Non lo si capisce che questo nasce dal crescente peso del destre antiabortiste? Se non si vuole lasciare la facoltà allora la si inserisce in costruzione così nessuno toccherà più questa facoltà.
Regolamentare l’aborto?
E come la mettiamo con quello che Norberto Bobbio ha chiamato ” il diritto fondamentale del concepito” ossia il diritto di nascita?
Vale tutto. Ma occorre trovare il male minore perché un bene maggiore purtroppo in questo caso non esiste.
Il problema è che comunque il ‘male minore’ va comunque chiamato e non va considerato una situazione in cui adagiarsi. Anche se è l’unica alternativa praticabile
Di fronte alla costanza con la quale gli esseri umani rinunciano a se stessi si rimane senza fiato.
L’umanità è un concetto ormai non una realtà.
Se non si è “funzionanti” si può essere uccisi.
Per i vecchi e i malati l’eutanasia tanto non servono.
Per i bambini non ancora partoriti l’aborto.
Una cosa veramente orrenda.
E non è questione di cristianesimo, ateismo o buddismo.
Qui è in ballo l’umanità che dovrebbe unire tutti.
Anche io penso sia ora di smettere di sdegnarsi e di ragionare sul perché certe cose accadono.
L’ aborto in Francia e’ stato ” sacralizzato” . Cioe’ non si tratta piu’ di liberalizzato ,era gia’ liberalizzato ,ma di renderlo un “sacro diritto”. A nessuno sfugge il profondo significato simbolico di questo gesto. Non solo la Francia e’ laica ma e’ portatrice di un nuovo culto ,quello dei ” diritti dell’ uomo”. Questa legge e’ simbolicamente contraria a tutte le religioni, cristianesimo, Islam, buddismo , che ritengono la vita , ogni vita ,sacra e da proteggere .Come faranno a conciliare vegetarianesimo e uccisione dei feti ed embrioni umani sara’ difficile da capire. Mangiare un uovo ,uccidendo l’ embrione di pollo, sara’ peccato e uccidere un embrione umano no ?
Quelle esposte mi sembrano osservazioni ragionevoli e anche condivisibili , specie se si adotta la prospettiva etica e religiosa cristiana. La riforma francese non introduce nulla di nuovo dal punto di vista giuridico, l’aborto è ampiamente e legalmente praticato in Francia da decenni, e dietro tale misura si intravedono particolari motivazioni ideologiche e anche elettoralistiche (vale per Macron che è in campagna elettorale). Quello che allora mi chiederei è come è possibile che la maggioranza del mondo politico e anche dell’opinione pubblica (non solo francese) ha non solo acclamato tale riforma, ma addirittura l’ha salutata come un progresso civile a favore delle libertà? Come è possibile che il “messaggio cristiano” sulla difesa della vita sia oggi così poco recepito e così tanto contestato? Perché la Chiesa non riesce a farsi per lo meno ascoltare su questioni come l’aborto e il fine vita? Di certo gli scandali (pedofilia in primis) hanno contribuito a rendere meno udibile all’esterno la voce della Chiesa, specie quella dei suoi rappresentanti istituzionali. Ma temo che questo non sia il solo motivo. Forse ci si dovrebbe interrogare seriamente su questa situazione… intanto però l’idea che i deboli, come i nascituri, non siamo soggetti di diritto ma semplici oggetti di diritto altrui avanza con il suo seguito di drammatiche conseguenze…