La Settimana Teologica della Facoltà di teologia dell’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas, svoltasi dal 26 al 29 febbraio, ha sviluppato sul campo pratico la proposta e le preoccupazioni espresse da papa Francesco nella lettera Laudate Deum. Proponiamo alle lettrici e ai lettori di SettimanaNews la traduzione italiana della relazione che ha aperto i lavori della Settimana Teologica, ringraziando l’autore Luis Betancourt Montenegro e il preside della Facoltà p. Antonio Teixeira scj per il permesso di pubblicazione.
L’enciclica Laudato si’ e l’esortazione apostolica Laudate Deum di papa Francesco esprimono la preoccupazione della Chiesa cattolica per il modo con il quale gli esseri umani, in particolare le società dominanti, mantengono un rapporto squilibrato e distruttivo con il pianeta Terra e i biomi che lo sostengono.
Questi documenti di papa Francesco rivolgono un appello alla scienza e alla spiritualità ad avere un rapporto basato sui valori dell’umanità e del cristianesimo riguardo alla nostra “casa comune”.
Entrambi i documenti pontifici sottolineano in modo particolare l’importanza e come deve essere il nostro rapporto con l’Amazzonia, una vasta regione situata in Sud America, ricca di diverse forme di vita che rappresentano il futuro dell’umanità, la cui utilità ecologica e sociale riguardano il mondo intero.
Il papa ci invita inoltre a riconoscere, rispettare e apprezzare le culture indigene che popolano le giungle e i fiumi dell’Amazzonia, come punto di riferimento imprescindibile nell’attuale crisi climatica globale.
Questo articolo si propone di analizzare, a partire dalla Laudato si’ e dalla Laudate Deum, la situazione attuale dei popoli indigeni dell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana e dei loro territori, a partire dall’esperienza sul campo che il Gruppo di ricerca Amazon (GRIAM) mantiene con diverse comunità indigene dello stato dell’Amazzonia.
I popoli indigeni dell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana
«Le riflessioni teologiche o filosofiche sulla situazione dell’umanità e del mondo possono suonare come un messaggio ripetuto e astratto se non vengono riproposte a partire da un confronto con il contesto attuale, in un contesto senza precedenti per la storia dell’umanità. Pertanto, prima di riconoscere come la fede porti nuove motivazioni ed esigenze al mondo di cui facciamo parte, propongo di fermarci brevemente a considerare ciò che sta accadendo alla nostra casa comune».
Con questo importante messaggio papa Francesco apre il primo capitolo dell’enciclica Laudato sì’, il cui contenuto mi ha spinto a presentare la situazione sociale, ambientale e territoriale dei popoli indigeni e dell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana, a partire dalle realtà quotidiane che vivono oggi. Non in base a laboratori di analisi astratte, ma all’esperienza e al rapporto diretto con i leader indigeni che mi permette il lavoro sul campo in diverse comunità all’interno dello stato dell’Amazzonia.
Nel corso degli ultimi due decenni, le popolazioni indigene dell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana sono state costrette a drastici cambiamenti dei loro modelli socioculturali, soprattutto per la presenza nei loro territori di gruppi irregolari impegnati in attività estrattive e in mercati illegali.
Si tratta di una situazione in cui confluisce una serie di fenomeni che hanno un impatto negativo sulle popolazioni indigene che vivono nel sud del fiume Orinoco, sui loro territori e sugli elementi dell’ecosistema.
Storicamente, le condizioni sociali delle popolazioni indigene dell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana sono state caratterizzate dalla trascuratezza dello Stato, in parte perché si tratta di popolazioni situate in zone di medio e difficile accesso, dove le politiche pubbliche in materia sociale hanno poca o nessuna presenza in rapporto al resto della società. Questa era la situazione prima del 2000, considerando anche alcuni momenti e tappe favorevoli per queste popolazioni, soprattutto dal punto di vista sanitario, come l’esperienza del Piano Sanitario Yanomami.
L’attuale conflitto socio-politico ed economico che sta attraversando il nostro Paese ha esacerbato le pressioni e le minacce socio-ambientali nei confronti delle popolazioni indigene del sud del Venezuela. Da almeno due decenni, si sta consolidando nei territori indigeni la presenza di gruppi irregolari provenienti dalla Colombia e dal Brasile che influenzano notevolmente le abitudini culturali e i modelli di un’economia tipica di questi popoli.
Oggi, le popolazioni indigene dell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana sono al vertice dei peggiori indicatori sociali del paese, soprattutto in termini di salute. Durante il primo semestre del 2022, il sistema sanitario pubblico ha segnalato 3.900 casi di malaria nel comune di Atabapo, nello stato di Amazonia, la cui popolazione è di 12.749 abitanti.
Gli indigeni Yanomami dei comuni dell’Alto Orinoco, Manapiare e Río Negro dello stato di Amazonia hanno registrato un aumento dei casi di malaria e di tubercolosi, che continuano a compromettere la loro salute e a provocare un certo numero di morti. Molti di questi casi di morbilità e di mortalità all’interno delle comunità indigene di queste zone non figurano nemmeno nei registri epidemiologici.
La grande minaccia per l’Amazzonia – Orinoquía venezuelana
L’estrazione mineraria illegale in Amazzonia – Orinoquía venezuelana rappresenta la maggiore aggressione ai suoi vari e fragili ecosistemi e ai suoi abitanti. L’estrazione di minerali in determinate zone della regione, oltre a distruggere le superfici terrestri destinate alla coltivazione comunitaria, come anche le montagne, i fiumi, i ruscelli e le diverse forme di vita animale e vegetale, sta anche compromettendo la salute e la vita umana.
L’aumento di casi di malaria e di altre malattie che colpiscono le popolazioni indigene della regione è associato all’invasione dei loro territori da parte di gruppi irregolari dediti ad attività minerarie illegali. Nella maggior parte dei casi queste patologie sono dovute all’impatto dell’attività mineraria che distrugge gli ecosistemi che servono da base di sussistenza in termini di alimentazione comunitaria, e, in altri casi, all’introduzione di germi patogeni nelle comunità indigene ad alta vulnerabilità sanitaria, come nel caso dei popoli Yanomami, Hoti, Sanema.
La distruzione dell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana a scopo di estrazione comprende anche ogni forma di violenza contro le popolazioni indigene.
Uno dei casi di violenza più emblematici è stato l’omicidio di Virgilio Trujillo Arana nel giugno 2022, membro della Guardia Territoriale Indigena del municipio di Autana. Questo è stato il caso più conosciuto degli ultimi anni di violenza contro gli indigeni da parte di gruppi irregolari, ma ci sono anche altri casi che non vengono riportati né conosciuti perché avvenuti in zone dove i media e l’opinione pubblica non hanno accesso.
Nel 1993, nell’Alto Orinoco, nel settore di Haximú, si verificò uno degli eventi più violenti contro il popolo Yanomami, che provocò la morte di 16 persone. Fu un massacro provocato dalla disputa sui territori con giacimenti d’oro, assediati dai garimpeiros del Brasile.
Purtroppo, fatti come questo non riguardano il passato, ma costituiscono una violenza ciclica presente oggi nelle comunità indigene Yanomami, provocata dal controllo territoriale e dal commercio illegale dell’oro.
In pieno 2024 in tutta l’area dell’Alto Orinoco, in particolare nei settori Haximú, Chalbaud, Yarita, Simarawochi, Tokori, Momoi, tra gli altri, vengono effettuate attività minerarie illegali controllate da gruppi brasiliani illegali; a tale scopo viene distrutta gran parte degli ecosistemi che configurano le sorgenti del fiume Orinoco e, di conseguenza, viene compromessa la salute degli indigeni Yanomami che abitano l’area. Gli Operatori della Comunità Yanomami di Assistenza Sanitaria Primaria (ACYAPS) dell’Alto Orinoco, segnalano in questo tempo un forte aumento della malaria, che causa la morte di molte persone.
Riguardo all’impatto socioculturale generato dall’estrazione mineraria illegale e dalla presenza di gruppi irregolari nei territori indigeni dell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana, il Coordinamento di Investigazione Socioantropologica del GRIAM ha pubblicato la seguente analisi:
«L’estrazione illegale nei territori indigeni ha gravi ripercussioni sulle basi socioculturali di queste popolazioni. A seconda della loro scala o dimensione, le attività minerarie possono portare alla scomparsa graduale o definitiva di consuetudini e conoscenze che garantiscono la gestione del territorio e la continuità culturale e identitaria di un popolo. In linea di principio, promuovono una rottura o divisione tra chi decide di praticarla per sopravvivenza e chi sceglie di mantenere un modello di vita in armonia consono con l’equilibrio ecologico del territorio amazzonico.
Questa situazione incide sull’organizzazione sociopolitica della comunità e sulla struttura familiare, comunemente basata sulla parentela e sulla reciprocità. In questo senso, i ruoli cambiano e alcune attribuzioni sociali assegnate a uomini, donne o anziani perdono rilevanza, generando importanti divari che producono una frammentazione sociale che approfondisce le disuguaglianze e crea tensioni e conflitti interetnici.
Un indigeno anziano o anziana, il cui ruolo è associato alla trasmissione e al sostegno della sapienza culturale del proprio popolo, possono essere respinti o messi in disparte dal sistema decisionale basato sulla logica estrattiva che li considera improduttivi. La donna indigena, il cui ruolo rafforza i processi produttivi e la socializzazione della cultura e guida la ridistribuzione dei beni alimentari o materiali, nel contesto delle richieste dell’estrazione illegale potrebbe ridurre la sua azione e la sua leadership.
Le leadership delle autorità tradizionali, siano esse capitani o notabili, si vedono indebolite e talvolta, a causa di minacce, pressioni o per sopravvivenza, riorientano la loro rappresentatività a favore dello sviluppo delle attività minerarie e dei gruppi collegati. In questo modo, gli operatori stranieri che promuovono tale attività ottengono sostegno e strumentalizzano le strutture organizzative preesistenti nelle comunità per i propri scopi economici».
La situazione dell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana
Tutta questa complessa situazione sociale e ambientale presente nell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana, ci invita a riflettere, a partire dall’esegesi dei documenti papali Laudato si’ e Laudate Deum, su come viene gestita una delle regioni più importanti del mondo e del pianeta Terra, secondo una logica estrattiva e distruttiva che pregiudica la salute e la dignità di chi la pratica.
Poco alla volta e molto rapidamente vengono distrutte vaste estensioni di foreste e di fiumi che servivano a produrre nutrimento e vita per le popolazioni indigene che abitano la regione da almeno 10.000 anni. In questa regione (Amazzonia, Bolívar e Delta Amacuro), che rappresenta circa il 48% del territorio nazionale, si genera la maggior quantità di energia elettrica e di acqua potabile che raggiunge le case dei venezuelani. Ciò significa che i suoi servizi ecologici e la sua utilità sociale trascendono il resto del Paese e del mondo.
In momenti in cui è stata dichiarata una crisi climatica globale, che finora colpisce le popolazioni più vulnerabili direttamente esposte ai fenomeni del riscaldamento planetario, i documenti Laudato si’ e Laudate Deum rappresentano un manuale di ecologia integrale su come si dovrebbe comportare l’umanità nel suo rapporto con la “casa comune”, come papa Francesco ha chiamato il pianeta Terra e l’Amazzonia.
Ogni persona che pratica la dottrina cristiana deve essere un difensore attivo della nostra Amazzonia – Orinoquía venezuelana, poiché si tratta di uno dei tre biomi che determinano la sopravvivenza del pianeta e che fanno fronte ai diversi fenomeni che determinano o sono associati al cambiamento climatico.Le foreste tropicali umide dell’America del Sud, che ammontano a circa 6.700.000 km², di cui il 6,1% è situato nel Venezuela meridionale, devono essere oggetto di un trattamento di protezione e di conservazione speciale e preferenziale da parte dello Stato e della società in generale, perché il rapporto e l’interazione di tutti questi ecosistemi assorbe gran parte dell’anidride carbonica dispersa nell’atmosfera, principale elemento generatore del riscaldamento globale e del cambiamento climatico.
Nel caso dell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana, le foreste tropicali che si estendono su tre entità federali svolgono questo ruolo solo nella misura in cui sono libere da attività minerarie illegali e da altre forme che ne compromettono il funzionamento ecologico. Attraverso la grande quantità di acqua presente in fiumi, ruscelli e zone umide, i biomi amazzonici svolgono anche la funzione di generare umidità e calore, e l’interrelazione di questi due elementi propizia i cosiddetti “fiumi volanti”, prodotti dalle lunghe stagioni delle piogge nella regione, e tutto questo serve a raffreddare il pianeta Terra.
Il Rapporto 2022 Amazzonia viva preparato dall’organizzazione internazionale per la conservazione ambientale WWF, ci ricorda che le zone protette meglio curate della regione amazzonica del Sud America sono abitate e gestite da circa 500 popolazioni indigene.
Questa premessa ci dice che essi – i popoli indigeni – mantengono un rapporto equilibrato con gli elementi naturali che li circondano, perché, attraverso i millenni, hanno saputo interpretare, comprendere e rapportarsi con il loro ambiente naturale. Senza alcun dubbio, questo modo di intendere, comprendere e relazionarsi si basa su una visione cosmogonica orientata dai loro dèi, così comenel cristianesimo con i documenti Laudato si’ e Laudate Deum siamo orientati verso un rapporto sano ed equilibrato con la nostra casa comune.
Negli ultimi anni, almeno in Venezuela, si è creato un sistema di opinione sulla vocazione mineraria e distruttiva delle popolazioni indigene del Venezuela meridionale. Prima di fare questa falsa affermazione, è importante analizzare il motivo per cui alcune comunità indigene hanno deciso di praticare l’attività mineraria. La risposta alla domanda è legata all’invasione e al controllo dei loro territori da parte di gruppi irregolari dediti all’estrazione mineraria illegale e ad altri mercati correlati, insieme alle politiche pubbliche precarie o inesistenti in materia sociale, che dovrebbero soddisfare almeno i requisiti di base di queste popolazioni in termini di salute e di istruzione.
La crisi sociale ed economica si riflette anche in molte comunità che, in precedenza, vivevano di turismo, artigianato, agricoltura… Davanti a questo panorama, è da sognatori e da ingenui pensare che le comunità indigene non cadessero nella tentazione di esercitare l’estrazione per soddisfare le loro esigenze più urgenti, nonostante si tratti di pratiche contrarie alla loro cultura e alla visione spirituale e filosofica della loro madre terra.
Ciò significa che, per risanare tutta la nostra Amazzonia – Orinoquía e ripristinare un rapporto equilibrato e armonioso, è necessario farlo attraverso politiche pubbliche volte a ripudiare la presenza e ad espellere i gruppi irregolari che controllano i territori in cui si pratica l’estrazione mineraria, come anche garantire i diritti sociali più urgenti richiesti dalle comunità indigene presenti negli stati di Amazona, Bolívar e Delta Amacuro, soprattutto in termini di salute, istruzione e alternative economiche basate sui loro modelli di vita.
I circa 32 popoli indigeni che vivono nell’Amazzonia – Orinoquía venezuelana, dall’Alto Orinoco degli Yanomami al Delta del Warao, hanno saputo relazionarsi con il loro ambiente naturale ed ecologico da migliaia di anni, senza ferire o mettere a rischio la loro integrità. Sono stati in grado di interpretare il mandato di Wahari, Wanadi e Omawe (dèi Huottöja, Ye’kwana e Yanomami), su come dovrebbero essere il rapporto e la cura della loro madre terra.
Una delle grandi ricchezze teologiche ed esegetiche della Chiesa cattolica è il riconoscimento della presenza di Gesù Cristo nelle diverse culture indigene, attraverso le loro credenze e interpretazioni cosmogoniche e spirituali. In entrambe le visioni, che sono identiche anche se derivanti da realtà diverse, si riconosce il rispetto e l’uso appropriato dell’ambiente naturale e di tutte le forme di vita che lo popolano.
Nella corrente del cristianesimo e delle religioni indigene, il buon trattamento che riserviamo alla casa comune rappresenta anche il buon trattamento di sé stessi e l’agire con dignità. Avere una visione/azione di protezione, conservazione e uso sostenibile delle risorse della natura significa nobilitare la nostra condizione di esseri umani impegnati per il presente e il futuro dell’umanità e del pianeta, opera del Dio cristiano o delle divinità indigene.
I popoli indigeni e il messaggio della Chiesa cattolica
L’Amazzonia – Orinoquía venezuelana e le sue popolazioni indigene rappresentano uno dei modelli di sostenibilità per il mondo. La ricchezza culturale, biologica e paesaggistica rappresenta la sua maggiore potenzialità per contribuire alla soluzione dell’attuale crisi mondiale. Oltre alle varie funzioni ecologiche che questa importante regione fornisce per mitigare il riscaldamento globale, essa mette a disposizione modelli di sviluppo alternativi basati su valori propri.
Durante i costanti incontri a cui ho partecipato con le popolazioni indigene dello Stato dell’Amazzonia, in particolare con il popolo Huottöja, esse hanno manifestato interesse a promuovere il turismo nelle loro comunità e territori. Hanno capito che il turismo è un’attività che genera reddito economico per soddisfare i bisogni primari e promuovere anche un rapporto amichevole con il mondo esterno. Vogliono mostrare, attraverso il turismo, il vero volto della loro foresta, dei loro fiumi e delle loro culture solidali, uno dei valori più importanti di queste popolazioni.
La vocazione di questa regione abitata da popolazioni indigene si basa sull’agricoltura familiare e comunitaria. Questa attività di sussistenza si pratica da sempre senza mettere a rischio i loro territori o la loro salute, a differenza degli esiti che l’estrazione illegale provoca in questi fragili ecosistemi.
L’Amazzonia – l’Orinoquía venezuelana (e sudamericana) merita una visione inclusiva degli aspetti ecologici, sociali e spirituali, poiché si tratta della regione maggiormente diversificata del pianeta Terra. Si tratta di circa 2.500 specie di pesci, di 40.000 specie di piante, della più grande riserva di acqua dolce del mondo e della maggiore quantità di popolazioni indigene del continente.
Questi record meritano di richiamare l’attenzione sull’importanza e sul trattamento speciale che dobbiamo riservare ad essi, perché sono una garanzia per la vita dell’umanità e il funzionamento del pianeta Terra.Attraverso piccoli ma mirati interventi nella regione amazzonica – Orinoquía venezuelana – in base al Gruppo di Ricerca sull’Amazonia, un’organizzazione di ricerca, educazione e azione socio-ambientale che rappresento – giorno dopo giorno promuoviamo l’approccio a questi valori dalla nostra stessa visione, basata sulla dottrina spirituale della cura della Madre Terra, la stessa che i popoli indigeni hanno sviluppato per adattarsi pienamente ad essa.
- Luis Betancourt Montenegro lavora nel campo dei diritti umani ed è direttore generale del Gruppo di ricerca sull’Amazzonia – GRIAM (qui).