Proprio per contrastare efficacemente la politica di distruzione e di morte perseguita oggi dal governo israeliano, dovremmo tornare a porci la “questione ebraica”: perché l’antisemitismo? Perché l’intolleranza e l’odio verso gli ebrei e i loro amici? Un fenomeno, pur dai mille volti, innanzitutto antropologico.
Personalmente, trovo preziosa l’idea freudiana di perturbante. Il “perturbante” come ciò che sentiamo estraneo e di cui, nello stesso tempo, portiamo qualcosina dentro, nelle nostre pieghe più intime. Gerusalemme, accanto ad Atene, a Roma o ad Alessandria d’Egitto, è la matrice dell’Occidente. Di esso è, insieme, cuore e margine, centro e periferia. Riversando su Gerusalemme il nostro odio, le nostre frustrazioni, da animali eccentrici quali siamo, come Helmuth Plessner ci insegna, colpiamo contemporaneamente “l’altro” e “noi stessi”; esprimiamo il nostro disprezzo e il nostro rifiuto per “il diverso” e per “il diverso che è in noi”, per “il diverso che noi stessi siamo”.
Così l’odio-invidia per l’ebreo ricco e avido propone segretamente, in realtà, il tema della nostra avidità e venalità. E così il disprezzo-invidia per l’ebreo “miscredente”, rispetto alla nostra miscredenza. Lo stesso vale per il disgusto-invidia nei confronti dell’ebreo “libertino” e “libidinoso”. O magari per l’idea dell’ebreo-israeliano colonizzatore e nazionalista, rispetto ai nostri nazionalismi e ai nostri colonialismi. O, per contro, la figura dell’ebreo errante e cosmopolita, riguardo alla nostra erranza, al nostro smarrimento o al nostro sentirci apolidi.
Come se l’ebrea o l’ebreo fossero, nello stesso tempo, troppo diversi e troppo simili a noi. Odiandolo, odiamo la nostra stessa appartenenza all’Occidente e, insieme, invidiamo l’eccentricità dell’ebreo rispetto all’Occidente stesso. Dove l’invidia è da intendere in senso etimologico: “un non poter vedere”, “un voler eliminare”. Non l’emulazione, insomma, bensì il desiderio di cancellare una presenza, di eliminarne persino la traccia. Senza poterci riuscire, in quanto quella traccia è dentro di noi, risuona con quel che noi siamo. Da qui la sensazione di trovarci dinanzi a un rompicapo, a un dilemma irrisolvibile, a una sfida impossibile.