Lo scorso 26 gennaio, mons. Richard Moth, vescovo di Arundel e Brighton, ha chiesto al governo del Regno Unito di raddoppiare gli sforzi per la riforma carceraria (qui la notizia sul sito dei vescovi cattolici britannici). Il giorno stesso, il Ministero della Giustizia aveva reso noto che il numero dei suicidi registrato nelle carceri in Inghilterra e Galles non era mai stato così alto come nel 2016.
I dati dell’anno appena concluso parlano chiaro: 119 suicidi, 37.784 casi di autolesionismo, 25.049 casi di aggressione. La carenza di organico e il sovraffollamento vengono considerate le principali cause della preoccupante crescita. Sempre nel corso del 2016, si segnala che sono state migliaia le persone (soprattutto tra le guardie) ad abbandonare il loro lavoro tra le mura del carcere a causa delle accresciute preoccupazioni per la salute e la sicurezza (dopo i numerosi casi di aggressione).
Dati scioccanti e incaccettabili
«Le statistiche attuali sui suicidi e gli atti di autolesionismo in prigione – afferma mons. Moth – sono scioccanti. Ogni morte rappresenta una tragedia per la persona stessa, per i suoi familiari e per il personale carcerario che ha cercato di aiutarla. Consentire che nelle nostre carceri si arrivi a questo livello è inaccettabile. Sovraffollamento e carenza di personale sono fattori indubbiamente importanti tra le cause di questo dato. La questione deve essere affrontata con urgenza. Bisogna affrontare urgentemente le questioni riguardanti la carenza di personale ed il sovraffollamento di detenuti, anche per assicurare le giuste e necessarie cure ai prigionieri affetti da malattie mentali».
E conclude: «Dostoevskij scriveva che il grado di civiltà di una società si può giudicare entrando in una delle sue prigioni. È responsabilità di tutti noi affrontare questa situazione. Chiediamo di nuovo al governo a procedere il più presto possibile alla riforma carceraria. Nel frattempo, attraverso i suoi cappellani e volontari, la Chiesa s’impegna a proseguire nell’impegno di supportare i detenuti più vulnerabili, lavorando al fianco delle istituzioni e dei responsabili degli istituti di detenzione».