Israele-Iran: il futuro di Gaza

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Ritorno alla normalità a Gerusalemme dopo gli attacchi iraniani.

Ritorno alla normalità a Gerusalemme dopo gli attacchi iraniani.

English version below.

Nessuna vittima, pochissimi danni, oltre il 90% dei droni intercettati. L’attacco iraniano a Israele è stato una poderosa dimostrazione di forza della difesa israeliana, una benedizione sotto mentite spoglie. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden voleva che Israele annullasse ulteriori ritorsioni, e Israele si è adeguato.

Dietro la cattiva prestazione dell’Iran potrebbero esserci stati dei colloqui sottobanco tra Washington e Teheran.

La fine dell’escalation faciliterebbe il dialogo con l’Iran per fermare gli attacchi degli Houthi che hanno interrotto il commercio internazionale da Suez al Golfo di Aden. Se il trasporto sul Mar Rosso riprendesse a pieno ritmo i premi assicurativi diminuirebbero, i prezzi del petrolio potrebbero scendere e l’inflazione seguirebbe. La FED potrebbe quindi tagliare i tassi di interesse e la classe media americana e mondiale potrebbe iniziare a godere dei benefici della ripresa degli Stati Uniti.

Alcuni in Israele potrebbero ritenere necessaria una rappresaglia per scoraggiare ulteriori attacchi e incoraggiare i molti iraniani che si sono messi in fila alle stazioni di servizio, preoccupati dalla vendetta israeliana e scontenti del regime. Tuttavia, la vendetta è un piatto che va servito freddo.

Una pausa potrebbe essere accolta con favore a Pechino. La Cina sta ricucendo i rapporti con gli Stati Uniti e potrebbe non voler essere trascinata in un’escalation, costretta a scegliere tra Iran e America. La Cina ha bisogno di almeno un minimo di pace e stabilità per sostenere il suo commercio. Inoltre, la situazione rimane politicamente confusa almeno fino alle elezioni statunitensi, quando sarà chiaro se il presidente sarà Biden o Donald Trump.

Fino ad allora Pechino potrebbe volere tutte le sue opzioni aperte, cioè potrebbe non essere interessata alla fine della guerra in Ucraina con un accordo degli Stati Uniti con la Russia o alla sconfitta di quest’ultima, ma potrebbe opporsi a un’ulteriore estensione dei combattimenti in Medio Oriente.

Tutto ciò riporta la situazione a Israele e Gaza, dove Hamas non potrà più contare sull’ampio sostegno dell’Iran e dei suoi alleati. È certo un duro colpo politico per Hamas, ma questo non risolve le complessità politiche della guerra a Gaza e del suo successo politico.

Il parallelo con la Russia è sostanziale. Poiché la guerra è il perseguimento di fini politici con altri mezzi, la Russia ha perso la guerra, indipendentemente dall’esito dei combattimenti nei mesi prossimi. In realtà Mosca voleva prendere il controllo dell’Ucraina, dividere l’UE e spingere gli Stati Uniti fuori dall’Europa. Non è successo nulla di tutto ciò. La NATO si è espansa ed è più grande che mai; l’UE e gli USA sono più uniti ed è impossibile, a questo punto, che la Russia prenda il controllo dell’intera Ucraina.

Israele potrebbe correre un rischio simile e mancare i suoi obiettivi politici nella guerra a Gaza. Sì, non c’è stata una rivolta generale araba e musulmana a favore di Hamas. Gli arabi in Medio Oriente e Israele hanno sostenuto lo sforzo bellico, desiderosi di cancellare Hamas dalla mappa politica.

Dopo sei mesi di ostilità, la guerra più lunga nella storia di Israele, l’obiettivo di eliminare Hamas, come dichiarato all’inizio del conflitto, sembra rimanere qualcosa di sfuggente.

L’imperativo etico-politico di salvaguardare le vite dei civili, mentre si perseguono obiettivi militari contro Hamas, ha reso la guerra lenta e complessa. Tuttavia, l’obiettivo morale è essenziale per sottolineare che Israele non sta cercando il genocidio dei palestinesi. Israele deve affermare che sta combattendo per la propria sopravvivenza contro un gruppo terroristico disposto a uccidere donne e bambini palestinesi per sostenere le proprie ambizioni.

Il dibattito interno

Una delle sfide più importanti per Israele a Gaza non è solo sul campo di battaglia, ma anche nell’ambito dell’opinione pubblica e delle relazioni internazionali. Il quotidiano israeliano Haaretz ha sostenuto che Israele sta perdendo la guerra nel tribunale dell’opinione pubblica e globale.

“Abbiamo perso. La verità deve essere detta. L’incapacità di ammetterla racchiude tutto ciò che c’è da sapere sulla psicologia individuale e di massa di Israele. C’è una realtà chiara, nitida e prevedibile, che dovremmo iniziare a scandagliare, elaborare, comprendere e da cui trarre conclusioni per il futuro” – sostiene l’autorevole quotidiano israeliano.

Questa prospettiva dà il via a un dibattito di vitale importanza sull’esito di questo prolungato conflitto e sulla strategia a lungo termine di Israele.

Costruire e mantenere il consenso, sia a livello nazionale che internazionale, è fondamentale non solo per la sopravvivenza di Israele, ma anche per la posizione dei suoi alleati.

Le accuse di genocidio da parte di accese folle filopalestinesi nei paesi occidentali possono trovare conferma nel sostegno incondizionato a Israele da parte di partiti come l’Alternativa per la Germania (AfD), un gruppo con posizioni controverse e una storia intricata di antisemitismo. Tutto ciò complica la posizione di Israele. Tali associazioni potrebbero potenzialmente alienare ampie fasce di sostegno internazionale e offuscare la posizione di Israele nel conflitto.

Potrebbe essere già successo in passato. Michel Korinman, nel suo Deutschland über Alles, racconta come l’idea del pangermanesimo e dell’antisemitismo sia nata dalla Prima guerra mondiale, in particolare dai massacri del 1917 sul fronte orientale. Prima della Grande guerra Germania e Austria erano i paesi europei più tolleranti nei confronti del popolo ebraico.

In poche parole, Korinman sostiene che la guerra era nata per espandere il Lebensraum tedesco verso est, nella terra dei popoli slavi costellata di comunità ebraiche in gran parte filotedesche che parlavano un dialetto tedesco, lo yiddish. Ma gli slavi erano troppi e non era possibile spazzarli via; era meglio cercare di conquistarli unendoli contro ciò che avevano odiato per secoli: le minoranze ebraiche locali di lingua tedesca (e filo-tedesche).

Attualmente, i neofascisti europei possono odiare i musulmani, in quanto li vedono come la “feccia immigrata” che inquina la società occidentale, e in questo possono gioire delle presunte tattiche israeliane di terra bruciata e genocidio contro i palestinesi. In Israele, persone segnate e ferite possono anche rallegrarsi di questo aiuto inaspettato.

Ma questo sostegno potrebbe ribaltarsi, come accadde un secolo fa. I neofascisti potrebbero presto riconoscere che i musulmani sono troppi; è impossibile spazzarli via, ed è molto più facile unirsi a loro in ciò che odiano di più – gli ebrei.

Nel frattempo, gli israeliani che si sono alleati con i neofascisti avranno perso il sostegno dell’opinione pubblica occidentale. A quel punto Israele, a prescindere dall’esito della guerra a Gaza, avrebbe perso con enormi conseguenze geopolitiche.

Ora, Israele non ha perso la guerra, ma deve cambiare le cose prima che sia troppo tardi. Deve promuovere un sostegno diffuso per una risoluzione pacifica secondo obiettivi fattibili e raggiungibili. In questo caso, il ruolo della Santa Sede potrebbe essere essenziale, poiché una significativa minoranza di palestinesi è cattolica e il papa gode di grande rispetto anche tra i musulmani.

Israele deve cercare alleati per promuovere un consenso che garantisca pace e sicurezza a tutte le parti coinvolte. Le decisioni di oggi avranno un impatto profondo sulla sua direzione futura, sulla prospettiva di pace regionale e sulla sua posizione nella comunità globale. Questa è la vittoria politica nella guerra.


No victims, very little damage, over 90% of drones intercepted. Iran’s attack on Israel was a mighty show of force of Israeli defense, a blessing in disguise. US President Joe Biden wanted Israel to call off further retaliations, and Israel complied.

There might have been backdoor talks between Washington and Tehran behind Iran’s poor performance.

A stop to the escalation would facilitate dialogs with Iran to stop the Houthis’ attacks, which have been disrupting international trade from Suez in the Gulf of Aden. If transportation over the Red Sea resumed at full speed, insurance premiums would go down, oil prices could drop, and inflation would follow. The FED could then cut interest rates, and the middle class in America and the whole world could begin to enjoy the benefits of the US’s booming recovery.

Some in Israel may feel it necessary to retaliate to discourage further attacks and encourage the many Iranians who lined up at the gas stations, scared of Israeli revenge and disgruntled with the regime. Yet, revenge is a dish best-served cold.

A pause could be welcomed in Beijing. China is patching up with the US and may not want to be dragged into an escalation, forced to choose between Iran and America. China needs at least a modicum of peace and stability to sustain its trade. Besides, things are politically confused until the US elections, when it will be clear whether the president will be Biden or Donald Trump.

Until then, Beijing may want all its options open, i.e., it may not be keen on the end of the war in Ukraine with a US deal with Russia or Russia’s defeat, but it could oppose a further spread of the fighting in the Middle East.

All of this brings the situation back to Israel and Gaza, where Hamas will not be able to count anymore on extensive support from Iran and its allies.

It’s a massive political blow for Hamas, but it doesn’t solve the political complexities of the war in Gaza and its political success.

The parallel with Russia is substantial. As war is the pursuit of political ends by other means, Russia lost the war, no matter what the result of the fighting will be in the next months. In fact, Moscow wanted to take control of Ukraine, divide the EU, and push the US out of Europe. None of that happened. NATO has expanded, and it is larger than ever; the EU and the US are more closely together, and it’s impossible at this stage that Russia will take control of the whole of Ukraine.

Israel may run similar risks of missing its political objectives in the war in Gaza. Yes, there was no general Arab and Muslim uprising to protect Hamas. Arabs in the Middle East and Israel have supported the war effort, equally keen on having Hamas wiped out of the political map.

After six months of hostilities, the longest war in Israeli history, the goal of wiping out Hamas, as declared at the onset of the conflict, seems elusive.

The ethical/political imperative to safeguard civilian lives while pursuing military objectives against Hamas made the war slow and complex. Yet the moral aim is essential to emphasize that Israel is not seeking the genocide of Palestinians. Israel needs to assert it is fighting for its survival against a terrorist group willing to have its Palestinian women and children killed to uphold its ambition.

The Internal Debate

One of Israel’s significant challenges in Gaza then is not just on the battlefield but in the realm of public opinion and international relations. Israeli daily Haaretz argued that Israel is losing the war in the court of public and global opinion.

“We’ve lost. Truth must be told. The inability to admit it encapsulates everything you need to know about Israel’s individual and mass psychology. There’s a clear, sharp, predictable reality that we should begin to fathom, to process, to understand, and to draw conclusions from for the future,” argues the authoritative Israeli newspaper.

This perspective sparks a vital conversation about the endgame of this prolonged conflict and Israel’s long-term strategy.

Building and maintaining consensus, both domestically and internationally, is crucial not only for the survival of Israel but also for its allies’ position.

The accusations of genocide by fiery pro-Palestinian crowds in Western countries may find confirmation in the unconditional support for Israel from parties like the Alternative for Germany (AfD), a group with controversial stances and a history tangled with antisemitism. It all complicates Israel’s position. Such associations could potentially alienate broad swathes of international backing and cloud Israel’s position in the conflict.

It may have already happened in the past. Michel Korinman in his Deutschland ueber Alles. Korinman tells how the idea of pan-Germanism and antisemitism stemmed from WWI, particularly the massacres of 1917 on the eastern front. Before WWI, Germany and Austria were the countries in Europe most tolerant of the Jewish people.

In a nutshell, Korinman argues that the war was originally to expand German Lebensraum eastward in the land of Slavic people dotted with Jewish communities largely pro-German and speaking a German dialect, Yiddish. But there were too many Slavic people, and it was impossible to wipe them out; it was better to try to win them over by joining them against what they had hated for centuries – the local German-speaking (and pro-German) Jewish minorities.

Presently, the European neofascists may hate the Muslims, as they see them as the same “immigrant scum” polluting Western society, and in this, they may rejoice at Israeli presumed scorched earth, genocidal tactics against the Palestinians. In Israel, broken, wounded people may be happy with this unexpected assistance.

But this support could turn around, like a century ago. The neofascists could soon recognize that the Muslims are too many; it is impossible to wipe them out, and it’s far easier to join them in what they hate most – the Jews.

Meanwhile, Israelis who have cozied up with the neofascists will have lost the support of mainstream Western public opinion. Then Israel, no matter what the result of the fight in Gaza, would have lost the war, with enormous geopolitical consequences. It would drive a deep wedge in the heart of Western countries.

Now, Israel has not lost it, but it needs to turn things around before it’s too late. It needs to foster widespread support for a peaceful resolution according to feasible attainable goals. Here, the role of the Holy See could be essential, as a significant minority of Palestinians are Catholic, and the Pope commands great respect also among the Muslims.

Israel must seek allies to promote a consensus ensuring peace and security for all involved. Today’s decisions will profoundly impact its future direction, the prospect of regional peace, and its standing in the global community. This is the political victory in the war.

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