Diacono della soglia

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diaconato

Il volume Diaconi e relazioni di soglia di Marco Pongiluppi, oltre ad offrire un ampio e approfondito studio del ministero del diaconato nella storia della Chiesa, propone alcune idee innovative in grado «di rispondere a nuove domande e a nuove sfide per aprire la Chiesa e tutti i fedeli a relazioni di matrice trinitaria e di impronta eucaristica»; inoltre, sottolinea, in molti passaggi, come i diaconi «nelle relazioni di soglia manifestano il carattere altruista dell’ordine e il loro impiego nelle diaconie permette di affidare a loro dei gruppi che formino i fedeli a connettere fedi e culture».

Un libro sul diaconato

L’autore, pensando ad un rinnovato profilo di diaconato, propone «di chiamare al diaconato persone giovani, di aprire il ministero alle donne, e quindi all’ordinazione di diacone, e di riaggiornare la collocazione dei diaconi proponendo la vocazione diaconale soprattutto in chiave relazionale».

L’approfondimento offerto al lettore è sviluppato in cinque passaggi, tracciando un percorso che inizia con «l’analisi della situazione dei diaconi in Europa nel XX secolo», prosegue con «le storie della Chiesa antica e della patristica che consolidarono il diaconato fino al ripristino del Vaticano II», continua con «i profili del Nuovo Testamento, con l’elaborazione di orientamenti sistematici fedeli quanto utili alla vita e alla teologia dei diaconi» e termina con «la descrizione di progetti che porti la Chiesa a investire maggiormente sui diaconi, perché proprio essi possono aiutarla a superare di slancio la mentalità di declino e a preferirle la diaconia che evangelizza, celebra e serve e perciò ravviva».

L’autore, attraverso lo studio sociologico, teologico e pastorale del diaconato affronta anche il tema del ruolo della Chiesa nell’attuale situazione storico-sociale, la relazione tra Chiesa e ministeri e il rapporto tra clero e laici. In particolare, rispetto alla situazione dell’Europa, registra «il progressivo dissolvimento non tanto della fede in Dio ma della fiducia nella Chiesa come sua mediatrice». La tesi dell’autore è che, alla ripresa di fiducia nella Chiesa, «la diaconia fa bene perché avvicina le persone a Cristo e fanno bene i diaconi perché rispondono da testimoni del popolo di Dio alla domanda di relazione».

Condivido l’analisi e le proposte di rinnovamento del diaconato contenute nel volume di Pongiluppi, volte a favorire il cammino vocazionale al diaconato in chiave relazionale, di persone giovani, sia uomini sia donne.

La mia esperienza diaconale

Incoraggiato dalla valorizzazione e dalla fiducia nella testimonianza dei diaconi da parte dell’autore, propongo alcune riflessioni che caratterizzano, limitatamente alla mia esperienza, la soglia e le relazioni di soglia.

Sono diacono da una decina d’anni. In questo periodo ho avuto la possibilità di svolgere il servizio in ambito parrocchiale, una parrocchia di città di grandi dimensioni, ma anche presso centri residenziali per disabili, ospedale e camere ardenti.

In questi diversi servizi ho notato l’importanza di creare un legame, un ponte, tra la comunità che celebra e che si ritrova alla messa domenicale con la comunità esterna, quella che si identifica con l’intero territorio parrocchiale.

È attraverso questo legame che la comunità conosce meglio sé stessa, incontra i tanti “santi della porta accanto”, percepisce come ogni famiglia e ogni casa è una “casa della carità”, un luogo dove si scrivono ogni giorno pagine di vangelo.

È in particolare nelle zone del quartiere maggiormente in difficoltà dal punto di vista economico e sociale che si sperimentano quelle occasioni di farsi prossimo che danno senso e valore alla testimonianza cristiana.

Inoltre, se, all’interno del territorio parrocchiale, sono presenti case di riposo, centri residenziali, ospedali, cimiteri, o altre strutture sociali, sanitarie e assistenziali che operano per il bene comune, esse vanno considerate una ricchezza e un’opportunità per favorire la solidarietà e il prendersi cura gli uni gli altri. «Quando siamo forti, abbiamo bisogno di chi è più debole per rivelare la nostra umanità e risvegliare quelle energie che si chiamano tenerezza e compassione, e questo produce una profonda liberazione interiore, mentre, quando siamo deboli, abbiamo bisogno di chi è più forte per non sentirci soli, per non perdere la speranza e trovare la forza per non rimanere schiacciati».

Forza e debolezza unite compiono miracoli, e la comunità parrocchiale, attraverso le relazioni di condominio, di zona, di quartiere, svolge un ruolo prezioso e offre occasioni per testimoniare. Dice papa Francesco: «Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita».

Purtroppo sulle soglie delle case e dei condomini, nei sagrati e negli spazi dei cortili non si sosta più, sono soltanto luoghi di attraversamento, da percorrere in fretta e dove, al massimo, ci si scambia un saluto (e a volte nemmeno quello).

Capita spesso di vivere la propria solitudine con fatica ma non si cerca di alleviarla investendo un po’ di tempo nelle relazioni con i vicini di casa, a volte addirittura di pianerottolo, che vivono la stessa pesante solitudine. E, di fronte a un imprevisto, a un’emergenza familiare, anche se si abita in un luogo densamente popolato, non si sa a chi chiedere aiuto.

Questo purtroppo avviene anche nel sagrato delle chiese, non c’è tempo per le chiacchiere e le relazioni, dimenticando che il potere di «attrazione delle comunità parrocchiali» si manifesta anche sulla soglia.

La soglia dovrebbe essere un luogo in cui si svolgono con maggiore frequenza celebrazioni e incontri di preghiera. Don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea Saving Humans, racconta che, quando celebra la messa sulla nave affollata da persone soccorse, da membri dell’equipaggio, da volontari, nonostante la maggior parte non siano cristiani o credenti, alla messa partecipano tutti, ognuno con la propria spiritualità e si crea una comunione impensabile.

Le relazioni di soglia

Il diacono è grazie alle relazioni di soglia che, nel porgere la patena e il calice al presbitero che presiede l’eucaristia, inserisce in quel pane e in quel vino offerto al Padre, le relazioni buone e quelle ferite di tutta la comunità.

Relazione e soglia sono due aspetti centrali nella ricerca di un nuovo linguaggio per la trasmissione del vangelo.

Anche la spiritualità di un numero sempre maggiore di persone potremmo definirla «di soglia». Alcuni, infatti, pur coltivando una buona fede personale, partecipano saltuariamente alla messa domenicale perché pressati da vari impegni, o perché si spostano fuori parrocchia, oppure perché, essendo impediti, assistono alla celebrazione trasmessa in televisione.

Il diacono nel suo essere «custode del servizio», «ministro della soglia», «ministro che fa da ponte», ha un piede nella comunità che celebra l’eucaristia e un piede nell’altra comunità, quella che è ai margini, cioè i lontani, i non credenti, i non praticanti, persone in gran parte battezzate ma che non partecipano alle celebrazioni.

Inoltre, il diacono, per il suo essere nel mondo, può ricordare a tutti, anche al vescovo, che la comunità non è solo quella eucaristica, ma che la comunità a cui Dio si rivolge è tutta l’umanità, battezzati e non battezzati, perché tutti gli esseri umani sono «ordinati» al popolo di Dio (LG 16).

Ogni comunità dovrebbe individuare la propria «soglia», conoscerla, e verificarne costantemente i confini e le caratteristiche. La soglia di una parrocchia di città è diversa dalla soglia di una parrocchia di periferia o di montagna o di paese. Inoltre, le soglie si modificano con il tempo, perché variano le caratteristiche delle persone che la abitano. Per conoscerla e renderla visibile, serve identificare i volti, le persone, le storie, le abitudini di chi abita nel territorio parrocchiale. Questo è già un passaggio importante, perché evita di chiudersi, di isolarsi, di creare distinzioni, ormai superate, tra chi frequenta e chi non frequenta, tra credenti e non credenti, tra praticanti e non praticanti.

La comunità e l’intero complesso parrocchiale dovrebbero essere percepiti da tutti gli abitanti del quartiere, da chiunque, come un luogo in cui è possibile «andare in disparte a riposare un po’ e dove si può trovare ristoro» per ritrovare la pace interiore, per provare a mettere ordine nel caos delle fatiche quotidiane, per trovare qualcuno che possa ascoltare, per rompere la propria solitudine.

Questo si realizza assicurando una presenza in Chiesa o in altri spazi della parrocchia in modo che essa appaia accessibile a tutti, visibile, accogliente, non giudicante e non invadente; una presenza costante e non occasionale, assicurata da persone che si alternano e si passano le informazioni, un gruppo composto da tante figure (parroco, seminaristi, diaconi, sacerdoti e diaconi anziani, e tutte quelle persone che hanno una particolare vocazione all’ascolto, alla riservatezza, alla cordialità e si riconoscono in due concetti che C. Theobald riporta nel suo volume, Trasmettere un vangelo di libertà, EDB, Bologna 2010:

  • «Si crede veramente in Cristo, si entra nel suo mistero e si comincia a vivere di lui, quando si condivide con lui la passione per un vangelo che riguarda assolutamente tutte le persone»,
  • «Credere in Cristo vuol dire scoprire continuamente il suo tratto ineguagliabile nel toccare ciò che è umano e spesso troppo umano in noi e percepire così la straordinaria complicità tra il vangelo di Dio e il mistero della nostra esistenza umana».

In parrocchia dovrei sentirmi come in una seconda casa in cui riscoprire che, anche se tutti mi avessero abbandonato, posso sentirmi ugualmente amato e perdonato da Dio.

La soglia spesso è abitata anche dalle persone che, per tante ragioni, sono e si sentono scartate, svantaggiate ma – come disse papa Francesco (intervento alla CEI, 11 giugno 2016) –: «È proprio nella debolezza e nella fragilità che si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane».

L’accoglienza delle persone fragili che rimangono, spesso loro malgrado, sulla soglia, è estremamente arricchente, perché può portare ciascuno a scoprire il proprio limite e la propria natura imperfetta e, allo stesso tempo, far crescere la comunità nella consapevolezza di essere il corpo in Cristo.

I ragazzi e i giovani più crescono e più si fermano sulla soglia fino a quando si allontanano definitivamente. Il potere di attrazione delle comunità verso i giovani viene trascurato mentre, almeno sulla soglia, i ragazzi dovrebbero sentirsi a casa, con quella libertà e autonomia nella responsabilità che aiuta a crescere, che facilita l’amicizia e lo stare insieme.

Frequentando la soglia…

Infine, forse con qualche forzatura o illusione, penso che, frequentando maggiormente la soglia,

  • si inizia a fare esperienza della Chiesa in uscita e questo spinge a frequentare le strade e le case alla ricerca di chi è nella prova e nelle difficoltà
  • si percepisce come, nel facilitare le relazioni, anche una piccola amicizia può avvicinare a Dio
  • ci si accorge dell’importanza di mettere al centro della parrocchia la comunità intera, che il tutto è superiore ad una parte, che nessun organismo, gruppo, movimento viene prima della comunità
  • si sperimenta come sia importante che, nel confronto e nelle decisioni riguardanti la comunità, partecipino tutti quelli che lo desiderano, favorendo il coinvolgimento e l’ascolto di tutti, in particolare di chi non ha voce e viene lasciato ai margini
  • è più facile accorgersi che fare un servizio nella comunità significa invitare altri a farsi avanti e quindi a favorire il ricambio, nella convinzione che ognuno ha qualcosa di unico da donare agli altri
  • che l’apertura di papa Francesco a uomini e donne verso i ministeri del lettorato, dell’accolitato e del catechista possono essere un’opportunità di formazione e di coinvolgimento dei laici che fa bene alla Chiesa
  • che le strutture devono essere al servizio della comunità e non viceversa e che, se la gestione e i costi di mantenimento pregiudicano le relazioni e la vita della comunità, bisogna intervenire
  • che aprirsi alle parrocchie vicine è una ricchezza, offre nuove opportunità e nuove relazioni a vantaggio di tutti
  • che la parrocchia dovrebbe essere anche un luogo di ritrovo per ogni età, un luogo di incontro per le persone che desiderano condividere le loro passioni, esperienze, proposte di formazione nell’ambito della musica, del teatro, dell’arte, della poesia, della natura e della salvaguardia del creato…, discipline che, attraverso la cultura e la bellezza, portano un messaggio di speranza.

Il vescovo Erio Castellucci conclude il suo libro Benedetta crisi con questa frase: «Questo nostro tempo di crisi epocale, così difficile e drammatico, io lo trovo davvero entusiasmante per un cristiano, e questo perché sia le grandi crisi dell’umanità sia le crisi dovute alle difficoltà quotidiane, se affrontate in solitudine ci mettono in crisi, se invece sono affrontate con l’aiuto e la condivisione con altri, in particolar modo con la consapevolezza di avere Dio al fianco, diventano occasioni di rinascita, di ripartenza, di risurrezione.

Nel brano del paralitico calato dal tetto (Mc 2,4), succede questo, una relazione di amicizia, una relazione di soglia, supera ogni ostacolo per cercare una risposta, per aiutare un amico, e questo amore reciproco, unito all’amore di Dio, diventa occasione di rinascita, ripartenza, risurrezione».

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2 Commenti

  1. Fabrizio Bartolacelli 29 aprile 2024
  2. Marco M. 29 aprile 2024

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