Il 7 maggio 1917 nasceva, a Borgo San Lorenzo, Domenico Bartolucci, musicista, compositore e maestro di cappella, creato cardinale da papa Benedetto XVI. Il maestro Simone Baiocchi, a lungo suo collaboratore, dopo averlo ricordato per Radio vaticana nel 10° anniversario della morte (qui), ne ricostruisce il profilo umano, artistico e spirituale rispondendo alle nostre domande. L’intervista è curata da Giordano Cavallari.
- Maestro, quale rapporto si è dato tra Lorenzo Perosi, di cui ci aveva già parlato (qui) e Domenico Bartolucci, nella storia della musica liturgica e sacra, cattolica?
Domenico Bartolucci è stato successore di Lorenzo Perosi alla guida della Cappella Sistina. Nel 1952 a causa delle precarie condizioni di salute di Perosi si rese necessaria la nomina di un vicemaestro di buone capacità, che potesse garantire il regolare svolgimento delle attività della Sistina. Fu dunque scelto il giovane sacerdote Domenico Bartolucci – già vicemaestro al Laterano con monsignor Lavinio Virgili – da qualche anno succeduto a Licinio Refice come maestro di Cappella a Santa Maria Maggiore: una titolarità, quest’ultima, che Bartolucci conserverà parallelamente a quella della Sistina, sino al 1977. Nel panorama musicale romano, era, in quel momento, il sacerdote musicista più indicato per il ruolo: giovane e brillante, con una preparazione solida ed ampia.
Non fu semplice il rapporto con Perosi: a causa dei problemi di salute di don Lorenzo, le sorelle – in modo particolare Felicina – gestivano ogni aspetto della vita del fratello musicista, e lo facevano secondo propri criteri, senza valutare le reali necessità della Sistina e le problematiche connesse alla delicata situazione che si era creata.
- Può tracciare in breve la vita e l’opera di Bartolucci?
È stata una vita molto lunga e laboriosa. Nato a Borgo San Lorenzo il 7 maggio 1917, entrò nel seminario minore di Firenze dove ebbe la possibilità di studiare musica col maestro Francesco Bagnoli, un musicista di valore, organista del duomo di Firenze e maestro di musica in seminario. Bagnoli fu una figura importante per la sua formazione, alla cui memoria Bartolucci rimase sempre grato: spesso, negli ultimi anni, ne ricordava le capacità e i meriti.
Divenuto sacerdote, conseguì il diploma di Composizione e Direzione d’Orchestra presso l’allora liceo musicale “Cherubini” di Firenze sotto la guida di Vito Frazzi. Passò poi a Roma, presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra dove studiò canto gregoriano con Gregorio Maria Suñol e composizione sotto la guida di Raffaele Casimiri. Frequentò anche i corsi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, studiando con Ildebrando Pizzetti.
Riassumendo: fu, inizialmente, vicemaestro al Laterano con Lavinio Virgili, poi maestro di cappella a Santa Maria Maggiore (1947), docente al Pontificio Istituto di Musica Sacra (1950) e vicemaestro della Cappella “Sistina” (1952), di cui diverrà Direttore Perpetuo alla morte di Perosi (1956).
Le sue capacità erano conosciute non solo nell’ambiente ecclesiastico: fu infatti nominato Accademico di Santa Cecilia (1965) e nel corso della sua lunga attività musicale diresse in concerto cori ed orchestre di importanti istituzioni musicali.
Al compimento degli ottant’anni (1997) fu congedato forzatamente dalla direzione della Cappella Sistina, nonostante la sua nomina fosse perpetua come in uso da quasi due secoli: la vicenda sollevò molte critiche, espresse anche da voci autorevoli del mondo musicale.
Nel 2010 Papa Benedetto XVI lo creò Cardinale, quale esempio di una vita spesa per la musica sacra al servizio della Chiesa. Morì l’11 novembre 2013.
Questa è, chiaramente, solo una scarna elencazione di alcune delle tappe salienti di una vita intensa e di una attività artistica di primissimo livello.
- Come descrivere lo stile musicale-liturgico di Bartolucci?
Si tratta di uno stile musicale spiccatamente personale, molto identificabile, da cui emerge una cantabilità spontanea ed ampia, sostenuta da armonie modali che si sviluppano secondo una sensibilità moderna.
È un linguaggio, il suo, che affonda le radici nella grande tradizione musicale sacra italiana che ha quali principali riferimenti il canto gregoriano e la polifonia di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Ma anche Giuseppe Verdi – specialmente nel repertorio extra liturgico – è uno dei suoi riferimenti fissi, a motivo dell’attenzione del maestro di Busseto nei confronti del testo e della drammaturgia.
Di fatto, seppur con linguaggi e percorsi molto diversi tra loro, i tre esempi citati – Gregoriano, Palestrina e Verdi – hanno in comune una genesi dell’idea musicale dalla parola, mai il contrario. Duque, la musica che scaturisce dalla creatività abbondante e feconda di Bartolucci, è una musica guidata dalla declamazione della Parola, piuttosto di una bella musica a cui vengono sovrapposte le ‘parole sacre’. Questo è un aspetto fondamentale per comprendere l’animo artistico di Bartolucci e per conoscerne l’ispirazione di fede che anima la sua poetica.
Pure nel caso della sua musica puramente strumentale, l’approccio è personalissimo: sostenuto da una tecnica robusta, in cui si scorgono i riferimenti ad una particolare cantabilità, tutta italiana.
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- Come Bartolucci ha assorbito ed aggiornato la tradizione musicale liturgica cattolica?
Quando Bartolucci cita, musicalmente, il canto gregoriano e fa riferimento ad alcuni modelli polifonici provenienti dal repertorio storico, non compie mai un’operazione di mera ri-proposizione: il passato storico è sempre filtrato attraverso lo sguardo e la sensibilità del musicista contemporaneo.
Su tutto domina – come anticipato – l’attenzione ai testi sacri e quindi alla liturgia, secondo la tradizione bimillenaria della Chiesa. La musica è funzionale ed intimamente legata alla liturgia, non solo dal punto di vista del ritmo celebrativo, quanto, soprattutto, per un linguaggio in grado di amplificare l’azione liturgica.
Non dimentichiamo che, quando un compositore mette in musica i testi ufficiali – ordinario, proprio, antifone, inni, etc. -, ciò che nasce non è mera produzione artistica, magari mirata a produrre un clima di raccoglimento e di preghiera, anche può esistere questo aspetto, ma non primariamente: la composizione è essa stessa il rito, un rito celebrato attraverso la musica; e dunque non è adatto allo scopo qualsiasi linguaggio che possa dirsi semplicemente piacevole.
In ciò, Bartolucci ha preso il meglio della grande tradizione della Chiesa, lasciandone da parte i vari momenti di decadenza che, comunque, nei secoli, si sono pur stati.
- Quale eredità ha lasciato Bartolucci o quale via ha indicato?
Domenico Bartolucci ha lasciato, senza ombra di dubbio, una grandissima eredità costituita dalle sue musiche, che non sono solamente di godimento spirituale ed artistico per chi le esegue o per chi le ascolta oggi, ma costituiscono un patrimonio didattico rivolto al musicista contemporaneo che sia attento cultore della liturgia. Si tratta di un’eredità propria del mestiere di compositore e di direttore: il mestiere svolto da Bartolucci con grande competenza e professionalità.
Il suo è un esempio – personalissimo – di vita dedicata allo studio, nella missione di annunciare il Vangelo, servendo la Chiesa, “cantando a Dio con arte”, come dice il salmo. Ha lasciato un esempio fatto di musica alta, che non toglie dignità alla liturgia ma le conferisce il dovuto onore, vivificandola.
Anche nel caso delle composizioni minori pensate per le piccole scholæ parrocchiali, meno provviste di mezzi, Bartolucci non ha mai mancato il pensiero alto e denso di contenuti, seppur semplificato negli elementi.
Guardando ora alla scena attuale, caratterizzata da un bailamme di offerte troppo spesso non all’altezza, mi domando quanti autori conoscano e seguano l’esempio di Bartolucci, o quanti seguano semplicemente sé stessi.
- Ritiene che ci siano sue composizioni che possano essere tuttora utilizzate nella liturgia?
Sicuramente ci sono tante composizioni che, volendo, possono ancora trovare spazio nella liturgia: inni per i vespri alternati al gregoriano, Messe alternate al gregoriano, un’infinità di mottetti, alcuni canti in lingua italiana.
Ovviamente diventa problematica la riproposizione di quelle Messe musicate per intero, in cui il coro svolge – da solo – tutta l’esecuzione. Tuttavia, esistono contesti celebrativi straordinari e molto particolari, in cui, eccezionalmente, potrebbero ancora trovare, correttamente, accoglienza.
Va considerato che stiamo vivendo in un’epoca in cui si assiste, continuamente, a deroghe alla normativa liturgica e ad abusi di ogni genere, generalmente di scarsissimo valore artistico e nella direzione di una diminuzione della liturgia: non vedo perché, almeno una volta tanto, non si possano fare concessioni alla vera arte sacra e a qualcosa di veramente bello.
- Oppure: avrebbe senso recuperare il repertorio di Bartolucci per concerti nelle chiese?
Certamente, è una musica di altissimo livello: anche se tolta dal contesto liturgico, può reggere benissimo l’esecuzione concertistica.
Proprio per salvare certe composizioni che, poco eseguite a motivo della loro complessità o per il loro legame stretto con una ritualità ormai modificata, lo stesso Bartolucci ha realizzato varie cantate sacre, mettendo in sequenza alcuni dei suoi brani, secondo il calendario dell’anno liturgico, e rielaborando le musiche con l’intervento di solisti e orchestra: mi sento però di dire, in tutta onestà, che, pur trattandosi di importanti lavori e di ottima fattura, apprezzo maggiormente quelle pagine di musica nella loro versione originale, più diretta nell’ispirazione e più carica della forza innovativa conferita dal linguaggio musicale di Bartolucci.
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- Da puro musicista del panorama nazionale e internazionale, come ha vissuto Bartolucci il confronto con la musica contemporanea?
È stato indubbiamente un confronto per molti aspetti sofferto e da cui è uscito ingiustamente penalizzato. Bartolucci non ha mai preso parte alle correnti dette “d’avanguardia”, che hanno fatto della serialità e di un certo modo atonale e aleatorio il proprio elemento fondante. Non ha mai fatto mistero di ciò ma, anzi, si è sempre posto piuttosto polemicamente rispetto a quel corso.
- Quali successi e insuccessi hanno conosciuto le sue composizioni?
Un compositore è conosciuto dal pubblico contemporaneo se è conosciuto ed eseguito. Ad un certo punto, l’eclissi di Bartolucci è avvenuta su più fronti e per differenti motivi.
Nel caso della musica sacra, dopo alcuni anni di iniziale successo, le sue composizioni sono uscite dalla divulgazione di cui godevano, a causa del mutare dei riti liturgici, dopo le riforme del Concilio vaticano II. Anche nelle circostanze in cui le sue musiche si sarebbero potute comunque eseguire, rispettando le nuove disposizioni, le sue pagine sono state ostracizzate e poste come cose da escludere dalla liturgia, emblema di un corso superato che andava assolutamente dimenticato e soppiantato da musiche considerate “più pastorali”.
Dall’altro versante, cioè da quello del mondo concertistico delle istituzioni laiche, Bartolucci ha vissuto due situazioni in contrapposizione: riconosciuta in modo indiscutibile la sua statura musicale con la nomina ad accademico di Santa Cecilia, di fatto non godette di molte esecuzioni in quei contesti ‘laici’, a causa della sua non appartenenza politica e culturale ai gruppi che in quegli anni avevano peso nella programmazione e nella divulgazione della musica contemporanea presso le istituzioni concertistiche. All’estero vi erano meno pregiudizi nei suoi confronti e qualche esecuzione c’è stata: avrebbero potute essere anche di più, se lui stesso avesse voluto auto-promuoversi, ma per una serie di motivi che non sto qui ad elencare, Bartolucci non si è mai servito di un’agenzia o di un editore che promuovesse le sue composizioni; dunque, la diffusione ne ha sofferto.
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- Lei lo ha conosciuto da vicino: quali sono i tratti che si sente di testimoniare?
Ho un’infinità di emozioni e una serie innumerevole di ricordi legati al nome di Domenico Bartolucci: è difficile per me riassumerli, ma ci provo, appunto, con qualche tratto.
Penso di essere stato quello che – dopo il M° Monsignor Lawrance Cilia (don Renzo), suo segretario in Sistina e diretto collaboratore che lo ha servito con fedeltà e umiltà dagli anni ’80 sino alla sua scomparsa – ha goduto del legame personale ed artistico più lungo ed intenso con Bartolucci, durato circa vent’anni.
All’inizio si è trattato di una frequentazione più formale, saltuaria, prendendo parte occasionalmente a prove e concerti, quando il maestro era ancora in servizio come direttore della Cappella Sistina. Poi, dopo il suo allontanamento, il rapporto è divenuto via via più stretto e la frequentazione ha assunto un carattere familiare: ci si vedeva a Roma o a casa sua, alla pieve di Montefloscoli, sua residenza estiva presso il paese natale di Borgo San Lorenzo, oppure presso il mio domicilio a Pesaro, ovvero in altre parti d’Italia, ove lo seguivo e lo accompagnato nella attività.
Il mio ruolo di allievo si è così concretizzato non per aver frequentato il Pontificio Istituto di Musica Sacra o il Conservatorio Santa Cecilia, bensì in quel lavoro, che oserei definire “di bottega”, nell’allestimento di numerosi suoi lavori per coro e orchestra, con prime esecuzioni in cui ho svolto il ruolo di organizzatore, maestro del coro, maestro concertatore, redattore del materiale musicale.
L’impressione che campeggia nei tanti miei ricordi è quella di aver avuto a che fare con un uomo vero, solido, lontano da giochetti di potere, indisponibile, in modo assoluto, a compromessi al ribasso, sia in fatto artistico che in fatto morale.
Aveva un carattere, per certi aspetti, non facile, impegnativo, ma sempre incline al bene e sempre pronto ad aiutare nelle difficoltà. Bartolucci è stato un sacerdote, un uomo di fede, dai principi fermi, tradizionali: questo aspetto emergeva in modo sanguigno e per nulla formale; non era un pretino da narrazione devozionale, per intenderci.
C’erano momenti in cui, prima del sacerdote, emergeva l’artista: non certo perché vivesse il sacerdozio come un fatto esteriore o secondario, ma perché il lato artistico, in lui, era fortemente costitutivo della sua persona. Ma se il suo modo di porsi annunciava, in qualche modo, prima il musicista e poi il sacerdote, ciò non significava che fosse meno prete.
Il suo carattere era passionale e senza filtri: l’ho visto arrabbiarsi, commuoversi, gioire, tutto da uomo autentico ed in nome della fede, della verità, dell’amicizia, dell’arte sacra e della musica; un uomo vero e sincero, che da uomo vero e sincero ha vissuto. È stato per me, nell’arte, un maestro; un padre, umanamente, un esempio di fede e di determinazione
Da musicista, posso dire che la sua preparazione musicale non si limitava alle ‘cose sacre’, ma comprendeva tanti autori di musica profana – primo tra tutti Verdi e il suo melodramma – ma anche Beethoven, Schubert, Brahms, Haydn e Mozart, Bach… la musica sinfonica e cameristica: insomma la sua era una preparazione da musicista completo.
Le sue opere e la sua statura umana ed artistica sono state apprezzate e riconosciute da ben sei pontefici, a cominciare da Pio XII sino a San Giovanni Paolo II. Da ultimo Benedetto XVI, che non lo ha avuto quale maestro della Sistina durante il suo pontificato, lo ha ben conosciuto e gli ha reso onore – come cristiano artista – creandolo cardinale nel concistoro del 20 novembre 2010. Per ringraziare il Papa di tanta benevolenza, Bartolucci volle offrirgli un’esecuzione che si tenne nel cortile della residenza pontificia di Castel Gandolfo il 31 agosto 2011 e che chiese a me di dirigere (qui). Per la prima volta, a causa dell’età ormai avanzata, non fu lui a dirigere la sua musica alla presenza di un pontefice: toccò, appunto, proprio a me, per sua volontà, questo delicato compito.
A lui debbo una parte considerevole della mia preparazione e ringrazio il cielo per tale meraviglioso incontro, fatto di arte, di fede e di umanità profonda, che continua ad arricchire la mia persona, in modo fondamentale ed unico.
Ogni volta che ascolto l’inno “Crux fidelis” musicato da Bartolucci provo un brivido di commozione. Questa è davvero musica immedesimandosi nella quale si prega.