Interruzione volontaria di gravidanza: dibattito riaperto

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In un’informata, recente ricostruzione circa la Legge italiana sulla tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) si legge:

«L’iter legislativo che ha portato alla legge 194/1978 è notoriamente molto controverso; fu preceduto qualche anno prima da significative pronunce della Corte Costituzionale.[1] Nel 1974 fu promossa dal settimanale L’Espresso e dalla Lega 13 maggio una campagna referendaria per l’abolizione delle norme sull’aborto, nel novembre 1975 la Corte di Cassazione dichiarò valido il numero di firme raccolte, stabilendo tra l’aprile e il giugno del 1976 la data della consultazione referendaria se non fosse subentrata una nuova legge; il progetto referendario fu però rinviato al 1978 a causa dello scioglimento anticipato delle Camere, e in questo lasso di tempo diverse furono le proposte di legge presentate, anche da parte dei comunisti, dei liberali, dei democristiani; inoltre, già nel 1976 era stato formulato un nuovo progetto di legge unitario elaborato dalle Commissioni permanenti Giustizia e Sanità riunite, che fu approvato alla Camera ma bocciato al Senato; ripresentato immediatamente dopo, passò, infine, nel maggio del 1978, mentre il referendum popolare promosso per la sua abolizione nel 1981 dal Movimento per la Vita ebbe esito negativo».[2]

Il 22 maggio 1978 fu, dunque, approvata la Legge italiana n. 194, ancora in vigore e da osservarsi. Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, quella legge dettava, appunto, le Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza (IVG).

Fu la seconda legge “sanitaria” di quell’anno: il 16 maggio apparve in Gazzetta Ufficiale la legge 180, che chiudeva i manicomi e rivoluzionava l’assistenza psichiatrica e, il 28 dicembre, la legge 833, che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale.

La Legge 194/78 sanciva di fatto – come osservarono politici e autorevoli studiosi di diritto – una visione laica, libertaria, liberale per la gente, per la persona. Il tutto non senza altri protagonisti del dibattito mai sopito (partiti, movimenti di opinione ricollegati ad intellettuali, testate giornalistiche, movimento femminista), spesso in dissenso tra loro.

I “pesanti esiti” dell’attuazione della Legge

In tale contesto, non del tutto sereno sul piano sociale e politico, il 29 settembre 1980 l’associazione “Movimento per la Vita” depositò due richieste di referendum per l’abrogazione della legge 194. Il successivo 9-10 febbraio 1981, la Corte Costituzionale dichiarò ammissibili alcune richieste referendarie, tra cui due dei tre referendum sull’aborto (richiesta del Partito radicale e richiesta del Movimento per la Vita), mentre dichiarò inammissibile una seconda richiesta sull’aborto del Movimento per la Vita.

Il 24 marzo 1981, il Presidente Pertini fissava la data per i referendum al 17-18 maggio 1981 (si votò allora per i referendum sull’aborto, la legge Cossiga, l’ergastolo, il porto d’armi).

Raggiunto il quorum, la vittoria del No all’abrogazione della 194/78 fu netta: 85,1% contro il 14,9% dei all’abrogazione. La coscienza morale e politica dei cristiani fu, e lo è ancor oggi, fortemente interpellata, dovendosi muovere tra dovere del rispetto della legge statale e doveri morali fondamentali, poggiati sul diritto naturale, oltre che sul Magistero dottrinale della Chiesa.

Non è un caso che, già dopo l’approvazione della legge, il Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana del 25 luglio 1978, secondo le delibere della XV Assemblea Generale del 22-26 maggio 1978, pubblicò un vero e proprio decalogo etico-sociale, al cui punto 3 si leggeva senza mezzi termini:

«L’aborto volontario e procurato, ora consentito dalla legge italiana, è in aperto contrasto con la legge naturale scritta nel cuore dell’uomo ed espressa nel comandamento: “Non uccidere!”».

A sua volta, il punto 6 ribadiva la scomunica in precisi casi:

«Il fedele che si macchia dell’“abominevole delitto dell’aborto”, si esclude immediatamente esso stesso dalla comunione con la Chiesa ed è privato dei Sacramenti». Ai fedeli laici, inoltre, era raccomandato: «Spetta alla coscienza dei laici, convenientemente formata, di adoperarsi senza posa, con tutti i mezzi legittimi e opportuni, per “iscrivere la legge divina nella vita della società terrena”».[3]

Era, di fatto, segnata, e non superficialmente, tutta la vita etico-sociale dei cristiani in Italia. Presentando, alcuni anni dopo, l’Enchiridion della CEI, il medesimo giornale della Conferenza Episcopale poteva testualmente osservare:

«La vicenda storica della Chiesa in Italia nei due decenni del dopo-Concilio è passata attraverso eventi di diversa natura che l’hanno segnata non superficialmente. Basti pensare, da una parte, ai due referendum sul divorzio e sull’aborto e ai loro pesanti esiti, dall’altra, ai due Convegni ecclesiali su “Evangelizzazione e promozione umana”, e “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”».[4]

L’attuale “caso” legislativo

Ora, con atto del Senato n. 1110 (XIX Legislatura), è stata approvata dal Parlamento italiano la Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, recante ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

Gli esiti della votazione nominale a scrutinio simultaneo, riportata dal sito ufficiale del Senato, sono stati: favorevoli 140, contrari 91, astenuti 3, votanti 231, presenti 234. Sono, frattanto, subito riemersi, nel pubblico dibattito, tutti gli antichi temi collegati alla tutela sociale della maternità femminile, ai diritti delle donne, all’esercizio libero della interruzione volontaria di gravidanza, all’autodeterminazione di salute sul proprio corpo, all’impegno di cristiani nel pre-politico e nel politico.

Il tutto, però, acuito dai primi passi, a livello europeo, per il riconoscimento di valore costituzionale al cosiddetto diritto fondamentale all’aborto. Del resto, l’orientamento, espresso nella sessione plenaria del 10-11 aprile 2024 a Bruxelles, era stato appunto quello d’inserire il diritto all’IVG tra i valori della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Com’è noto, si tratta dei valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, per cui la persona era ed è al centro dell’azione europea.

Ora, prendendo atto che la Francia ha già sancito il diritto all’aborto nella sua Costituzione (4 marzo 2024), nel corso di una discussione del 14 marzo scorso, alcuni deputati europei hanno esortato gli Stati membri a garantire alle donne l’accesso all’aborto sicuro e legale. Come si sa, l’eventuale modifica della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, per includere eventualmente l’aborto, richiederà un accordo unanime da parte di tutti gli Stati membri.

Si ricordi inoltre, ritornando alla discussione italiana, per quanto riguarda il nostro Parlamento, che

«l’articolo 44-quinquies – introdotto durante l’esame (del provvedimento) alla Camera –, prevedeva che le Regioni organizzino i servizi consultoriali nell’ambito della Missione 6, componente 1, del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza» (PNRR). A questo scopo, possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche della «collaborazione di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel campo del sostegno alla maternità».[5]

Le opposizioni all’attuale maggioranza governativa italiana, fin dalla discussione alla Camera sulle misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), vanno intanto sollevando diverse obiezioni, temendo un vero e proprio “attacco”, stavolta per via indiretta attraverso una norma del PNRR, al diritto all’aborto, all’interruzione di gravidanza, nonché alla libertà delle donne.

I temi in gioco

Quali sono, dunque – bisogna chiedersi – gli esatti aspetti normativi oggi in gioco, con i loro possibili riverberi nel dibattito etico, sociale e politico sulla difesa e la tutela della maternità femminile e sull’IVG? La Missione 6 del PNRR prevede, tra l’altro, 2.000 milioni di prestiti (ricordiamolo, si tratta di soldi da restituire!) per l’attivazione di 1.350 Case della Comunità.

Si tratterà di realizzare delle strutture sociosanitarie deputate a costituire un punto di riferimento continuativo per la popolazione, indipendentemente dal quadro clinico dell’utenza, garantendo l’attivazione, lo sviluppo e l’aggregazione di servizi di assistenza primaria e la realizzazione di centri di erogazione dell’assistenza (efficienti sotto il profilo energetico) per una risposta multiprofessionale. Ora, nelle Case della comunità sono, tra l’altro, previsti dei «servizi dedicati alla tutela della donna, del bambino e dei nuclei familiari (consultori)».

La norma approvata dal Parlamento in via definitiva precisa altresì che il «personale sarà costituito da team multidisciplinari di professionisti della salute e assistenti sociali», peraltro in linea con l’articolo 2 della legge 194, la quale prevede, tra l’altro, che

«i consultori, sulla base di appositi regolamenti o convenzioni, possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita».

Si domandano, perciò, le organizzazioni laicali cattoliche: perché, tra i servizi per la tutela della donna nelle Case della comunità, dovrebbero essere vietati gli accessi a volontari che hanno eventualmente optato per il no all’aborto?

Del resto, non è forse vero che la stessa Pontificia Accademia per la vita, già nella sua VI Assemblea Generale (11-14 febbraio 2000) – ricordando la viva attualità dell’enciclica Evangelium vitae – aveva ribadito che in essa

«la Chiesa presenta la sua posizione di condanna su una serie di attentati alla vita umana, quali la contraccezione, la sterilizzazione, l’aborto, la procreazione artificiale, produzione di embrioni umani, soggetti alla manipolazione o distruzione, e l’eutanasia», richiedendo «oggi sempre più una vigilanza sociale e giuridica, in quanto si tende a riconoscerli come diritti positivi»?[6]

I profili etici di parte ecclesiale e il rilancio della discussione

Distinguendo tra profili normativi e socio-politici della discussione in corso, e profili deontologici e morali, nell’opinione pubblica ecclesiale si ribadisce oggi che il tema della tutela sociale della maternità e il no netto all’IVG, costituiscono un nodo preciso della dottrina sociale della Chiesa.

Ciò risulta affermato dalla recente Dichiarazione del Dicastero vaticano per la dottrina della fede Dignitas infinita, in cui si legge testualmente, nel n. 47 dedicato esplicitamente all’aborto, che occorre far emergere la vera natura dell’aborto. Addirittura viene qui criticata come ambigua la terminologia adottata, come si è visto, anche nella Legge italiana n. 194/78:

«Proprio nel caso dell’aborto, si registra la diffusione di una terminologia ambigua, come quella di “interruzione della gravidanza”, che tende a nasconderne la vera natura e ad attenuarne la gravità nell’opinione pubblica. Forse questo fenomeno linguistico è esso stesso sintomo di un disagio delle coscienze. Ma nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita».

Dal momento che, come recita la Dichiarazione vaticana, i bambini nascituri sono

«i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo», non si dovrà affermare con ogni forza e chiarezza, anche nel nostro tempo e nelle attuali circostanze del dibattito, che «questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno. La sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana, ma se la guardiamo anche a partire dalla fede, “ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo”»?

La Dichiarazione della Dottrina della fede

Nel contesto citato, enuclea alcune delle gravi violazioni della dignità umana e particolarmente lo scandalo globale – che viene sempre di più riconosciuto – delle violenze contro le donne (n. 44). In merito, il testo ricorda significativamente «il generoso e coraggioso impegno di santa Teresa di Calcutta per la difesa di ogni concepito» (n. 47).

A sostegno di questo preciso insegnamento morale, inoltre, la Dichiarazione richiama l’enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II[7] e, per quanto riguarda il rispetto dovuto agli stessi embrioni umani oggi soggetti a manipolazioni tecnico-scientifiche, richiama due documenti dell’ex Congregazione per la dottrina della fede,[8] ribadendo, infine, l’insegnamento di papa Francesco nell’Evangelii gaudium.[9]

Chi potrebbe mai vietare ai credenti, anche nei sentieri propri della normativa statale e del vivere associato, di ribadire e attuare sul piano sociale le proprie convinzioni morali?

Vincenzo Bertolone è arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace


[2] Elena Paparella, Il dibattito parlamentare sulla legge 194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza: breve cronaca ragionata, Nomos. Le attualità nel diritto, 2 (2022), p. 5, n. 22.

[3] Dichiarazioni a seguito dell’avvenuta legalizzazione dell’aborto in Italia, in Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, n. 7 (25 luglio 1978), pp. 109-110.

[4] Il cammino dottrinale e pastorale della Chiesa Italiana nel post-Concilio, documentato dall’Enchridion CEI, in Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, n. 3 (25 febbraio 1987), p. 97, n. 11. Si tratta della relazione del Segretario Generale della Cei, preparata in collaborazione con gli Uffici della Segreteria, per offrire una sintetica e unitaria chiave di lettura dell’ampio materiale contenuto nell’«Enchiridion» a partire dai due ambiti, strettamente complementari, che sorreggono l’impegno dottrinale e pastorale della CEI: la receptio del Concilio Vaticano II e il servizio della Chiesa al Paese.

[5] Cf. Dossier del Servizio studi del Senato della Repubblica del 18 aprile 2024, intitolato “Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)”.

[6] Pontificia Accademia Pro Vita, VI Assemblea Generale, 11-14 febbraio 2000, “Evangelium vitae: 5 anni di confronto con la Società”.

[7] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), 58: AAS 87 (1995), 466-467.

[8] Sul tema del rispetto dovuto agli embrioni umani, si veda Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum vitae (22 febbraio 1987): «La prassi di mantenere in vita degli embrioni umani, in vivo o in vitro, per scopi sperimentali o commerciali, è del tutto contraria alla dignità umana» (I, 4): AAS 80 (1988), 82.

[9] Francesco, Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 213: AAS 105 (2013), 1108.

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