Quando Andrea Grillo mi ha chiesto di intervenire come biblista nel volumetto a più voci Senza impedimenti, ho declinato l’invito. Perché il cumulo di cose da fare è un impedimento molto serio, ma anche per lasciare spazio a una biblista come Emanuela Buccioni la cui età attesta senza possibilità di dubbio che la questione dell’indagine sul dato neotestamentario riguardo al ruolo delle donne nelle Chiese delle origini non appartiene ai cavalli di battaglia delle prime esegete femministe, ma è patrimonio ormai acquisito della scienza biblica.
Affrontata già da tempo, non si rivela in nessun modo un impedimento alla soluzione di problemi attuali. Che per le Chiese protocristiane le donne siano passate solo progressivamente, per quanto sia pure rapidamente, dall’essere una risorsa all’essere una questione non dovrebbe sfuggire ormai a nessun esegeta né a nessun teologo. E, di conseguenza, il tema dei possibili rapporti tra donne e Chiese appartiene alla storia delle comunità ecclesiali e come tale andrebbe sempre affrontato.
A conferma di ciò mi ha fatto grande piacere il fatto che le prime tre sessioni in cui si è articolato, per volontà di papa Francesco, il «seminario di studi» riservato ai cardinali del C9 abbia positivamente lasciato fuori qualsiasi approfondimento biblico per concentrarsi invece su: 1) l’assetto di genere della Chiesa cattolica, 2) il confronto con la Chiesa anglicana per la questione dei ministeri, 3) lo sfondo, decisivo per l’ecclesiologia, del rapporto Chiese-culture. Tutto questo mi fa ben sperare.
Non perché la Scrittura non sia da considerare all’origine della Tradizione e, quindi, il suo portato non sia da ritenersi fondativo, ma perché ciò non confligge con il fatto che, di fronte al loro progressivo inserimento prima nel giudaismo e poi nelle città dell’Impero, le Chiese stabilissero i loro ordinamenti, sia pure con modalità e tonalità diverse, in termini del tutto compatibili con le società patriarcali di cui miravano a fare parte.
Mi sento comunque di poter dare anch’io, proprio come biblista, un piccolo contributo al dibattito che si è aperto sul tema Tradizione-tradizioni che rappresenta sicuramente − come sempre, peraltro − uno degli irrinunciabili riferimenti per prendere sul serio i nodi che vengono al pettine quando si deve e si vuole affrontare momenti importanti di riforme ecclesiali.
Per chiarire che tutta la dinamica interna alla storia delle tradizioni religiose impone di tenere sempre conto di come il meccanismo della trasgressione viene invocato diversamente da parte di chi ha un qualche potere sullo status quo e da chi sente invece la necessità, per non morire, che quello status quo non si sclerotizzi, basterebbe forse citare l’autorevole condanna di Gesù nei confronti di coloro che trasgrediscono il comandamento di Dio in nome della loro tradizione degli antichi (cf. Mt 15,1-20).
In realtà, però, mi sembra ancora più importante riflettere sul fatto che, per l’evangelista Matteo, il dibattito sulla tradizione che contrappone il comportamento dei discepoli di Gesù alle regole farisaiche precede il racconto di un episodio in cui è invece la considerazione che Gesù stesso ha del suo messianismo a essere messa totalmente in discussione dalla pretesa della donna sirofenicia, che antepone a qualsiasi dibattito tra comandamento di Dio e tradizione degli antichi la sua personale necessità, ineludibile per una madre, la guarigione della figlia.
Perché tutto, anche le più sentite professioni di fede o le più nobili tradizioni degli antichi possono trasformarsi in chiavistelli che diventa necessario far saltare quando è in gioco la vita o la morte. Non solo di una figlia, anche in una madre-Chiesa.
Ricordo che il diaconato è stato deciso dagli apostoli e non da Gesù Cristo. Ed è stato deciso in seguito all’accresciuto onere di impegni, notevole quella dell’amministrazione caritativa. Gli apostoli con questa decisione si sono ritagliato il settore della predicazione e delegato quello delle mense e della carità ai cosiddetti diaconi. Molti dei malpensanti odierni sarebbero stati scandalizzati da questa decisione, avrebbero cominciato a cavillare…quando si prende una decisione, questa deve seguire ciò che detta Amore e vuole Dio, non quello che vuoi tu o quello che voglio io, per cui quando di tratta di aiutare l’Uomo e la Chiesa, bisogna “sporcarsi le mani”, finalmente e soccorrere. Gesù Cristo un giorno chiese se quel samaritano, che si era sporcato le mani per aiutare un malcapitato fosse prossimo o fossero prossimi i sacerdoti che se la sono svignata in nome dell’osservanza rituale. Possibile che non si capisce che sono due millenni che in nome delle cosiddette “osservanze” tante tante volte vuolsi scalzare ancora vangelo e spirito…
Questo no al diaconato femminile di papa Francesco non mi dice niente di buono. Si sentono i miasmi di una storia fortemente diffidente, per usare un eufemismo, verso il genere femminile che rimane così indegno dell apostolato e della cultura del sacro. È un messaggio negativo potente, che fa retrocedere purtroppo questo papato verso paradigmi tristemente tradizionali e poco promettenti per la vita della chiesa.
Ha parlato il Papa e ancora volete continuare coi falsi problemi? Costantinopoli che disputa sul sesso degli angeli con i turchi alle porte continua a riproporsi!
per una volta il Papa ha parlato chiaro e semplice: ha domanda precisa dell’intervistatrice , ha detto “no” al diaconato femminile una volta per tutte. Le donne potrebbero al più diventare “diaconesse” ma non accedere all’Ordine Sacro
perchè insistere?
‘per una volta’ … bella stima per il Papa!
e ora improvvisamente le interviste diventano dichiarazione infallibili!
è in gioco la vita o la morte. Non solo di una figlia, anche in una madre-Chiesa…..
In che senso? Il diaconato femminile darebbe vita a una Chiesa agonizzante? Chi lo stabilisce? Io credo che siano delle mere illusioni. Si pensa che modi e stili nuovi o diversi dalla consuetudine possano rianimare la Chiesa quando quello che manca è essenzialmente la fede. Dopo un iniziale entusiasmo per la novità saremmo daccapo a dodici. I cattolici, a cominciare dalle gerarchie, non hanno più abbastanza fede in Gesù Cristo. L’unico in grado di rianimare la Sua Chiesa. Meno incontri e dibattiti, e più tempo passato in ginocchio. Credo che di questo abbiamo bisogno
Brava, proprio così.
grazie Marinella.
Il racconto che ci ricordi fa vedere come Dio si lascia convertire da una donna pagana.
E ancora, la chiesa – che non è ancora nata – viene riformata dalla stessa donna pagana.
E questo io l’ho capito da pochi anni …
Marco Tommasino
Un Dio che viene convertito?
Allora non è Dio.
c’è un po’ di confusione. siamo noi che ci dobbiamo convertire non Dio.
La riflessione sul diaconato femminile dovrebbe portare a mio avviso ad intendere meglio – e, quindi, rilanciarlo – cosa sia il diaconato. Perché si può re-intodurre il diaconato femminile ma non per mortificare il diaconato e le donne allo stesso tempo.