Iran: la morte di Raisi e il dopo

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Sto leggendo i commenti alla morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi da parte dei suoi rivoluzionari amici, ossia i resistenti Houti, i resistenti Hezbollah, i resistenti della giunta di Assad, ed altri interlocutori politicamente vicini a Teheran. La sua morte è commentata anche, naturalmente, dai molti nemici.

Tra gli elogi funebri – il più efficace – è quello che, secondo molte fonti iraniane, avrebbe pronunciato, tanti anni fa, l’ayatollah Montazeri, prima designato successore di Khomeini, quindi rimosso e abbandonato nella città santa di Qom. Era il 15 agosto 1988 quando Montazeri ricevette i cinque componenti di quello è stato soprannominato il Comitato della morte: tra di loro c’era anche Raisi che, a quel tempo, mandò al patibolo 5.000 dissidenti.

In quella circostanza Montazeri avrebbe detto: «Il crimine più grave nella Repubblica islamica dall’inizio della rivoluzione lo avete commesso voi. Nel futuro voi sarete ricordati tra i criminali della storia».

La Guida designata

Le parole di Montazeri spiegano i festeggiamenti – di queste ore – per la morte di Raisi tra molti iraniani ordinari. Ma soprattutto spiegano perché, almeno a mio avviso, la morte di Raisi chiuda un’epoca: il giovane oscuro persecutore, attaccato dall’erede di Khomeini, dopo essere divenuto Presidente della Repubblica, muore, e con lui si prosciuga la tragica epoca teocratica, e forse ci si incammina verso quella nazionalista e miliziana. Vedremo.

Comunque, oggi sappiamo che il primo vicepresidente dell’Iran, Mohammad Mokhber, sostituirà per 50 giorni il defunto presidente Ebrahim Raisi. Mokhber – figura di primo piano nella definizione dell’economia di resistenza che la Guida della Rivoluzione, ayatollah Ali Khamenei, aveva chiesto all’esecutivo Raisi – dovrà governare in accordo col presidente del parlamento e col capo del sistema giudiziario, come previsto dalla Costituzione. Poi si terranno le presidenziali anticipate.

Ma cosa possono cambiare le presidenziali anticipate? Tutti sanno che la Presidenza della Repubblica in Iran conta, ma non conta così tanto. L’architrave sul quale si regge l’intera impalcatura – il sistema iraniano – è la Guida della Rivoluzione, incarico oggi ricoperto, dalla morte di Khomeini, dall’ayatollah Khamenei: ottantacinquenne e da tempo malato.

Raisi, secondo tutti i resoconti, era il delfino ormai designato, la Guida per l’ormai imminente dopo-Khamenei. Dunque, era lui il nuovo uomo forte del sistema. Garantiva, in quanto chierico, l’equilibrio di un sistema che ormai si basa più che sui chierici, sui pasdaran, ossia i miliziani guardiani della rivoluzione, con i quali il chierico e falco Raisi aveva buoni e consolidati rapporti.

La discussione sulla successione dell’anziano Khamenei sembrava ormai entrata nel vivo, imminente, preparata da sorprendenti dichiarazioni pubbliche e ufficiali. Ecco perché un colpo di scena: se le condizioni di salute di Khamenei fossero state realmente gravi, il regime non avrebbe mai potuto correre il rischio di trovarsi con un Presidente ad interim e una Guida della Rivoluzione ricoverata in fin di vita.

La mia impressione è che la rapida decisione di affidare la presidenza interinale a Mokhber, per cinquanta giorni, sembra dire che la discussione sulla sostituzione di Khamenei può aspettare. Questa ipotesi la può certificare solo il medico curante di Khamenei, non certo io. Ma Khamenei ha battuto un colpo di vitalità: e lo ha fatto immediatamente. La sua sostituzione appare per ora andare in lista di attesa.

Nelle mani di un fedelissimo

Il colpo d’immagine subito dall’Iran è comunque grave: il Paese è impegnato nella destabilizzazione di tutto il Medio Oriente per conquistare il posto che ritiene di sua spettanza.

L’Iran non può permettersi di dire che un attentato o un sabotaggio hanno fatto fuori il suo Presidente e il suo ministro degli esteri, sul suolo patrio, senza conseguenze che contraddirebbero la sua scelta di destabilizzare gli altri per consolidare il proprio ruolo, ma senza portarsi la guerra in casa. Ma non può neppure permettersi di ammettere che i suoi velivoli non sono in grado di condurre da Baku a Tehran – in sicurezza – i suoi vertici. Il maltempo reggerà come unica giustificazione?

Tehran si affida dunque, per gli affari correnti, a Mohammad Mokhber, artefice di una politica economica che ha fatto precipitare la divisa nazionale, che in circa un anno ha perso il 50% del suo valore, per aiutare i Pasdaran a consolidare il loro potere economico, autentica holding dell’esportazione miliziana della rivoluzione e del controllo dei principali conglomerati economici nel paese.

La creatura che fa di lui un fedelissimo di Khamenei è un’istituzione caritativa – denominata Esecuzione degli ordini dell’Imam Khomeini (EIKO) – esonerata dal pagamento delle tasse. EIKO è un gigante, un autentico conglomerato controllato nei fatti dall’ufficio di Khamenei, che risulta presente in tanti settori dell’economia nazionale.

Uomo vissuto nell’ombra, lontano dai palcoscenici della politica e delle polemiche, potrà essere lui il vero successore di Raisi? È troppo presto per dirlo, ma la vera domanda è se la morte di Raisi porterà alla Guida della rivoluzione islamica il figlio di Khamenei, Mojtaba, anche lui un chierico. In questo caso, forse, un pasdaran potrebbe tornare alla Presidenza, dopo il triste precedente di Ahmadinejad.

Si dice che Khamenei padre abbia favorito l’ascesa tra i falchi del regime di suo figlio, ma proprio puntando su Raisi aveva inteso scongiurare lo scenario che vede suo figlio succedergli nella posizione suprema, e per questo avrebbe costruito su Raisi l’assetto del domani.

Quale futuro si apre?

La storia islamica ha conosciuto le dinastie califfali, quella degli omayyadi e quella degli abbasidi per citare le più note. La storia della Persia – pure – ha conosciuto le grandi (o piccole) dinastie degli scià, l’ultima delle quali è stata, come è noto, quella dei Pahlevi. Ora le Repubblica Islamica Iraniana potrebbe trovarsi costretta a inaugurare la dinastia repubblicana rivoluzionaria: sarebbe uno scenario di chiusura, di arroccamento. Forse è questo il motivo per cui l’ayatollah Khamenei ha dovuto scommettere ancora su sé stesso.

Il punto della morte di Ebrahim Raisi non costituisce un mutamento di linea dell’Iran perché non era lui a dettarla. Mentre Khamanei rimane saldo al potere. Il problema sta nel riequilibrio interno, che ora Khamenei deve definire, senza più l’uomo su cui avevano deciso di puntare. Oggi a Tehran il potere è nelle mani della suprema autorità teocratico-religiosa, dei suoi uffici, cioè dei mullah della sua corte e dei pasdaran, fedeli guardiani. Nel futuro i rapporti di forza resteranno ancora questi?

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