“Sii umano”. L’incontro mondiale sulla fraternità umana (Be Human, il World Meeting on Human Fraternity) che si è tenuto a Roma e nella Città del Vaticano (10-11 maggio 2024), ha attirato l’attenzione di tutto il mondo. 475 post sui canali della Fondazione Fratelli tutti, promotrice dell’evento, hanno fatto registrare 6.240.771 di contatti.
L’appuntamento è stato aperto dal card. Pietro Parolin al Palazzo della Cancelleria. Lì si sono riuniti oltre 30 premi Nobel per la Pace e alcune Organizzazioni non governative per discutere un documento sulla Fraternità.
Nella mattinata di sabato 11, papa Francesco ha ricevuto in udienza i Nobel e i keynote speakers dei vari tavoli di lavoro e in quell’occasione ha ricordato loro: «In un pianeta in fiamme, vi siete riuniti con l’intento di ribadire il vostro “no” alla guerra e il “sì” alla pace, testimoniando l’umanità che ci unisce e ci fa riconoscere fratelli, nel dono reciproco delle rispettive differenze culturali».
Nel pomeriggio si sono riuniti i 12 tavoli. Nota di merito va al fatto che i tavoli di lavoro si sono svolti per gran parte fuori dalle mura vaticane. Il pubblico in presenza ha raggiunto le 1.500 persone. I relatori e gli ospiti sono stati 250.
In questo contributo offriamo le riflessioni che si sviluppate al tavolo intitolato Lavoro: dignità, comunità e partecipazione, dove gli interventi hanno puntato sulla sfida di tenere l’essere umano al centro del lavoro, sulle relazioni come propulsori della produttività e sulla fraternità come paradigma della rivoluzione tecnologica e dell’intelligenza artificiale. La riflessione ha spinto a ripensare i luoghi di lavoro come comunità lavorative.
Il lavoro per valorizzare le persone
Ci si richiama al tema della fratellanza universale, però è una fatica grande. Il fratello è quello che si occupa dell’altro, il più vicino a lui. La fratellanza è un’utopia. Qualcuno ne ha parlato, Cristo: “ama il tuo vicino come te stesso”.
Il pensiero che possa esistere una fraternità fra tutti gli uomini del mondo sembra negata dalla storia. In tutti i secoli abbiamo avuto forme di potere. Chi aveva qualcosa, aveva potere. Il potere rende difficoltosa l’unione fra le persone. Il potere non vuole la cooperazione ma il conflitto.
Il lavoro è lo strumento per far germogliare i doni che Dio ha posto in ognuno di noi. C’è la necessità di un modello di sviluppo che metta al centro la qualità delle persone. Assistiamo, purtroppo, a una deriva liberista che riduce il lavoro a merce e a un modo di dirigere che rallenta la creatività e la valorizzazione delle persone. Oggi la competitività si misura sulla velocità e sulla adattabilità delle imprese sempre più sollecitate a cambiare rapidamente se vogliono stare sul mercato, dimenticando che il valore dell’impresa è dato dal capitale umano. Per questo è importante costruire relazioni aziendali. Migliorare il capitale umano è un traguardo senza il quale non si raggiunge nessun obiettivo.
La spinta è quella di orientarsi verso la sostenibilità sociale. Ciò significa lasciare alle spalle le contrapposizioni per andare verso quella compiuta democrazia sociale dove tutti i componenti di una società stanno dentro la trasformazione per generare il cambiamento.
Il segretario della CISL, Luigi Sbarra, faceva presente che ci sono 500 mila posti di lavoro disponibili nelle imprese italiane, ma mancano persone pronte ad accogliere il percorso di nuovi lavori proprio perché impreparati ai cambiamenti in atto.
Gestire le trasformazioni
Questa considerazione dice che la valorizzazione del capitale umano è strategicamente essenziale di fronte alle transizioni contemporanee: quella ecologica, quella digitale e quella demografica.
«Parola chiave delle transizioni è gestirle», così Gianni Rosas, direttore dell’Ufficio per l’Italia e San Marino dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). È importante gestire le transizioni climatica ed ecologica. Se non si mette mano alla gestione dei luoghi di lavoro e all’ambiente, il 70% dei lavoratori saranno esposti a problemi di salute e di sicurezza dovuti, in particolare, al forte surriscaldamento soprattutto per i lavori all’aperto che, in alcuni casi, rischiano di sparire.
Un’altra realtà che reclama di essere gestita è l’applicazione dell’intelligenza artificiale. È un processo che non si può fermare, ma deve essere governato, perché può portare molte opportunità, quali l’incremento delle produttività e la possibilità di ridurre gli orari di lavoro o di incrementare i salari.
Non va escluso che le transizioni in atto possano portare degli impatti negativi se non governate, sia in ordine al rispetto dei diritti fondamentali del lavoro sia alla crescita delle disuguaglianze che stanno aumentando nel mondo. Ad esempio, su tre miliardi di lavoratori nel mondo, due miliardi non hanno un contratto di lavoro, e dunque non hanno voce. Le lavoratrici nel mondo guadagnano il 20% in meno dei lavoratori. Queste cifre dicono che siamo in forte ritardo riguardo alla giustizia sociale.
Poi ci sono le questioni legate alla globalizzazione, in particolare alla nuova geografia del lavoro, dal momento che ormai i prodotti e i servizi vengono consumati in un paese ma vengono prodotti altrove, e quindi è necessario pensare a una governance o creare condizioni che possano essere applicate, alla pari, lungo tutte le filiere di produzione.
Al momento ci sono 150 milioni di persone che lavorano per dare forma all’intelligenza artificiale, per preparare tutte le informazioni affinché il sistema si sviluppi. Quasi tutti questi lavoratori sono collocati nel Sud del mondo, hanno un livello di professionalità medio alto, ma non sono tutelati e possono essere licenziati con un semplice clik.
In questa fase di squilibri è in corso un’autentica rivoluzione del lavoro. E questo va inserito anche nel rapporto tra Oriente e Occidente. L’Occidente è abituato a considerarsi il centro del mondo, ma non è più così. In Italia manca qualche centinaio di ingegneri. C’è un dato che fa impressione e riguarda l’India, quindi l’Oriente. In quella realtà, a seconda di come si fissa l’asticella – perché di lauree in ingegneria ce n’è di tanti tipi –, ogni anno si laureano in ingegneria dai 700.000 a 1 milione di studenti. Bisogna rendersi conto, prima che sia troppo tardi, che c’è un pendolo che da Occidente si sta spostando verso Oriente e che c’è un nuovo mercato del lavoro. Oltre al numero, c’è un’ulteriore differenza da considerare: i laureati dei paesi emergenti hanno voglia di imporsi.
La fraternità nelle imprese
Il concetto di fraternità cambia secondo la realtà di riferimento. Diverso è il rapporto tra la grande impresa e la media, piccola o piccolissima impresa.
L’artigianato è una realtà importante. Negli 8.000 comuni italiani non ce n’è uno dove non ci sia un’azienda artigianale. La parola artigianato rivela il dono della bellezza della materia. L’impresa artigianale può essere importante per le relazioni interpersonali. È un luogo di lavoro dove si ha la consapevolezza di quello che si sta facendo e del perché lo si fa. Le imprese artigiane sono luoghi dove l’inclusione è favorita.
Un ruolo fondamentale lo devono recitare le parti sociali, attraverso una contrattazione umana, che fa di queste aziende delle realtà familiari. Avere un clima familiare sul posto di lavoro aiuta a vivere nella maniera più umana la realtà di impresa.
Appiattiti sul presente
Gli interventi hanno individuato alcuni modi in cui realizzare la fraternità nelle imprese di diverso genere. Ma non sono mancati accenti forti sulle attuali difficoltà.
Riportiamo, al riguardo, un lungo stralcio dell’intervento di Fausto Bertinotti, già presidente del Senato: «Questa opportunità di incontro mi ha messo a confronto con tanti pensieri che non condivido, e mi costringono a cercare. Il punto di sofferenza che denuncio è quello di una visione irenica. Invece di fare appello solo alla fede – come si faceva una volta –, mettiamo in campo la razionalità; essa dice che non si può dimenticare che si vive un tempo di spogliazione e di crescita di disuguaglianze che mai si sono vissute.
Questa impresa sulla fraternità, alla quale ci si sta cimentando, è più difficile del lavoro dei padri costituenti… Dossetti e i padri costituenti scrissero insieme il capolavoro che è il secondo comma dell’articolo tre: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Questo comma supera ogni visione irenica, sottolinea che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli… Oltre alla ragione, ci vuole la forza… Sul tema della disuguaglianza come si fa a non vedere che 3/4 potenti hanno bilanci superiori a tre/quattro stati d’Europa?».
Sempre l’ex presidente del Senato ricordava: «Ogni volta che succede una morte sul lavoro, mi si presenta la faccia di un minatore sopravvissuto alla tragedia di Marcinelle (Belgio 1956) che mi diceva: “Non comincerai a studiare anche tu se nell’ascensore della miniera c’è stato un cortocircuito. Tutti quei minatori sono morti perché il carbone valeva più della vita umana”».
Riformare la politica
Ci si può aspettare l’imprevisto. Però se, intanto, si provasse a riformare quella cosa che chiamiamo “politica” in tutte le sue manifestazioni, da quelle più propriamente politiche a quelle sociali e a quelle istituzionali, forse si troverebbe una qualche strumentazione in più per far valere la possibilità di un’inversione di tendenza. Non dobbiamo dimenticare che abbiamo avuto un quarto di secolo segnato dalla tendenza totalitaria di un capitalismo che distrugge la democrazia e che si propone come religione.
Per queste ragioni non è facile generare fraternità. Si devono rimuovere gli ostacoli per il pieno sviluppo delle persone, e si devono rimuovere nei luoghi di produzione.
La trasformazione deve partire da un allargamento di quei tre valori innati che sono l’amore, la libertà, la giustizia.
Occorre prendere atto che il potere del 2000 è diviso in tre ambiti: vendere, comprare, consumare. Vince chi convince gli altri a comprare i suoi prodotti. E questa è un’altra realtà da affrontare, insegnando alle persone a ragionare con la propria testa e a non farsi sorprendere dalle mode.
A partire da questo aspetto, riprendo una considerazione di Roberto Vecchioni, che, intervenendo al tavolo Educazione: ricostruire il mondo, lanciava questa provocazione: «Io sono convinto che questa sia una sfida di Dio. Da quando Adamo ha detto “io me ne vado, voglio essere libero, anche se nel cuore non sono felice”. Da quel momento in poi, Dio ha contratto una gara con l’uomo: “io ti metto tutti gli ostacoli possibili, voglio vedere se li superi e se riesci a diventare fratello del fratello”. Questo avverrà perché è già nella mente di Dio».
> Un’altra realtà che reclama di essere gestita è l’applicazione dell’intelligenza artificiale. È un processo che non si può fermare, ma deve essere governato, perché può portare molte opportunità, quali l’incremento delle produttività e la possibilità di ridurre gli orari di lavoro o di incrementare i salari.
Qualsiasi incremento di produttività generato dall’IA è a vantaggio dei capitalisti e a discapito dei lavoratori. Questo non per alimentare una lotta di classe in cui non mi riconosco affatto ma per sottolineare che, di per sé, questa innovazione non può che amplificare le disuguaglianze. Regolarla vorrebbe dire creare delle inefficienze e per questo molti in Silicon Valley chiedono l’UBI, il reddito universale di base, tralasciando completamente il discorso della dignità intrinseca del lavoro. Per questo vorrei che noi cattolici fossimo più critici della IA come concetto, ancor prima di ogni sua applicazione.