Con quest’ultimo episodio si chiude la rubrica Chronicon. Le pagine del diario della vita di un parroco di città verranno raccolte e pubblicate in volume dalle EDB – Edizioni Dehoniane Bologna. Antonio Torresin e Davide Caldirola hanno curato per Settimana tre rubriche dedicate al vissuto del presbitero, disponibili, sempre per EDB, in volume ed e-book: I verbi del prete (2012), I sentimenti del prete (2014), I sogni del prete (2015).
Ogni domenica preparo un foglietto agile e semplice con gli avvisi per la settimana. Ma, oltre agli appuntamenti, metto sempre una breve meditazione che offro a tutti i fedeli per nutrire il cammino della settimana. Non sono un abile scrittore e per questo cerco sempre qualche spunto da autori noti o meno che però stanno diventando una “nube di testimoni” che accompagna il cammino spirituale di tanti fedeli. E mi sorprende scoprire come quei pensieri circolino e facciano del bene.
Provo a tenere un profilo non banale, cerco autori che sento a me vicini, ovviamente vi rifletto la mia sensibilità spirituale, ma anche in questo modo vedo che si crea un pensiero comune, un modo per sostenere la domanda di fede. Queste brevi meditazioni le cerco tra le letture che faccio io stesso e così condivido il mio cammino spirituale (Bonhöffer, von Balthasar, De Foucauld, Vanier, Barsotti, Bianchi, Thévenot, de Chergé…): volendo, potrebbero scoprire molto di cosa si nutre il loro prete.
Ma ultimamente non c’è dubbio che l’autore da cui saccheggio di più è papa Francesco. Non solo perché vedo che molti lo leggono volentieri, e perché ha una capacità di parlare diretta, semplice e accessibile, e spesso usa parole incisive che rimangono impresse; anche perché io stesso imparo dal suo magistero ordinario molto sul mio essere pastore. Così ho avuto anche l’opportunità di recepire un poco l’eco delle sue parole sulla gente della mia comunità.
Non c’è dubbio che Francesco abbia trovato un modo singolare di parlare al cuore di tanti fedeli. Quali le ragioni di questo consenso? Ovviamente le parole di un papa hanno una loro autorevolezza specie in un paese ad alta tradizione papale! Ma c’è di più. Credo che il suo stile personale doni alle sue parole una particolare forza. Anzitutto la gente percepisce una coerenza tra le parole e il modo di vivere: non è un dato scontato soprattutto oggi nelle figure pubbliche! Poi c’è la capacità di andare al cuore del messaggio evangelico della misericordia, come uno che la vive anzitutto su di sé. Il suo moto – miserando atque eligendo – indica che la misericordia la possiamo annunciare solo se ne siamo oggetto come peccatori perdonati. Non è un caso che, alla prima intervista, si sia definito anzitutto così: un peccatore perdonato. Questo annulla un poco quella distanza che spesso caratterizza gli uomini religiosi dai fratelli e dalle sorelle che cercano un po’ di speranza, fa sentire più vicino il Vangelo, apre strade di simpatia e di sintonia.
Se c’è una lettrice che mi fa da cartina di tornasole è mia madre: spesso mi chiede qualcosa da leggere anche di natura spirituale, e non è una lettrice facile. Non ha molto studiato, è una donna semplice, ma credo abbia una sua finezza spirituale. È diventata una lettrice fedele dei testi di Francesco, delle sue omelie e dei suoi discorsi. È un buon segno. La settimana scorsa una mamma del catechismo mi ha chiesto un incontro dopo aver letto le parole di Francesco sul Natale in uno dei foglietti della domenica: ci sono cammini che riprendono anche così.
Poi ci sono “quelli di fuori”. Loro i miei foglietti non li leggono certo! Eppure scopro che Francesco parla molto e forse ancor più al di là dei confini ecclesiali. Non entro nella disanima delicata dell’immagine del papa sui media, perché qui le cose si fanno complicate, i fraintendimenti e le appropriazioni indebite più sottili. Parlo sempre della gente che incontro, al bar, per la strada, nei dialoghi più marginali. Anche in questo caso molti sono sensibili alle parole di Francesco che sembra parlare all’uomo comune, agli uomini e alle donne che vivono una vita ordinaria. Negli incontri di preparazione al battesimo utilizziamo alcune delle sue catechesi sulla famiglia, e subito si parla delle cose della vita (“permesso” “grazie” “scusa”) ed è come se il Vangelo lo si ascoltasse dal di dentro della vita ordinaria. Non è cosa da poco!
Tutto bene? Non proprio. Esiste anche un disagio nascosto, che però qualche volta fa capolino. Magari durante una confessione, nella quale qualcuno esprime con senso di vergogna di non essere d’accordo con questo papa per le sue attenzioni ai migranti, e si sente a disagio perché non riesce a vivere quella apertura senza paure che lui chiede ai cristiani. È soprattutto sui temi sociali che sembra questo papa abbia toccato nervi scoperti, provochi “imbarazzati distinguo”, susciti nella gente delle riserve, come a dire: “sarebbe bello ma non è possibile…”. Invece non ho trovato nessuno che si sia sentito minacciato da un approccio misericordioso alle situazioni matrimoniali difficili: quelle sono voci che mi sembra rappresentino più un sentire di alcune parti minoritarie della Chiesa.
Ma c’è un filone di dissenso nascosto che mi ha ultimamente colpito. In un incontro tra preti qualche confratello dichiarava che fossero i preti giovani quelli meno in sintonia con lo stile di questo papa. Sarà perché ha abbandonato quello stile sacrale che negli ultimi anni ha affascinato non pochi giovani preti, sarà perché ha riportato il tema della povertà della Chiesa in primo piano e questo ci espone come preti a dover rivedere non pochi stili di vita. Non lo so, ma mi colpisce questa silenziosa resistenza. O forse è il segno che Francesco provoca veramente la sua Chiesa ad una conversione e per tutti convertirsi non è facile.
E io? Io come pastore e come parroco penso che devo fare ancora molta strada per un ascolto non superficiale del magistero di questo papa. Penso soprattutto al suo stile di essere pastore. Quando dice che un pastore deve stare davanti, ma anche in mezzo e a volte dietro il suo gregge, che cosa mi sta dicendo sul mio stile di prete e sulla pastorale della mia comunità? Ho davvero “l’odore del gregge”? Conosco la lingua degli uomini con cui vorrei parlare? Ascolto davvero la loro vita? Sono in grado di tenere una sintonia con il sensus fidelium? E la mia parrocchia è capace di essere una Chiesa “in uscita”? Ma che cosa vuol dire in concreto?
Che sia un “ospedale da campo” non faccio fatica a vederlo, perché quando penso alla mia gente e a me stesso non posso che immaginare una carrellata di casi umani che portano molte ferite, e mi commuove pensare che Dio si serva proprio di noi!
Insomma mi faccio molte domande e penso che di questo stile pastorale io debba anzitutto cominciare dalla capacità di mettermi di più in ascolto della vita quotidiana del popolo di Dio che il Signore mi ha donato e al quale mi ha affidato.
In ogni caso questa sera come sempre pregherò volentieri per papa Francesco e chiedo al Signore che la sua Chiesa sappia non lasciare passare invano la grazia che mi sembra lui rappresenti per noi oggi.
Don Giuseppe