Guerra Congo-Ruanda: gli stati e le popolazioni

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Si dice spesso che “quando due lupi combattono, è l’erba a soffrire”. Questo adagio è applicabile, mutatis mutandis, a ciò che sta accadendo nella regione dei Grandi Laghi, più precisamente alla guerra che si è insediata nelle relazioni tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda dopo gli eventi del genocidio ruandese e ciò che ne è seguito.

Non scendiamo nel merito. La realtà è che le relazioni tra i due Stati sono peggiorate notevolmente negli ultimi anni, anche se va sottolineato che da più di vent’anni i due Stati sono impegnati in una guerra fredda in cui si guardano con la coda dell’occhio come due bambini alla ricerca di un pezzo di carne.

La guerra è arrivata. E non sembra pronta a cedere il passo alla pace, perché ha persino toccato gli esseri umani: la xenofobia si è invitata al banchetto politico di sangue. Di conseguenza, la guerra tra questi due Paesi è degenerata in una guerra molto più pericolosa: la guerra del cuore umano, delle emozioni, delle ideologie assassine. Eppure, se la popolazione è una componente essenziale della nozione di Stato, non deve essere confusa con lo Stato.

Ogni uomo, donna e bambino della Repubblica Democratica del Congo, del Burundi, del Kenya o del Ruanda, è prima di tutto un cittadino del mondo. La situazione nazionale è quindi un caso. Idealmente, le popolazioni dovrebbero rimanere al di fuori delle lotte di potere che caratterizzano gli Stati, dato che nella concezione del contratto sociale gli Stati sono mostri, poteri che possono conquistare territori – ma anche e soprattutto, poteri incaricati di porre fine al ciclo della violenza individuale (lo stato di natura), di stabilire l’armonia sociale e la pace, la vera pace che si radica nel cuore dell’uomo, come ama dire il vescovo della Diocesi di Butembo-Beni, mons. Sikuli Paluku Melchisedech.

In altre parole, Hobbes, John Locke e Rousseau si rivoltano nella tomba. Lo scopo della loro creazione è stato dirottato. Gli Stati sono diventati più bellicosi che agenti di pace e di non violenza. Inoltre, la guerra, la capacità di causare danni, è diventata un fattore di potere.

L’avvento della bomba atomica e delle armi nucleari la dice lunga. Gli esseri umani non sembrano più contare molto. L’unica cosa che conta è la guerra – un flagello che dovrebbe risparmiare il cuore degli uomini, perché una volta infettato dai virus “bellici” il cuore umano è l’arma più letale che si possa immaginare.

Così facendo, gli attori politici dovrebbero evitare di intossicare la popolazione, coinvolgendola nei loro giochi di morte. Le popolazioni dell’est della Repubblica Democratica del Congo e del Ruanda non devono essere uccise o sfruttate. In breve, questa guerra, che sembra alimentare l’ego di alcuni politici disonesti, non dovrebbe toccare il cuore dei congolesi e dei ruandesi.

Dopo aver letto questo articolo, i lettori dovrebbero ascoltare le parole melodiose del musicista Mihigo (di felice memoria): “Miei cari congolesi, miei cari amici vicini, non c’è odio possibile tra noi. Pensiamo profondamente a ciò che ci unisce prima di lasciarci trasportare da ciò che ci divide. Al di là delle nostre differenze, siamo tutti fratelli nella fede; al di là delle nostre differenze, siamo fratelli nel sangue. Venite tutti i ruandesi, venite tutti i congolesi, lottiamo insieme per cantare la pace…”.

  • Pubblicato nel quadro della collaborazione con la rivista africana J’écris, Je crie.

Guerre des Etats, guerre des peuples?

“Là où deux loups se battent, ce sont les herbes qui en souffrent”, dit-on souvent. Cet adage est, mutatis mutandis, applicable à ce qui se passe dans la région dire des Grands-Lacs, plus précisément, la guerre qui a élu domicile dans les relations entre la République Démocratique du Congo et le Rwanda depuis les événements du génocide rwandais et ce qui s’ensuivit.

Ne nous y attelons pas. En fait, la réalité est que les relations entre les deux États sont au rouge ces dernières années bien qu’il faille préciser que depuis plus de vingt ans, les deux États vivent une guerre froide où l’on s’observe du coin de l’oeil tels deux gamins à l’affût d’un morceaux de viande.

La guerre est là. Et elle semble ne pas être prête à céder place à la paix puisqu’elle a touché jusqu’à l’homme : la xénophobie s’est invitée au repas de sang des politiques. Partant, la guerre entre ces deux pays a dégénéré à une guerre bien plus dangereuse : la guerre des cœurs humains, des émotions, des idéologies meurtrières. Pourtant, si la population est une composante essentielle de la notion d’Etat, elle ne devrait être confondue à l’Etat.

L’homme, la femme, l’enfant se retrouvant en République Démocratique du Congo, au Burundi, au Kenya, au Rwanda est avant tout un citoyen du monde. Partant, la situation nationale est un accident. Les populations devraient, idéalement, rester à l’écart des rapports des forces qui sont le propre des Etats entendu que dans la conception du contrat social, les États sont des monstres, des puissances pouvant conquérir des territoires mais aussi et surtout, des pouvoirs mandatés pour mettre fin au cycle de violence individuelle (l’état de nature), pour asseoir l’harmonie sociale, pour instaurer la paix, la vraie paix étant celle qui s’enracine dans le coeur de l’homme comme aime le dire l’évêque du Diocèse de Butembo-Beni, Mgr Sikuli Paluku Melchisedech.

Autant dire qu’où ils reposent, Hobbes, John Locke, Rousseau (chacun dans ses lunettes ) fondent en larmes. La finalité de leur création a été détournée. Les États sont devenus plus belliqueux qu’acteurs de paix, de non-violence. Bien plus, la guerre, la capacité de nuisance est devenue un facteur de puissance.

L’avènement de la bombe atomique, de l’arme nucléaire en dit long. L’humain semble ne plus compter vraiment. Seule prime la guerre, ce fléau qui devrait épargner les cœurs des hommes puisqu’en fait, une fois atteint par les virus “guerre”, le cœur de l’homme est l’arme la plus mortelle que l’on puisse imaginer.

Ce faisant, les acteurs politiques devraient éviter d’intoxiquer les populations, de les engager dans leurs jeux de mort. Les populations de l’Est de la République Démocratique du Congo et du Rwanda ne sont pas à tuer, à instrumentaliser. Bref, cette guerre qui sévit, qui semble nourrir l’ego de certains politiques véreux ne devrait pas atteindre les cœurs des congolais et rwandais.

Qu’au terme de la lecture de cet article, le lecteur auditionne ces paroles mélodieuses de l’artiste musicien Mihigo (d’heureuse mémoire ): “Mes chers congolais, mes chers amis voisins, il n’y a pas de haine possible entre nous. Pensons profondément à ce qui nous unit avant d’emporter par ce qui nous divise. Au-delà de nos différences, nous sommes tous des frères de foi, au-delà de nos différences, nous sommes des frères de sang. Venez tous les Rwandais, venez tous les Congolais, battons-nous ensemble pour chanter la paix…”

  • Publié dans le cadre de la collaboration avec le magazine africain J’écris, Je crie.
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