La festa liturgica del Sacro Cuore di Gesù diventa, per noi di SettimanaNews, anche l’occasione per condividere con le nostre lettrici e lettori un pezzo della spiritualità di casa – che trova il suo perno nella singolare appropriazione e declinazione della devozione al Sacro Cuore da parte di p. Dehon a cavallo tra il XIX e il XX secolo.
Un altro mondo, un’altra Chiesa, un’altra storia, rispetto al tempo in cui viviamo oggi: eppure, le origini di uno stile della fede e di un’intelligenza della storia umana sono proprio lì. Questa tradizione spirituale è ciò che accomuna cammini comunitari anche molto diversi tra loro nelle molte parti del nostro mondo in cui è presente la Congregazione.
Lì si trova il senso di una comunanza che ci precede, senza però impedirci percorsi originali, apparentemente lontani tra di loro. Percorsi chiamati però a essere compresi e resi accessibili a tutta la Congregazione. Per una rivista come SettimanaNews, questo significa rendere ragione di come devozione (al Sacro Cuore) e spiritualità (dehoniana) trovino la loro attivazione nel servizio ecclesiale dell’informazione religiosa e culturale.
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Un servizio che chiede una sorta di primato delle cose concrete, dei fatti che avvengono, delle scelte che aprono o chiudono orizzonti. La tentazione da superare è quella di circondare con un’aura dehoniana qualcosa che non è nostro, ma di altri – spesso di tutti.
Si tratta dell’ossessione di voler trovare tracce della spiritualità di casa in spazi e tempi che non ci appartengono, dando forma a una specie di colonialismo spirituale in tono minore. Accanto a questo, vi è un secondo pericolo: quello di prestare attenzione solo a ciò che risulta immediatamente intelligibile alla griglia spirituale che dà forma alla nostra fede. Come se fossimo chiamati a dare rilievo solo a ciò che potrebbe essere una sorta di fotografia di noi stessi.
Per una tradizione spirituale, per quanto essa sia relativamente giovane e marginale nella Chiesa, fare informazione religiosa è sostanzialmente una pratica ascetica. Non si tratta di rinnegarla, certo, ma di farla funzionare in un modo che non è connaturale a essa: lasciando la prima parola alle cose della vita così come esse sono.
Il “dehoniano” passa sullo sfondo e, a partire da questa dimensione, si attiva come un sentire credente che lascia spazio a quanto accade nel mondo e nella Chiesa – e si lascia interrogare da esso per trovare una nuova sintesi, un nuovo modo di essere nella storia umana. Smette di invadere la realtà, come se tutto dovesse portare l’etichetta “made in Dehon”, per imparare dalle cose che accadono cosa lo Spirito chiede di essere messo in rilievo nel vortiginoso mondo dell’informazione.
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Come dicevamo all’inizio, veniamo da un’origine che si attiva ogniqualvolta la fede che plasma è capace di seguire i cenni dello Spirito, che conducono altrove rispetto alle sicure e comode mura di una spiritualità gelosamente custodita in se stessa e per se stessa. Questo è quello che cerchiamo di fare quotidianamente con il nostro lavoro di informazione religiosa, ecclesiale, socio-culturale e politica.
L’informazione religiosa è una pratica in cui si apprende a dire la (propria) spiritualità dehoniana parlando di altro – e questo fa bene alla spiritualità stessa, che si trova così costretta a fronteggiare nuovi orizzonti, territori inesplorati dell’umano e del Vangelo. Faccio solo due esempi, ma ne sarebbero possibili molti altri. Il primo riguarda il ministero nella Chiesa, il secondo la forma democratica della convivenza umana.
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Dehon richiama sovente i suoi a farsi carico, e a prendersi cura, del “peccato delle anime consacrate (preti e religiosi)” nella Chiesa cattolica. Questo fronteggiamento col male nel cuore della comunità voluta dal Signore è parte essenziale della spiritualità che il fondatore ha vissuto nell’orizzonte della devozione al Sacro Cuore.
Non un semplice invito, ma una vera e propria ingiunzione alla consapevolezza del fatto che la Chiesa non è immune al male – e questo proprio nel ministero chiamato a darle ordine e nella testimonianza di vita della religiosa fedeltà a Gesù.
Oggi, questo non si può dire che parlando (anche) degli abusi sessuali, spirituali e di potere nella Chiesa cattolica. Il lavoro di informazione che stiamo portando avanti da anni in questo ambito non nasce in ragione di una morbosa avversione nei confronti dell’istituzione ecclesiale, ma per una fedeltà all’origine spirituale del nostro modo di declinare la fede cristiana. Memori del fatto che anche tra noi, che avremmo dovuto essere plasmati da quell’ingiunzione di fondazione a vedere il male che c’è nella Chiesa e nella Congregazione, si sono create dinamiche e strutture che l’hanno disattivata e resa inefficace.
Chi legge con una qualche attenzione SettimanaNews avrà notato, nell’impianto informativo complessivo, una militante presa di posizione a favore dell’istituzione democratica – oggi più fragile e in dissolvenza che mai. Questa presa di posizione, che ha sicuramente un suo risvolto politico, è radicata nell’esperienza spirituale che è stata consegnata alla nostra fede. L’orizzonte collettivo sotto il quale Dehon ha iscritto il suo carisma di fondazione è quello del “sint unum” – da espandere nel mondo e nella società.
L’istituto democratico, tra quelli attualmente a disposizione, è quello che getta le basi per un ordinamento comune, che aspira a essere condiviso da tutti perché sentito capace di una ospitalità dell’umano che altri registri istituzionali non sono in grado, o non vogliono garantire. Al tempo stesso, l’orizzonte spirituale del “sint unum” funge da istanza critica dei diversi modi in cui l’istituto democratico viene attualmente realizzato o riconfigurato.
Esso aspira all’umano riconciliato, dove la conflittualità viene organizzata come luogo di verifica delle diverse sensibilità che compongono la collettività, quale attestazione della differenza escatologica della promessa del Regno di Dio. Questo chiede di leggere tutte quelle istanze e procedure istituzionali che permettono una composizione del conflitto, una sua risoluzione non violenta e/o di parte, come referenti significativi dell’esperienza spirituale dehoniana.
Il convinto sostegno dato all’Unione europea, nel riconoscimento dei suoi limiti e di una sua certa miopia burocratica (soprattutto verso i fenomeni religiosi nel loro intreccio con le pratiche comunitarie), rientra all’interno di questo orientamento spirituale originato dal carisma di fondazione di padre Dehon.
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Un’ultima annotazione minore, che però merita di essere esplicitata. Essa riguarda il “come” della connessione fra esperienza spirituale dehoniana e lavoro di informazione religiosa.
La formulerei nei seguenti termini: in tutto questo, la spiritualità rappresenta una sorta di sfondo inconscio, non tematizzato, che si esprime però pienamente in quell’altro di cui si parla facendo informazione religiosa. Proprio per questa ragione non ha bisogno di essere tematizzata; anzi, una sua esplicitazione finirebbe col mancare la stessa condizione di possibilità di attivarla efficacemente grazie a quel campo di esteriorità/estraneità in cui essa si esprime.
Tesoro prezioso questo, perché custodisce la consapevolezza che la spiritualità (dehoniana, in questo caso) non dipende né dalla predicazione del suo essere, né dalla nominazione del suo esercitarsi; quanto, piuttosto, dalla sua pratica espressiva resa possibile da quel tutto-il-resto che essa non è.
Grazie dell’articolo e delle riflessioni sulla relazione tra un Carisma e l’informazione religiosa. A me sembra che, nonostante le buone intenzioni, l’impronta dehoniana sia abbastanza forte (ma forse non è solo un limite) e che l’etichetta “made in Dehon” sia diffusa. Lo si nota, secondo me, dalla ricorrenza di alcune tematiche e dalla fedeltà ad autori (redattori e collaboratori) “collaudati”. Grazie del vostro lavoro