Questa strana elezione europea si può leggere in due modi completamente opposti: cambia tutto per non cambiare nulla; oppure anche se non cambia nulla, cambia tutto.
Il Parlamento europeo che emerge dal voto del 9 giugno dovrebbe portare a una maggioranza analoga a quella dell’ultima legislatura, dunque a un bis di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione.
Ma gli sconvolgimenti all’interno dei singoli Paesi – dall’Italia alla Francia – possono avere forti impatti anche a livello europeo, oltre che domestico.
Il livello europeo
L’avanzata delle destre estreme e il crollo di alcune forze cruciali per la formazione dei gruppi al Parlamento UE non intacca più di tanto la composizione dell’emiciclo. Il Partito popolare europeo (centrodestra) ha vinto in misura netta le elezioni e questo dovrebbe portare – già nel vertice dei capi di Stato e di governo del 17-18 giugno – a indicare la candidata ufficiale del PPE per un secondo mandato alla guida della Commissione: Ursula von der Leyen, che ieri sera parlava già da leader riconfermata.
Nonostante il crollo di Emmanuel Macron in Francia che ha portato a un ridimensionamento del gruppo di Renew (liberali), von der Leyen potrebbe essere confermata dalla stessa maggioranza che ha retto la legislatura 2019-2024, cioè PPE-S&D (i socialisti e democratici) e Renew: insieme valgono 414 seggi, ampiamente sopra la quota richiesta minima, cioè 361.
In questo scenario, per von der Leyen ha senso al massimo cercare un allargamento tattico o strutturale ai Verdi (51 seggi) ma non c’è necessità e non ci sono le condizioni per dover coinvolgere i Conservatori e riformisti di Giorgia Meloni, l’opzione di una maggioranza spostata a destra è molto meno plausibile di quello che si pensava o temeva prima delle elezioni.
Continuità o terremoto?
A guardare il Parlamento europeo, sembra dominare quindi la continuità, tutto come prima, o more of the same, come si dice in inglese. Ma l’Unione Europea non è governata soltanto da Parlamento e Commissione.
C’è anche il Consiglio, cioè la rappresentanza dei governi. E qui le cose si fanno complicate, per il tracollo di Emmanuel Macron in Francia, doppiato dalle destre, ma anche per la crisi della SPD del cancelliere Olaf Scholz in Germania.
All’improvviso l’Ue si trova con il motore franco-tedesco spento: Macron, il leader che ha cercato di dare la linea su guerra, difesa, politica industriale è costretto a una scommessa disperata, cioè chiamare elezioni anticipate che porteranno quasi certamente la destra di Marine Le Pen e Jordan Bardella al governo.
Così, scommette Macron, perderanno consensi in vista delle presidenziali 2027, ma intanto la coabitazione tra un presidente liberale e un governo di destra renderà la Francia molto meno influente a Bruxelles.
Diventa quindi più improbabile che Macron possa imporre il suo candidato, Mario Draghi, in una delle posizioni apicali della nuova UE (alla Commissione resterà von der Leyen, ma ora diventa difficile anche il Consiglio).
Olaf Scholz è sempre più avvitato in una crisi senza ritorno, e la Germania non ha neanche l’ombra della leadership europea di quando c’era Angela Merkel.
È il momento di Meloni?
L’Italia è sempre più debole quando i suoi partner forti soffrono. E la premier poi non è così centrale come sperava: l’esito più probabile è ora che i suoi Conservatori e riformisti si trovino a votare Ursula von der Leyen senza però entrare nella maggioranza (o almeno per Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni sarebbe abbastanza suicida mettersi in un’opposizione frontale e formale).
In queste condizioni, è difficile pensare che il Consiglio dei capi di Stato e di governo riesca a dare un indirizzo chiaro all’UE, specie nell’area cruciale del posizionamento geopolitico.
Intanto in Italia
A livello domestico, è facile individuare vincitori e vinti. Un chiaro successo per Giorgia Meloni e per il suo centrodestra: da un lato Fratelli d’Italia cresce ancora, quasi al 29 per cento, dall’altro si conferma la notevole capacità dei partiti di area di intercettare i delusi dei propri competitor interni.
La Lega va male, al 9,1 per cento, ma Forza Italia si rigenera in versione moderata ed europeista sotto la guida di Antonio Tajani e arriva al 9,7 per cento.
Si prevedono tensioni dentro il mondo leghista, perché la scommessa di Matteo Salvini sul generale Roberto Vannacci non ha portato nuova linfa e neppure ha evitato il sorpasso di Forza Italia.
Le novità maggiori sono fuori dal centrodestra: l’ex terzo polo conferma il suo suicidio politico, il duello costante tra le due personalità di Matteo Renzi e Carlo Calenda li porta all’irrilevanza che avevamo previsto qui su Appunti. Neanche un eletto, neanche un italiano nel gruppo più europeista, quello dei Liberali, altro che Stati Uniti d’Europa. Un disastro che dovrà avere qualche conseguenza.
Elly Schlein con il PD riesce a ottenere un risultato più che dignitoso a livello assoluto, con il 24 per cento, ma notevole dal punto di vista relativo: la segretaria non offre spunti ai nemici interni per attaccarla, può rivendicare la scelta di aprire il partito a nomi che ne contestano la linea sull’Ucraina, come Marco Tarquinio e Cecilia Strada, visto che quantomeno ha sottratto voti ai Cinque stelle.
La coalizione di centrosinistra esce dalle europee trasformata, se confrontiamo con il 2022: i centristi di Azione che tanto avevano fatto penare Enrico Letta alle elezioni politiche spariscono o quasi, i Cinque stelle di Conte vengono drasticamente ridimensionati sotto il 10 per cento, se continuano così rischiano il sorpasso dall’Alleanza Verdi-Sinistra (AVS), un progetto che sembrava spacciato dopo le vicende di Aboubakar Soumahoro e le varie liti e polemichette interne e che invece si è dimostrato in grado di proporsi come nuova forza di riferimento per chi nel centrosinistra non si riconosce nel PD.
Il nuovo centrosinistra è più sbilanciato verso sinistra rispetto a quello delle elezioni 2022, e questa è una cosa coerente con un contesto dove c’è un voto proporzionale, che premia le identità delle singole forze (quella dei Cinque stelle è ormai sbiadita), ma potrebbe rivelarsi penalizzante con una legge elettorale come quella italiana che si basa in gran parte su collegi uninominali, dove serve prendere voti anche più al centro.
Insomma, Meloni e Schlein sono entrambe più forti, ma è troppo presto per dire che si sono create le condizioni per un’alternativa di governo davvero competitiva.
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 10 giugno 2024
Ho letto con piacere l’attenta dissertazione del dott. Feltri, però spiace notare, e mi farebbe piacere rispondesse sul tema, che anche nelle immagini correlate all’articolo si dia visibilità a Calenda, ma non la si dia ad una lista emergente, che altresì non ha superato lo sbarramento, ma il cui risultato andrebbe menzionato. Parlo di Pace, terra, dignità, di Michele Santoro. In effetti questi ultimi hanno preso quasi 500.000 voti. Mezzo milioni di voti per un movimento pacifista nato l’altro ieri andrebbero menzionati, anche e soprattutto considerato che tale lista è stata osteggiata, tanto da costringere all’uso del ricorso in talune situazioni per poter essere ammessa, per poi aver vissuto la totale trasparenza dei media, se si fa eccezione per La7 e qualche altra sbavatura del sistema. Capisco la pace non sia priorità di quasi nessuno, ma mi parrebbe intellettualmente onesto fare presente che il movimento pacifista è vivo.
Condivido pienamente questo appunto. Ritengo che nell’attuale momento storico il problema della pace sia assolutamente prioritario mentre, purtroppo, è stato lasciato in ombra o trattato superficialmente dalla maggior parte delle forze politiche durante la campagna elettorale. Penso perciò che il movimento creato da Santoro così come altre iniziative pacifiste dovrebbero essere prese in attenta considerazione e aiutate a crescere. Come cattolici dovremmo essere più sensibili e attivi sul tema della pace che meriterebbe di essere al primo posto nel nostro impegno nella società. Non lasciamo solo papa Francesco nella sua azione di pace.