“Mondo Serbo”: Il dio della nazione

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patriarca porfirio

La Chiesa ortodossa serba del patriarca Porfirio sembra incapace di resistere alle sirene del nazionalismo. Dopo la furibonda battaglia diplomatica per impedire all’assemblea ONU di qualificare come genocidio la mattanza di oltre 8.000 bosgnacchi (non serbi) a Srebrenica nel 1995 le autorità politiche e religiose serbe hanno celebrato lo Sabor, l’assemblea panserba, approvando una dichiarazione Sulla tutela dei diritti nazionali e politici e il futuro comune del popolo serbo. Rappresenta il testo di riferimento per l’ideologia del «mondo serbo» (Srèskl Svet) che sostituisce il termine ormai consunto e troppo politico di «grande Serbia».

Il genocidio di Srebrenica

Dal 2025 l’11 luglio diventerà giorno di memoria di quanto è successo a Srebrenica nel 1995 dove le forze militari serbe hanno massacrato 8.372 uomini e ragazzi musulmani per piegare la resistenza dei bosniaci e impedirne l’indipendenza. Un conflitto che in precedenza aveva coinvolto la Croazia e il Montenegro (assai parzialmente la Macedonia del Nord) facendo 100.000 vittime.

La Serbia ha usato tutto il suo potenziale diplomatico per bloccare la risoluzione onusiana approvata il 23 maggio. In essa «si condanna senza riserva la negazione del genocidio di Srebrenica come evento storico e si chiede agli stati membri di preservare i fatti acclarati, anche attraverso il sistema educativo e sviluppando programmi appropriati al fine di garantire la memoria, evitare la negazione e la deformazione dei fatti come anche il ripetersi di genocidi per il futuro».

I responsabili non il popolo serbo

La dichiarazione evita ogni accusa generica al popolo serbo e riprende la condanna del tribunale internazionale speciale per la ex-Iugoslavia nel 2008 e quella del tribunale dell’Aia nel 2017. La decisione è stata tormentata: 84 stati hanno votato a favore, 19 contro, 68 si sono astenuti. Questo ha permesso al presidente serbo, Aleksandar Vučiċ, di dire che la maggioranza degli abitanti del mondo erano dalla sua parte (Cina e Russia hanno votato contro), che il voto era sì legale ma privo di legittimità, compiacendosi del crescente isolamento dell’Occidente.

Tre giorni prima del voto, il patriarca Serbo, Porfirio, ha detto:

«Eleviamo con fermezza la voce e denunciamo la menzogna assoluta e il tentativo di revisionismo storico senza precedenti. Il popolo serbo, vittima di molteplici genocidi e di “pulizie etniche” viene dichiarato colpevole di genocidio, rovesciando i fatti. Non minimizziamo l’ampiezza dei crimini commessi a Srebrenica, ma in quanto serbi ortodossi non ignoriamo i crimini commessi contro il popolo serbo nei dintorni di Srebrenica. Purtroppo tali crimini commessi in villaggi serbi dove famiglie intere sono state sterminate e che si sono prolungati dal 1992 al 1995 sono ignorati dai fautori della risoluzione (onusiana). Per loro esiste un diritto esclusivo al sacrificio e al dolore. Per noi invece tutte le vittime innocenti sono tali, che siano musulmane, croate o serbe».

La totale sovrapposizione di Porfirio con Vučiċ, dei vertici ecclesiali con quelli politici ha reso comprensibile, anche se non giustificabile, la proibizione delle autorità politiche del Montenegro ai gerarchi serbi di radunarsi per il sinodo a Peċ, nei territori monastici della Metochia il 13 maggio, provocando l’aspra critica dei gerarchi che parlano di iniquità totale, di violazione dei diritti umani e dell’ignoranza di una storia che rimonta al XIV secolo.

Sabor: istituzione extraparlamentare

A metà marzo un lungo incontro fra il presidente serbo, Aleksandar Vučiċ, il presidente della regione serba della Bosnia-Erzegovina, Milorad Dodik e il patriarca Porfirio ha prodotto la decisione di convocare il grande Sabor, l’assemblea del mondo serbo che l’8 giugno ha adottato la dichiarazione sul futuro del mondo serbo.

Il Sabor è una istituzione medioevale che raccoglieva i maggiorenti del regno per vidimare le decisioni vincolanti per le diverse etnie e che è stata riscoperto nel 1989 dall’allora presidente serbo Miloŝeviċ per alimentare il nazionalismo e giustificare le guerre balcaniche. L’attuale Sabor, preparato da una celebrazione liturgica, si è svolto a Belgrado con la presenza dei due presidenti (Serbia e regione serba bosniaca) dei membri del governo, del parlamento e di rappresentati dei serbi della diaspora.

Il richiamo all’assemblea del «mondo russo» (Russkij Mir) e al suo documento del 27 marzo scorso (cf. SettimanaNews) si impone. E tuttavia, il coinvolgimento delle due Chiese è diverso. Porfirio non è a capo del Sabor, l’assemblea non è interna alla Chiesa, non si rinuncia alla dimensione a-politica della Chiesa. Tuttavia non mancano la «benedizione» ecclesiastica, il pieno riconoscimento del fondamento «cristiano» all’impresa, la difesa dei «valori» cari alla gerarchia (famiglia, morale pubblica, opposizione all’aborto ecc.), la piena condivisione dell’appartenenza alla Serbia della Metochia, il privilegio riconosciuto alla tradizione ortodossa serba, la «rappresentanza» ecclesiastica dei serbi presenti nei paesi vicini e nella diaspora.

L’introduzione e 49 punti

Il testo della Dichiarazione ha una parte introduttiva in cui si proclama curiosamente il pieno consenso ai documenti sui diritti umani dell’ONU, dell’Unione Europea e alle risoluzioni internazionali e ai patti (Dayton) relativi ai paesi balcanici. Si afferma la volontà di aderire all’Unione Europea, ma anche la piena libertà di alleanze politiche internazionali come alla necessità di implementare i diritti della regione serba in Bosnia-Erzegovina. Si ricordano i valori antifascisti e antinazisti della tradizione serba e il merito del popolo serbo «che ha portato la libertà a tutti i popoli balcanici» e che «è sempre stato dalla parte giusta della storia».

La seconda parte del testo è costituita da 49 numeri in cui si fissano l’autorità e gli strumenti di funzionamento del Sabor e del suo braccio operativo, il Consiglio nazionale del popolo serbo. Si afferma l’unicità del popolo serbo al di là (e al di sopra?) delle varie appartenenze statuali. La Chiesa ortodossa è riconosciuta come

«uno dei pilastri dell’identità nazionale, culturale e spirituale del popolo serbo e (si) chiede una più stretta collaborazione tra le autorità ecclesiastiche e statali su questioni chiave come la preservazione dei valori cristiani tradizionali, la santità del matrimonio e della famiglia». Kosovo e Metochia sono «parte inalienabile della Repubblica della Serbia».

Bandiera, inno e lingua

L’assemblea del Sabor rifiuta la risoluzione unusiana su Srebrenica e la colpevolizzazione collettiva del popolo serbo e si impegna a chiarire gli eventi bellici degli anni Novanta e le memorie connesse. Un’unica linea unisce le vittime serbe della prima guerra mondiale, della seconda e delle guerre balcaniche. Si deve operare per far capire a tutti gli stati le sofferenze patite dai serbi. «Sottolinea che la Repubblica Srpska è unica e indivisibile, soggetto costituzionale, che esercita autonomamente la propria attività costituzionale, e cioè le funzioni legislative, esecutive e giudiziarie in conformità alla costituzione della Bosnia-Erzegovina».

Contestualmente rifiuta la presenza di un commissario onusiano oltre alla presidenza tripartita del paese. L’assemblea propone di rafforzare i legami con la Repubblica Srpska con una progettualità economica, agricola e infrastrutturale comune (l’autostrada Banjaluka-Belgrado, il gasdotto, l’aereoporto di Trebinje, le centrali idroelettriche ecc.).

Il testo afferma la neutralità militare e politica della Serbia e la (non detta) dipendenza da Mosca. Unico è il giorno in cui si proclama l’identità del popolo, unico l’inno nazionale, unica la bandiera. Unica quindi anche la lingua e l’alfabeto cirillico. Compito dell’assemblea è di impedire il venire meno dell’identità serba in quanti vivono nei paesi vicini e nella diaspora.

Il Sabor «chiede un lavoro comune con l’obiettivo di migliorare il coordinamento, l’incontro e l’impegno della diaspora serba nel mondo. Un lavoro di tutti per migliorare l’immagine (serba), far pressione e diffondere ovunque la verità sul santo popolo serbo».

China sdrucciolevole

Si fa fatica a capire come con questa base si possa chiedere l’adesione all’Unione Europea e si possa ipotizzare, come si afferma al n. 49, un progetto di accordo ai popoli circostanti per una riconciliazione della storia e una pace stabile. È anche difficile immaginare che una tale dipendenza della gerarchia ecclesiastica dall’ideologia nazionalista non inquini i pozzi del Vangelo e possa alimentare un sincero percorso ecumenico, a suo tempo coltivato da Porfirio.

Da tempo gli spazi interni di discussione si vanno restringendo: non si può dissentire dalla scelta guerresca della Chiesa russa, non si può criticare l’atteggiamento antiscientifico della Chiesa a proposito del Covid, non si può mettere in questione la narrazione «vittimaria» dello stato serbo, non si può sostenere neppure la teoria dell’evoluzione. Rimane tuttavia l’affermazione chiara del sinodo nel comunicato del 14 maggio:

«La Chiesa ortodossa serba non è mai stata, non lo è oggi e non sarà mai per l’avvenire una istituzione politica, ma essa è e resta la madre spirituale dei serbi ortodossi. Essa porta avanti la sua missione spirituale senza difficoltà nel mondo intero. La Chiesa ortodossa serba, né all’interno della repubblica serba, né in altri paesi, ha lo statuto di Chiesa di stato o di organizzazione politica. E quindi non si possono applicare ad essa norme politiche».

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3 Commenti

  1. Kamar 13 giugno 2024
    • Anima errante 13 giugno 2024
  2. Christian 12 giugno 2024

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