Unione Europea: l’avanzata delle destre

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Europe Election

Le elezioni europee hanno segnato un’affermazione, in vari paesi, delle destre estreme, nazionaliste e sovraniste. Ma, al tempo stesso, queste non hanno raggiunto l’obiettivo di divenire numericamente indispensabili per costituire la Commissione Europea, ossia per entrare dalla porta principale nella governance comunitaria.

Inoltre, il grave ridimensionamento che proprio le destre estreme della Le Pen e di AfD (Alternative für Deutschland) impongono ai leader Macron e Scholz pone una grande ipoteca sulla tenuta dell’asse franco-tedesco, su cui – da sempre – si fonda l’assetto politico comunitario. Aprendo prospettive, e dubbi, sul ruolo dell’Italia.

Questa – in estrema sintesi – una prima lettura del voto europeo conclusosi domenica 9 giugno, anche se i dati sui seggi e soprattutto sui futuri gruppi parlamentari non sono ancora stabilizzati.

Molti altri fattori, come le affluenze non elevate, la crisi di molti partiti storici e di governo, le sconfitte dei verdi nel sud-Europa meriterebbero di essere meglio analizzate in specifico; ma qui ci concentreremo soprattutto sull’avanzata della galassia delle “destre” sovraniste, euroscettiche, nazionaliste e sui suoi effetti.

La geografia delle destre

Partiamo un attimo di geografia politica europea. Al Parlamento europeo, a destra del gruppo PPE (Partito Popolare Europeo), sedevano almeno tre aree politiche, nella scorsa legislatura:

  1. Il gruppo dei Conservatori e riformisti europei (ECR), destra con forti sfumature tradizionaliste-cristiane, composta da numerosi piccoli partiti, tra cui gli spagnoli di Vox, con le due componenti maggiori in Fratelli d’Italia e nei polacchi nazional-tradizionalisti di Diritto e giustizia di Jarosław Kaczyński. Quinto gruppo per dimensione nella scorsa legislatura, passerebbe dai precedenti 69 componenti a circa 73. La crescita è totalmente in capo a Fratelli d’Italia (che passerebbe da 10 a 24 parlamentari), mentre altri partiti sono arretrati.
  2. Identità e Democrazia (ID), gruppo di destra ed estrema destra centrato sulla tutela dell’identità culturale europea contro la potenziale islamizzazione, la sovranità nazionale (e quindi sostanzialmente euroscettico), le cui due componenti principali erano fino a ieri la Lega per Salvini, italiana, e soprattutto RN (Rassemblement National), il partito della Le Pen. Il gruppo dovrebbe passare dagli attuali 49 a 58 membri: a fianco dell’exploit della Le Pen (che passerebbe da 18 a 30 eurodeputati) c’è infatti il ridimensionamento di Salvini (che passerebbe da 22 a 8).
  3. Infine, alcuni partiti di ultra-destra, spesso xenofobi, non iscritti ad alcun gruppo europeo, come i nazionalisti tedeschi di Adf (Alternative für Deutschland) – storicamente legati a ID ma recentemente espulsi –, i greci di Alba Dorata, il Partito Popolare Slovacchia Nostra (il cui leader si fa chiamare “duce” in slovacco) e gli ungheresi di Orban (Fidesz), a loro volta estromessi nel 2021 dal PPE e attualmente tra i “non allineati”: una condizione che, per come funzionano le istituzioni europee, rende di fatto quasi inutilizzabili i propri seggi in termini di effettivo peso politico.
Dalla geografia ai numeri

Fin qui la geografia di base. Adesso occorre capire cosa succede politicamente. Numeri alla mano.

Non c’è dubbio che l’asse del Parlamento Europeo si è spostato leggermente a destra, soprattutto per effetto delle gravi sconfitte dei centristi riformisti (pensiamo a Macron, ma anche a quelli di casa nostra) e della forte penalizzazione dello storico partito SocialDemocratico tedesco (SPD) del cancelliere Scholz.

Ma non c’è nessuna rivoluzione, in termini di seggi. Anche perché – sia detto per inciso – non in tutti i paesi si vota col proporzionale, e quindi i meccanismi maggioritari e correttivi possono influire sulla conversione delle percentuali in seggi. In pratica, cresce di 10 seggi il PPE (centro-destra moderato), di 9 seggi ID (destra nazionalista) e di 4 seggi ECR (conservatori): questi ultimi, senza l’affermazione della Meloni, sarebbero calati. Il tutto, in un Parlamento che passa da 705 a 720 componenti. Non certo un’ondata nera.

Quindi: il PPE, il vero vincitore, anche se volesse mettere insieme tutto ciò che si muove nel mondo alla sua destra, non avrebbe una seria maggioranza.

Ancora una volta servono i voti dei Socialisti e Democratici europei (che sostanzialmente tengono, a quota 135 parlamentari), eventualmente completati dai voti dei liberali: la cosiddetta “maggioranza Ursula”, che si attesterebbe verso quota 400 voti (ne servono 360). Un margine non proprio ampio – vista anche la mobilità politica dei parlamentari europei su alcuni dossier, in base a esigenze nazionali.

Quindi, se possibile, meglio ampliare un poco questi numeri con altre operazioni politiche di supporto.

Che maggioranze?

Si potrebbe guardare ai verdi, ma questi sono stati fortemente ridimensionati (non dappertutto: in nord-Europa tengono): perdono 18 dei loro 71 seggi. E in Europa i voti e i numeri contano. Sia detto per inciso: assai più che in Italia. Nelle istituzioni europee c’è la prassi di tenere matematicamente in considerazione i rapporti di forza. Quello che in Italia verrebbe chiamato “manuale Cencelli” in Europa è semplicemente considerato rispetto della democrazia e dei consensi. Dimmi quanti seggi hai e ti dirò quanto conterai.

Ecco perché, alla fine, nella costruzione di una nuova “Maggioranza Ursula” (sempre che tocchi ancora alla Von der Leyen), in gioco potrebbe rientrare anche la Meloni coi suoi Fratelli d’Italia: che non crescono – anzi – rispetto alle elezioni politiche, ma che rispetto alle Europee 2019 aumentano di 14 seggi e con 24 eletti sono fra i maggiori gruppi politici nazionali (come il PD con 21, del resto).

La Von der Leyen (sempre appunto che tocchi a lei, come probabile ma non certo) potrebbe allora cercare la Meloni. La Meloni, più che l’intero gruppo dei Conservatori. Ma qui nascono delle valutazioni di equilibrio politico che sono cruciali nella nostra analisi.

Che equilibri politici a destra del PPE

La futura presidente della Commissione potrebbe in teoria pensare di allargare la “maggioranza Ursula” al gruppo dei Conservatori e riformisti europei (ECR). Ma questo gruppo, orfano dei Conservatori inglesi, ha due componenti essenziali: Fratelli d’Italia e i nazional-tradizionalisti polacchi di Kaczyński. I quali ultimi non sono realmente integrabili nella linea politica della Von der Leyen (basti pensare alle loro posizioni in materia di diritti individuali). Né, a loro volta, entrerebbero volentieri in un “governo” assieme ai socialisti.

Inoltre, come dicevamo, c’è un problema di paesi membri. Macron – più per esigenze interne che per altro – ha sfidato a singolar tenzone la Le Pen, convocando le legislative “espresse”, il 30 di giugno. Occorrerà quasi certamente aspettare – anche in Europa – l’esito di queste elezioni. Ma se la Le Pen ottenesse la maggioranza in Francia e la guida dell’esecutivo, oggettivamente la leadership della Francia sarebbe esterna al perimetro della maggioranza europea di Ursula, e in ogni caso incompatibile con il tedesco Scholz, visto che i SPD e i socialisti europei si sono affrettati a chiarire che non governeranno mai con le destre estreme che aderiscono al gruppo Identità e Democrazia (ID).

Morale: a meno di un miracolo di Macron, o il governo tedesco o quello francese (quasi certamente quest’ultimo) saranno “all’opposizione” della futura Commissione europea. Ergo, non si può avere contro anche il governo dell’altro grande paese europeo fondatore, l’Italia. E qui sta tutta la potenziale partita che la Meloni potrebbe giocarsi in Europa.

Meloni e la futura commissione

La Meloni “potrebbe” essere invitata a entrare nell’area della “maggioranza” europea, portando in dote – in qualche modo – l’Italia. Ma il condizionale è d’obbligo, per vari motivi.

Il primo è che Ursula (o chi al suo posto) dovrebbe “spaccare” il gruppo Conservatore. E la Meloni avrebbe il problema di trovarsi una casa in Europa, o di fare la “separata in casa” nella sua. Tra l’altro, la buona affermazione di Forza Italia, che resta quindi un asse importante nel PPE, porta a buon diritto un uomo degli azzurri berlusconiani a reclamare il posto italiano in Commissione.

Il secondo, è che il PD – che, di fatto, è il più grande partito dei Socialisti e Democratici europei, in termini di voti – non sarebbe certo favorevole, o almeno contento di questa apertura alla Meloni, in chiave di politica nazionale.

Il bipolarismo e la contrapposizione “pasionaria” con la Meloni ha pagato (anche se il buon risultato del PD appare trascinato soprattutto dai riformisti ex-renziani come Bonaccini, Gori, Nardella, Ricci e dal successo tutto personale di Antonio Decaro in Puglia e al Sud). La Von der Leyen dovrebbe coprire d’oro (di posti) il PD per ottenere questo via libera: e non è detto ci riesca, il che sarebbe un problema per la linea e la coesione interna dei socialisti europei.

Lo scenario potrebbe essere anche quello di una sorta di “appoggio esterno” e di “intesa cordiale” tra le due leader, tra Ursula e Giorgia: senza vere formalizzazioni politiche col gruppo Conservatore, con qualche ruolo di prestigio europeo (ma non di formale allineamento politico) per un personaggio di Fratelli d’Italia, magari non scelto tra improvvidi amici e parenti, ma con un profilo “tecnico” di area, professionalmente apprezzabile, ammesso di trovarlo. Con adeguate contropartite al PD, ovviamente, che, a questo punto, potrebbe pensare di ambire ad esprimere un commissario europeo o comunque posti di primissimo rilievo, anche nel Parlamento.

Visto dall’Italia, lo scenario sembra difficile, ma si sa che – da Roma – Bruxelles appare spesso piuttosto lontana…

Che legislatura europea?

È ovviamente presto per formulare qualsiasi ipotesi su quello che l’Europa potrà divenire nei prossimi cinque anni, in base agli equilibri politici che esprimeranno la nuova Commissione. Però – come visto – l’Italia ha la possibilità, come paese, di esprimere una posizione di grande rilievo, se non prevarrà lo scontro dicotomico tra i due maggiori partiti, ringalluzziti dall’esito sostanzialmente bipolare del test elettorale.

Se si dovrà ricorrere ai Verdi, gli equilibri con gli “sviluppisti poco ambientalisti” delle Destre sarebbe difficilissimo. Se si ricorrerà al coinvolgimento della Meloni, certamente saranno condizionati temi come la gestione delle frontiere, magari con un’enfasi sulle politiche euromediterranee di cooperazione e non di integrazione europea di paesi con culture islamiche.

In ogni caso, l’Agenda della nuova Commissione sarà una agenda politica di equilibri.

Il che non è proprio quello che servirebbe, di fronte a un 50% di europei che non vota per le istituzioni di Bruxelles, un altro 20% che vota per partiti antieuropeisti o “antisistema” e quindi con solo un 30%/40% della popolazione europea reamente “integrato” nel progetto continentale. Centrato sui grandi temi della difesa europea e della pace, del condizionamento russo sulle democrazie occidentali e sui loro social, delle migrazioni climatiche, dello sviluppo tecnologico-industriale di fronte alle sfide cinesi e dell’intelligenza artificiale, lo scenario richiederebbe una Commissione con grande mano ferma, chiarezza di idee e visioni lungimiranti.

Speriamo che la Von der Leyen – o chi per lei – sappia mettere insieme questo complesso puzzle consegnato dal voto del 9 giugno, senza limitarsi alla mera gestione degli equilibri e del potere. Qui “si parrà la sua nobilitade”, per dirla col Sommo Poeta. Qui davvero si gioca il futuro dell’Europa, e la competizione tra le grandi famiglie politiche europee – e anche tra Elly e Giorgia – potrebbe dare esiti largamente al di sotto dei bisogni dei cittadini e delle sfide che ci pone la storia del XXI secolo.

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