Informazione religiosa: tre sfide

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Abbiamo già scritto che il nostro “proprio” nel fare informazione religiosa è esattamene quello di non averlo. Vi è un primato delle cose concrete, delle sfide di tutti, dentro cui trovare le suggestioni per una fedeltà creativa, carismatica ed ecclesiale (cf. SettimanaNews, qui).

Fra le cose concrete e le sfide di tutti vi sono elementi di non facile inquadramento o di ancora difficile discernimento. Mi limito ad accennarne tre:

  • L’opinione pubblica nella Chiesa.
  • Il supporto materiale (silicio) e la logica binaria giustificheranno una nuova religione?
  • Una Chiesa di dogmi nella società fluida.
Necessaria e assente

Opinione pubblica nella Chiesa. I documenti conciliari e applicativi l’hanno richiesta e legittimata. La prassi civile l’ha ulteriormente sollecitata. L’incapacità di parola delle comunità cristiane nel contesto mediale sembra invocarla. Ma la sua realizzazione sembra ancora assai lontana. Posso indicare due figure impertinenti e un possibile esito.

La prima figura impertinente è quella mutuata dal dibattito civile. L’opinione pubblica dei media come massa critica di fronte e contro i partiti. È una figura forte, che appartiene alla genesi della stampa e al dibattito civile circa la sua libertà sviluppatosi negli ultimi secoli. Nel sistema democratico – cioè di un potere che viene dal basso e di una verità che non solo non si impone, ma che si determina dal libero confronto e dal consenso – i media rappresentano, nell’equilibrio dei poteri, un elemento rilevante in ordine al funzionamento della collettività.

Non dovrebbe stupire che l’opinione pubblica nella Chiesa sia stata mutuata da questa tradizione, ma con esiti insufficienti.

Vi sono certo stati elementi positivi, il maggiore dei quali è la capacità di includere molte voci e molte competenze nell’ambito degli avvenimenti ecclesiali e di non rimuovere le istanze critiche e scomode.

Ma vi sono anche elementi spuri, come l’assimilazione dell’istituzione come controparte, del ministero ecclesiale come potere da condizionare, dell’operatore dell’informazione come contro-potere. Una simile figura di opinione pubblica è prigioniera della modalità civile esperita dalla modernità e si presta a farsi interprete di un’immagine insufficiente della Chiesa. Una interpretazione inadeguata.

Sensus fidei

La seconda figura impertinente è quella speculare: l’opinione pubblica ecclesiale come puro riflesso dell’istituzione. In un contesto in cui la Chiesa non è più in grado di gestire la sua immagine e in cui il milieu cattolico si sfarina in appartenenze molteplici, vi è una comprensibile tendenza a piegare l’opinione pubblica ecclesiale a cassa di risonanza della voce della Chiesa gerarchica nel contesto delle infinite voci del mercato culturale. Un ripiegamento identitario in un contesto culturale privo di riferimenti.

Il vantaggio dell’uniformità è, però, soggetto ad un ricatto di grande rilievo: quello cioè di perdere il rapporto reale con il laico comune e di arenarsi nell’autoreferenzialità. Di raccontare una Chiesa che non c’è più o non c’è ancora. Semplificare le identità e piegare le molteplicità significa, infatti, rafforzare gli elementi settari e, alla fine, diventare funzionali al mercato informativo attuale e alle sue logiche.

La terza figura sposta l’attenzione dai media per fissarsi sull’identità ecclesiale e sulla sua struttura di popolo di Dio. Al centro è la comunione, non lo spazio dell’informazione; la testimonianza, non il pur necessario equilibrio dei ministeri e carismi.

Il settore e le competenze informative mantengono la loro identità e il loro ruolo, ma sono finalizzati a raccontare il farsi della tradizione (sempre plurale), il convergere nel discernimento dello Spirito (da posizioni diverse), il decidere comune in obbedienza al Vangelo. La gerarchia e le sue istituzioni non sono sopra ma dentro il processo di fedeltà alla Parola che la tradizione indica come il sensus fidei del popolo santo di Dio. È quello che sta succedendo, in forma incerta e iniziale nel sinodo, sia universale che nazionale.

La ricerca di una nuova “era” del cristianesimo sta avvenendo, ma potrebbe conoscere fallimenti, involuzioni e divisioni. L’informazione serve per dare forma al futuro. Unire fedeltà, professionalità. libertà critica e discernimento spirituale non implode nell’assenso cieco. È anzi garanzia di una Chiesa semper reformanda.

Domande retoriche e fatti evidenti

Dal silicio una nuova religione universale? Senza la scrittura (su pietra, papiri, pelli di animali), non ci sarebbero i monoteismi. Senza i processi di stampa su carta, non ci sarebbero le Chiese della Riforma.

Con il silicio e la logica numerica arriverà una nuova religione universale? Termini secchi e largamente discutibili che indicano un’area ignota più che una soluzione.

I primi codici delle civiltà occidentali datano nel secondo millennio a.C. La Torah, le legge scritta di Israele, i Vangeli cristiani e il Corano hanno avuto bisogno di una lingua e di un supporto. Senza Gutenberg quale sarebbe stato il futuro del Luteranesimo? Dobbiamo attenderci qualcosa di simile per l’oggi: una nuova grande religione coerente con la logica numerica universale?

È una domanda retorica, perché non si vede alcun segnale significativo che vada in questa direzione. Ma per molti aspetti la domanda è importante.

Il primo dato è la moltiplicazione delle fedi, delle confessioni e delle religioni. La molteplicità delle fedi e delle religioni non è un’attesa, è una realtà. Soprattutto negli spazi urbani si sono moltiplicati i luoghi di culto appannaggio di minoranze etniche e delle confessioni cristiane di varie appartenenze nazionali. Le comunità neopentecostali si moltiplicano vistosamente e si ingrossa, in forma silenziosa, l’assenso al buddhismo e alle religioni orientali. Un tempo si parlava di “sette”, ora, in termini più rispettosi, di “nuovi movimenti religiosi”, per poi distinguere questi dalle “nuove religioni”.

Sono stati gli storici, ma soprattutto i sociologi, a stimolare la nostra attenzione. La sigla dell’istituto che in Italia ha più lavorato in merito è il Cesnur (Centro studi per le nuove religioni), ma sul mercato internazionale vi sono diverse riviste dedicate a questo tema. Le più note sono in inglese: Nova Religio, International Journal for the Study of New Religions, Alternative spirituality and Religion Review. Due in tedesco: Materialdienst der Evangelischen Zentralstelle fur Welthanschauungen, Referat fur Weltanschauungen. Sono attivi in diverse università centri specializzati in merito. Più in generale, dalla pluralità delle fedi e dal confronto con la laicità sono nati i religious studies che sono oramai parte di molti percorsi accademici.

Parlamento e Weltethos

Nel contesto dei nuovi movimenti religiosi va segnalata un’iniziativa collettiva di un certo peso: il Parlamento mondiale delle religioni. Avviato una prima volta a Chicago nel 1893 è stato ripreso un secolo dopo (1993) e più volte ripetuto. Ha costituito un passaggio importante, offrendo una tribuna ai rappresentanti dei movimenti religiosi, in particolare filo-orientali.

Il Parlamento raduna figure religiose che partecipano di ideali comuni. Non si tratta di una rappresentanza proporzionale quanto il convergere di correnti di varie religioni – gli ultimi appuntamenti hanno raccolto fino a 10.000 persone –, che si ritrovano, per affinità, su idee sostanzialmente liberali. In maniera autonoma, ma compatibile con il Parlamento, si è sviluppato il Weltehtos, l’ipotesi di una base etica comune tra le fedi, propugnata da Hans Küng.

A partire dalla condivisa consonanza della regola d’oro («Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te») si connettono alcune convinzioni di base: nessuna sopravvivenza della specie senza un ethos, nessuna pace senza la pace fra le religioni, nessuna pace fra religioni senza dialogo, nessun dialogo tra le fedi senza ricerca di base, nessun ethos mondiale senza un mutamento di coscienza di credenti e non.

Vale la pena accennare ad alcuni elementi più contraddittori e drammatici. È il caso dei fondamentalismi che costituiscono forme settarie e socialmente pericolose dentro le fedi: in particolare il fondamentalismo islamico, ma anche vari fondamentalismi religiosi. Questo ha modificato in maniera significativa la nostra vita sociale e pubblica.

È anche il caso delle manipolazioni abusanti da parte dei leader che ha segnato in maniera drammatica alcuni di questi nuovi gruppi religiosi.

L’ultima frontiera sono le religioni e l’intelligenza artificiale che, quando diventa sfrenato entusiasmo, nasconde un malriposto impulso religioso da parte di persone cresciute in una cultura secolare. È nata anche una Chiesa della intelligenza artificiale, da parte dell’imprenditore Anthony Lewandowaski, ma con scarsi effetti.

Senza radici

Chiesa dei dogmi nella società fluida. Tramontata la pretesa di una società teocratica come anche quella della cristianità (legittimità del potere delegato dall’autorità ecclesiale), è in via di estinzione anche il modello della neo-cristianità dove la legittimità del potere viene dal popolo ma la Chiesa si riserva l’autorità della moralità personale e pubblica in nome dell’etica naturale da lei conosciuta: i cosiddetti “principi non negoziabili”.

Da molti decenni si è sviluppato un processo di autonomia dei vari settori della vita civile: dalla scienza alla tecnica, dalla politica al mercato, dalla società civile al singolo. In genere viene chiamato secolarizzazione. Sulla scorta di uno scritto di mons. Mariano Crociata si possono identificare alcuni modelli interpretativi.

Verso l’irrilevanza?

«La teoria di Niklas Luhmann rileva tale separazione dalla religione non solo della politica, ma anche di tutte le altre attività umane, quali l’economia, la giustizia, la scienza. La religione non ha più alcuna influenza sugli altri settori, ognuno dei quali agisce in piena autonomia, in qualche modo trovando in sé stesso la propria ragion d’essere e i criteri di valutazione e di azione. A sua volta, Charles Taylor osserva, tra altro, il cambiamento radicale intervenuto con il passaggio da un mondo in cui la religione, e quindi l’avere una fede, era un’evidenza data per scontata da tutti, così che era naturale credere, a un mondo in cui è naturale non credere, in cui il fatto ovvio, non pensato, è il non avere una fede, il non avere una religione, o averne una sola per effetto di una scelta che si presenta come una tra altre possibili.

Non manca poi chi, come Marcel Gauchet e altri con lui, considera la secolarizzazione l’estrema conseguenza e il frutto maturo delle religioni, particolarmente del cristianesimo. Al di là di questa maniera necessariamente sommaria di trattare teorie e autori dal pensiero molto articolato, ciò che va considerato acquisito, e non da ora, è che la secolarizzazione, comunque interpretata, non significa la fine della religione, ma il suo profondo cambiamento nel contesto di un mondo a sua volta profondamente mutato» (cf. SettimanaNews, qui).

Le Chiese non possono permettersi di salutare tutti e uscire di scena, e non possono neppure replicare percorsi e modelli già esperiti. Quale potrà essere il loro compito? Oltre, ben s’intende, la testimonianza del Vangelo e l’annuncio della salvezza in Cristo che è il loro dovere ineludibile. Ma come collocarsi per renderlo comprensibile e percorribile? Ricorro a una suggestione di un sociologo tedesco, Hartmut Rosa.

Un cuore saggio

L’Europa sembra destinata, come tutto l’Occidente, ad un “immobilismo frenetico”, ad una corsa senza fine al consumo dell’energia, dell’ambiente, del tempo, delle forze politiche e personali per rimanere in stallo, bloccata in un equilibrio precario in cui nessuno crede più nel futuro.

La questione non è che «la società cresca, per esempio in termini di popolazione o di produzione economica o che essa acceleri su molti aspetti, ma che essa sia obbligata a farlo per mantenere lo status quo». Tutte le nostre istituzioni sociali hanno un rapporto aggressivo al mondo che si riflette nell’angoscia crescente degli abitanti.

Anche la forma democratica scivola verso una sistematica contrapposizione che non lascia più spazio al dissidente, negando sé stessa.

La democrazia «ha bisogno di un cuore che ascolta», come chiesto da Salomone (1Re 3,9). Una capacità di ascolto che Harmut Rosa chiama «risonanza». «La mia tesi è che sono in particolare le Chiese che dispongono di racconti, della riserva cognitiva, di riti e pratiche di spazi in cui un cuore capace di ascolto può entrare in esercizio ed essere vissuto… Conosciamo una crisi della capacità di lasciarci chiamare e questo si manifesta sia nella crisi di fede, come nella crisi della democrazia». «La religione ha la forza, la riserva di idee, un arsenale rituale pieno di canti, di gesti appropriati, di spazi adatti, di tradizioni e di pratiche che aprono un senso a ciò che significa lasciarsi chiamare, trasformare, entrare in risonanza. Se la società perde tutto questo, se dimentica la possibilità della relazione, essa è condannata. Alla domanda se la società attuale abbia ancora bisogno della Chiesa o della religione, la risposta non può essere che: sì» (SettimanaNews, qui).

Se la sinodalità può essere utile alla democrazia e la moltiplicazione delle fedi spinge all’approfondimento, la collocazione fluida dell’esperienza religiosa confessionale, cioè ecclesiale, può contribuire a rendere vivo nella società “liquida” il racconto delle parole e delle opere di Gesù di Nazaret.

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Un commento

  1. Fabio Cittadini 17 giugno 2024

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