Giovedì 27 giugno, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti al XXV Capitolo Generale della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (Dehoniani) e ha rivolto loro il discorso che riportiamo di seguito.
Cari fratelli, buongiorno!
Saluto Padre Carlos Luis Suárez Codorniú, Superiore Generale, confermato per un secondo mandato – non hai fatto male, se ti hanno rieletto! –, e gli rivolgo i migliori auguri per il suo ministero, e saluto i nuovi Consiglieri e tutti voi che partecipate al XXV Capitolo Generale della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù.
Avete scelto, come guida per i vostri lavori, il motto: Chiamati a essere uno in un mondo che cambia. «Perché il mondo creda» (Gv 17,21), frase molto aderente al vostro carisma, nella duplice dimensione mistica e apostolica.
L’unità
Essere uno: l’unità. Sappiamo con quanta forza Gesù l’ha chiesta al Padre per i suoi discepoli, durante l’ultima Cena (cf. Gv 17,23). E non l’ha semplicemente raccomandata ai suoi come un progetto o come un proposito da realizzare: prima di tutto l’ha chiesta per loro come un dono, il dono dell’unità.
È importante ricordare questo: l’unità non è opera nostra, noi non siamo in grado di realizzarla da soli: possiamo fare la nostra parte – e dobbiamo farla –, ma ci serve l’aiuto di Dio. È Lui che ci raccoglie e ci anima, e noi cresciamo tanto più coesi tra noi, quanto più siamo uniti a Lui.
Per questo, se volete che tra voi cresca la comunione, vi invito, nelle vostre decisioni capitolari, a tenere in grande considerazione il valore della vita sacramentale, dell’assiduità all’ascolto e alla meditazione della Parola di Dio, della centralità della preghiera personale e comunitaria, in particolare dell’adorazione – non dimenticate l’adorazione! –, come mezzi di crescita personale e fraterna e anche come «servizio alla Chiesa» (Costituzioni, 31).
La cappella sia il locale più frequentato delle vostre case religiose, da ciascuno e da tutti, soprattutto come luogo di silenzio umile e ricettivo e di orazione nascosta, affinché siano i battiti del Cuore di Cristo a scandire il ritmo delle vostre giornate, a modulare i toni delle vostre conversazioni e a sostenere lo zelo della vostra carità. Esso batte d’amore per noi dall’eternità e il suo pulsare può unirsi al nostro, ridonandoci calma, armonia, energia e unità, specialmente nei momenti difficili.
Tutti, sia personalmente sia comunitariamente, abbiamo o avremo momenti difficili: non spaventarsi! Gli Apostoli ne hanno avuti tanti. Ma essere vicini al Signore perché si faccia l’unità nei momenti della tentazione. E perché ciò accada, abbiamo bisogno di fargli spazio, con fedeltà e costanza, mettendo a tacere in noi le parole vane e i pensieri futili, e portando tutto davanti a Lui.
E su questo mi permetto di dire qualche parola sul chiacchiericcio. Per favore, il chiacchiericcio è una peste, sembra poca cosa, ma distrugge da dentro. State attenti. Mai chiacchierare di un altro, mai! C’è un buon rimedio per il chiacchiericcio: mordersi la lingua, così la lingua si infiamma e non ti lascia parlare. Ma per favore, mai sparlare degli altri.
E poi la preghiera. Ricordiamolo sempre: senza preghiera non si va avanti, non si sta in piedi: né nella vita religiosa, né nell’apostolato! Senza preghiera non si combina nulla.
Perché il mondo creda
E veniamo al secondo punto: essere uno perché il mondo creda. L’unità ha questa capacità di evangelizzare. È una meta impegnativa, questa, di fronte alla quale nascono tante domande. Come essere missionari oggi, in un tempo complesso, segnato da sfide grandi e molteplici? Come dire, nei vari ambiti dell’apostolato in cui voi operate, «qualcosa di significativo a un mondo che sembra aver perso il cuore» (Udienza Generale, 5 giugno 2024)? Tante volte vediamo che questo mondo sembra aver perso il cuore.
Anche nel rispondere a questa domanda può aiutarci il Venerabile Dehon. In una sua lettera, meditando sulla Passione del Signore, egli osservava che in essa «i flagelli, le spine, i chiodi» hanno scritto nella carne del Salvatore una sola parola: amore. E aggiungeva: «Non accontentiamoci di leggere e di ammirare dall’esterno questa scrittura divina; penetriamo fino al cuore, e vedremo una meraviglia ben più grande: è l’amore inesauribile e inesausto che considera un niente tutto ciò che soffre e che si dona senza stancarsi» (L. G. Dehon, Lettere circolari).
Ecco il segreto di un annuncio credibile, un annuncio efficace: lasciar scrivere, come Gesù, la parola «amore» nella nostra carne, cioè nella concretezza delle nostre azioni, con tenacia, senza fermarci di fronte ai giudizi che sferzano, ai problemi che angustiano e alle cattiverie che feriscono, senza stancarsi, con affetto inesauribile per ogni fratello e sorella, solidali con Cristo Redentore nel suo desiderio di riparazione per i peccati di tutta l’umanità. Solidali con Lui, crocifisso e risorto che, di fronte a chi soffre, a chi sbaglia e a chi non crede, non ci chiede giudizi, ma «amore e lacrime per chi è lontano […], per affidarci e affidare a Dio» (Omelia della Santa Messa del Crisma, 28 marzo 2024), e al tempo stesso ci promette «una pace che salva da ogni tempesta» (ivi).
Tutto questo il Venerabile Dehon lo aveva compreso e l’ha vissuto fino alla fine, come testimoniano le ultime, semplici, bellissime parole che vi ha lasciato sul letto di morte: «Per Lui ho vissuto, per Lui io muoio. È Lui il mio tutto, la mia vita, la mia morte, la mia eternità».
Cari fratelli, continuate anche voi la vostra missione con la stessa fede e con la stessa generosità! Grazie per quello che fate, in tutto il mondo! Benedico voi e tutti i vostri confratelli, vi accompagno con la preghiera e, vi raccomando, anche voi non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!