La strage degli innocenti

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migranti

«La memoria non è altro che assuefazione». Quanto valgono, oggi, le parole di Giacomo Leopardi, di fronte alle scene che arrivano dal Mediterraneo: in una settimana, a distanza di poche ore l’uno dall’altro, due naufragi. L’uno a largo di Lampedusa, l’altro davanti alle coste calabresi.

«Mai più», s’era detto nel 2015 davanti all’immagine straziante di Aylan Kurdi, il bimbo di 3 anni trovato morto sulla spiaggia turca di Bodrum mentre scappava dalla guerra in Siria.

E così tante altre volte prima e dopo di lui, ad esempio, pochi mesi fa, dopo la tragedia sulle coste di Cutro: 95 vittime, tra cui 35 minori. Ma alle parole, all’indignazione, alle richieste costanti delle organizzazioni umanitarie che soccorrono i migranti è mancata la concretezza.

E così uomini, donne e bambini che scappano da guerre, violenza e siccità continuano a morire nel tentativo di raggiungere l’Europa: ad oggi stando ai dati di Save the Children, solo nel 2024 sono stati 920 i morti e i dispersi nel Mare Nostrum: più di cinque persone al giorno, oltre 29.800 dal 2014. Adesso, di nuovo.

E per qualche giorno torneranno al centro del discorso – anche politico – i miserabili del mondo, che salpano da terre lontane su barchette precarie e qualche volta arrivano a destinazione, qualche altra vengono salvati – quando visti in tempo – dalla Guardia costiera e dalle Ong. Oppure muoiono affogati o asfissiati, come a Lampedusa e a Roccella: famiglie e bambini, disposti a rischiare – e a perire – per respirare aria di libertà.

Insieme a loro, nel Mediterraneo naufraga anche la tradizione europea di accoglienza e sensibilità per i diritti fondamentali.

Si erge sempre più alta, come scoglio insormontabile, l’incapacità di riflettere con responsabilità sulle gravi sfide e sulle immense risorse di questo spazio globale, denunciando complicità mortali con i trafficanti di armi e di migranti, e di guardare al Mediterraneo come fa papa Francesco, con sguardo lucido e fraterno, pieno di speranza, per amore di Cristo Gesù, nel solco di un cammino profetico, ispirato al Vangelo e al dovere di servire sempre, in stagione e fuori stagione, la dignità di ogni persona.

Ma tra le onde scompare anche una civiltà, giuridica e culturale, basata sulla consapevolezza che non possano esistere né Unione, né euro, né Europa, e tanto meno pace, senza il rispetto dei diritti fondamentali. Perché, a ben pensare, davvero questo è: ogni naufragio è il simbolo di un fallimento collettivo, dell’impotenza – o dell’imperizia – degli Stati nell’opera di tutela della vita umana, nell’assicurare un sostegno ai più deboli.

L’Italia come terra di approdo, cimitero di speranza tradita. Si spegneranno presto i riflettori, almeno fino alla prossima strage degli innocenti.

Valgano ad alimentare la fiammella dell’indignazione le parole scritte da Tesfalid Tesfom, giovane migrante eritreo, naufragato al largo di Lampedusa e sepolto ora nel cimitero di Modica. Nel suo portafogli sono state ritrovate intatte delle poesie scritte durante il viaggio. Una recitava così: «Ora non ho nulla, perché in questa vita nulla ho trovato, se porto pazienza non significa che sono sazio, perché chiunque avrà la sua ricompensa, io e te fratello ne usciremo vittoriosi affidandoci a Dio. Ti prego fratello, prova a comprendermi, chiedo a te perché sei mio fratello, ti prego aiutami, perché non chiedi notizie di me, non sono forse tuo fratello?».

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