Congo: né indipendente né libero

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Patrice Lumumba

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Sono passati sei decenni e quattro anni dall’indipendenza del Paese di Lumumba. Ovviamente, se guardiamo indietro nella storia, ci troviamo nel 1960, un giovedì, il 30 giugno, quando il re Baudoin I dichiarò l’indipendenza della RDC, allora Congo-Belgio. È quindi il 30 giugno 1960 che il Congo strappa la sua indipendenza dal Belgio.

Patrice Emery Lumumba (1925-1961) ha svolto un ruolo fondamentale in questa emancipazione nazionale. Temendo per la propria vita, i belgi fuggirono. Il Belgio e poi le Nazioni Unite inviarono delle truppe e ci fu una successione di governi congolesi dopo l’assassinio di Lumumba, il 17 gennaio 1961.

Nel 1965, Mobutu (1930-1997), capo di stato maggiore dell’esercito, rovesciò il presidente Joseph Kasa-Vubu con un colpo di Stato. Il Congo riacquista una certa stabilità, anche se al prezzo di un regime autoritario. Diventa Zaire. Mobutu rimase al potere per trentadue anni – troppi. Nel 1997, l’avanzata dell’AFDL con M’zée Laurent Désiré Kabila, una forza ribelle armata, lo costrinse a fuggire da Kinshasa. Il regime cade, indebolito dalla crisi economica, screditato dalla corruzione e abbandonato dalle potenze occidentali.

Il portavoce dell’AFDL Laurent-Désiré Kabila si è autoproclamato capo di Stato nel maggio 1997. Il Paese cambiò nuovamente nome, diventando Repubblica Democratica del Congo. Kabila guidò il Paese in modo autocratico come il suo predecessore e lo fece precipitare in guerra (Seconda Guerra del Congo).

Dopo l’assassinio di Kabila (2001) e la fine del conflitto, il Congo è entrato in una fase di democratizzazione segnata in particolare dallo svolgimento di libere elezioni nel 2006, 2011 e 2018, guidate dal presidente Joseph Kabila. L’attuale presidente è Félix Tshisekedi, figlio di Étienne Tshisekedi, succeduto a Joseph Kabila (figlio di Laurent Kabila) nel gennaio 2019. Questa successione segna la prima volta che c’è stato un avvicendamento pacifico nella RDC.
Alternanza pacifica? In effetti lo è stato!

Curiosamente, sessantaquattro anni dopo l’indipendenza, la situazione della sicurezza, economica e umanitaria, va di male in peggio. Da sinistra a destra, la morte si impone e la vita muore; quasi ovunque, i diritti sono relegati alla mercé del caso. Nell’est del Paese, milioni e migliaia di persone vivono sotto il giogo della guerra.

È disgustoso: mentre il popolo congolese spera di vivere, gli vengono imposte guerre incessanti; il ritmo dei canti funebri non si è fermato fino ad ora. Quanto sono barbari gli atti dell’ADF/Nalu, dell’M23 che gettano fuoco su scuole, ospedali, ecc.

Non c’è dubbio che coloro che tirano le fila di questi rovesci sono quelli a cui ci rivolgiamo più spesso: l’Unione Europea, le multinazionali, i nostri simili… Non possiamo quindi tirare un sospiro di sollievo perché, in realtà, se si è indipendenti, non si è mai liberi. La realtà attuale non può non irritare alcuni di noi, perché il diritto più elementare (il diritto alla vita) è già stato relegato in secondo piano.

Possiamo forse sperare: il Capo di Stato Felix Tshisekedi ha tenuto il suo discorso trasmesso sul canale nazionale (RTNC) sabato 29 giugno 2024, in occasione del 64° anniversario dell’indipendenza della RDC. Sabato 29 giugno ha espresso la sua determinazione a difendere il territorio nazionale e a ristabilire la pace nell’est della RDC, che è nella morsa dei ribelli dell’M23 e di altre milizie. Nel suo discorso, ha affermato: “Ciò che sta accadendo a Kanyabayonga, a Kayina, nei villaggi del sud di Lubero e nei territori di Rutshuru, Nyirangongo e Masisi è un attacco flagrante alla nostra sovranità nazionale e alla pace del nostro popolo. In qualità di Presidente della Repubblica e di comandante supremo delle FARDC e della polizia, desidero assicurarvi la mia incrollabile determinazione a difendere tutto il nostro territorio e a ristabilire la pace”.

Félix Tshisekedi ha anche chiarito che la sfida alla sicurezza del Paese è complessa e richiede una risposta collettiva, coraggiosa e determinata da parte di tutti i congolesi. Il Capo dello Stato ha anche espresso la sua compassione per le vittime congolesi dell’aggressione ruandese nella parte orientale del Paese.

Sul fronte sociale, ha dichiarato di aver incaricato il Governo di prendere misure adeguate: “In qualità di garante della Nazione, posso assicurarvi che questa situazione mi sta a cuore e che nulla fermerà la mia determinazione a trovare soluzioni adeguate e urgenti. Ho quindi incaricato il Governo di prendere le misure necessarie per ridurre il costo del paniere domestico e migliorare il potere d’acquisto delle persone”.

Parole smielate come quelle che continuiamo a sentire. Non sappiamo più a che santo rivolgerci, perché l’insicurezza è già al culmine. Non mettiamo in dubbio le promesse del Presidente, ma la cosa peggiore è che sono state fatte più e più volte, e non se ne fa nulla. Alla luce di ciò, non possiamo far altro che rattristarci.

Congolesi, miei carissimi compatrioti, dobbiamo smettere di esaltare l’indipendenza che abbiamo raggiunto e dare invece voce i nostri problemi. Nominiamoli, identifichiamoli, prendiamoli di mira, studiamoli e risolviamoli. Dobbiamo smettere di infantilizzare i nostri cittadini, ma unirci e mobilitarci.

Smettiamo di negare la RDC, la cui avventura rimane uno dei laboratori della criminalità. Non fuggiamo dal male. Definiamo invece strategie per alleviare il problema. Non è il momento del disfattismo, ma della lotta per la ripresa, perché abbiamo ancora risorse decisive per far sì che il nostro suolo non sia più contaminato.

È ancora possibile inventare un patto produttivo, sociale, civico e coerente per essere attori e non spettatori. Dobbiamo solo aprire bene gli occhi e agire nel mondo così com’è. Svegliamoci! Svegliatevi, cari compatrioti! Ho pronunciato queste stesse parole lo scorso marzo. Se torno a ripeterle, non è verbosità! Prendiamole in considerazione perché, mi sembra, siamo ben lontani dall’essere indipendenti.

  • In collaborazione con la rivista Je écris, Je crie.

Le 30 juin, soixante-quatre ans  après l’accession à l’indépendance de la République Démocratique du Congo : Quel bilan ?

Il y a de cela six décennies et quatre ans que le pays de Lumumba a— aime-t-on dire— accédé à son indépendance. Évidemment, si nous promenons un regard dans l’histoire,  nous sommes à l’année 1960, un jeudi le 30 juin où  le roi Baudoin Ier déclara l’indépendance de la RDC, alors Congo-Belge.  C’est ce 30 juin 1960 que le Congo arracha son indépendance à la Belgique, donc. Il faut ici louer le rôle capital de Patrice Emery Lumumba (1925–1061) dans cette émancipation nationale. Toutefois, chargée d’espoir, l’indépendance bascula le pays dans le chaos : le Katanga puis le Kasaï menacèrent de faire sécession ; craignant pour leur vie, les Belges s’enfuirent ; la Belgique puis les Nations Unies envoyèrent des troupes ; les gouvernements congolais se succédèrent après l’assassinat de Lumumba (le 17 janvier 1961).

En 1965, Mobutu (1930-1997), chef d’état major de l’armée, renversa par un coup d’État le président Joseph Kasa-Vubu. Le Congo retrouva une certaine stabilité au prix d’un régime autoritaire. Il devient le Zaïre. Mobutu se maintint au pouvoir pendant trente deux ans. Oh ! Ce fut trop d’années ! En 1997, l’avancée de l’AFDL avec M’zée Laurent Désiré Kabila, une force armée rebelle, l’obligea à fuir Kinshasa. Le régime tomba, affaibli par la crise économique, discrédité par la corruption, et abandonné par les puissances occidentales. Le porte-parole de l’AFDL, Laurent-Désiré Kabila, se proclama chef de l’État en mai 1997. Le pays changea encore une fois de nom devenant la République Démocratique du Congo. Kabila conduisit le pays d’une manière aussi autocratique que son prédécesseur et le plongea dans la guerre (Deuxième guerre du Congo). Depuis l’assassinat de Kabila (2001) et la fin du conflit, le Congo entra dans une phase de démocratisation, marquée notamment par la tenue d’élections libres en 2006, 2011 et 2018, avec à la tête le Président Joseph Kabila. Le président actuel est Félix Tshisekedi, fils d’Étienne Tshisekedi, succédant à Joseph Kabila ( fils de Laurent Kabila) depuis janvier 2019. Cette succession marque pour la première fois l’alternance pacifique en RDC.
Alternance pacifique ? C’est ce qui fut en fait !

Curieusement,  soixante-quatre après l’accession à l’indépendance,  la réalité tant sécuritaire qu’économique et humanitaire va de mal à pis. De gauche à droite,  la mort s’impose et, la vie meurt ; un peu partout,  les droits sont relégués au gré du hasard.  À l’Est du pays, des millions et des milliers ployent sous le joug de la guerre.  C’est dégueulasse : alors que les Congolais espèrent vivre,  on leur impose des guerres incessantes ; les rythmes des chants funèbres n’ont cessé jusqu’à présent.  Combien sont barbares les actes posés par les ADF/ Nalu, les M23 qui pulvérisent du feu sur les écoles,  les hôpitaux,  etc.

On ne se trompe pas de penser que ceux qui tirent les ficelles dans ces déboires sont ceux chez qui nous recourons le plus souvent : l’Union Européenne,  les multinationales, nos semblables, les humains,  … On ne peut donc pas pousser un ouf de soulagement car, au réel, si on est indépendant, on n’est jamais libre.

Les réalités actuelles ne peuvent pas ne pas énerver d’aucuns parmi nous car le droit le plus élémentaire ( le droit à la vie) est déjà relégué au second plan.

On peut peut-être espérer : le chef de l’Etat Felix Tshisekedi a prononcé son discours diffusé sur la chaine nationale (RTNC), samedi 29 juin 2024, en marge des  64 ans de l’accession de la RDC à l’indépendance. Il a exprimé, samedi 29 juin, sa détermination à défendre le territoire national et rétablir la paix dans l’Est de la RDC, en proie aux rebelles du M23 et autres miliciens. Il l’a dans son discours : « Ce qui se passe à Kanyabayonga, a Kayina,  aux villages du Sud de Lubero ainsi que dans les territoires de Rutshuru, Nyirangongo et Masisi constitue une agression flagrante contre notre souveraineté nationale et la paix de notre peuple. “En ma qualité du président de la République et commandant suprême des FARDC et de la police, je tiens à vous assurer de ma détermination inébranlable à défendre l’ensemble de notre territoire et à rétablir la paix”. Félix Tshisekedi a également fait savoir que le défi sécuritaire auquel le pays est injustement confronté est complexe et exige une réponse collective, courageuse et déterminée de tous les Congolais.

Le chef de l’Etat a en outre exprimé sa compassion vis-à-vis des Congolais victimes de l’agression rwandaise dans la partie Est du pays.

Sur le plan social, il a affirmé avoir instruit le Gouvernement à prendre des mesures idoines : « En ma qualité de garant de la Nation, je peux vous assurer que cette situation me tient à cœur et que rien n’arrêtera ma détermination à y apporter des solutions idoines et urgentes. Aussi, ai-je instruit le Gouvernement à prendre les mesures nécessaires pour alléger le coût du panier de la ménagère et améliorer le pouvoir d’achat de la population”.

Voilà donc des paroles mielleuses comme celles qui ne cessée chaque fois de prononcer. On ne sait plus sur quel saint se vouer car l’insécurité est déjà au zénith.  Nous ne mettons pas en cause les promesses présidentielles, le comble c’est qu’elles ont été et toujours prononcées et rien ne se fait à la suite. Au vu de cela,  on ne fait que s’appaiser de tristesse.

Congolais, mes très chers compatriotes, il y a lieu de cesser de nous remettre à l’exaltation d’une indépendance acquise, mais de soulever nos problèmes. Nommons-les, repérons-les, ciblons-les, étudions-les et réglons-les. Il y a lieu de cesser d’infantiliser les citoyens mais plutôt de nous rassembler et nous mobiliser. Cessons de renier une RDC dont l’aventure demeure un des laboratoires de la criminalité. Ne fuyons pas devant le mal. Définissons, par contre, des stratégies pour pallier ce problème. L’heure n’est plus au défaitisme, mais au combat pour le redressement, car nous disposez encore d’atouts décisifs pour que notre sol ne soit plus souillé. Il est encore possible d’inventer un pacte productif, social, citoyen et cohérent pour être acteurs et non spectateurs. Il ne reste que d’ouvrir grandement les yeux et d’agir dans le monde tel qu’il est. Réveillons-vous! Réveillons-nous, très chers compatriotes ! Ces mêmes paroles je les ai prononcées à mars passé. Si j’y reviens,  ce n’est pas du verbiage ! Tenons-en compte car, me semble-t-il,  nous sommes loin d’être indépendants.

  • En collaboration avec le magazine Je écris, Je crie.
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