Rupnik: la disputa sulle opere

di:

mosaico

La decisione del vescovo di Lourdes, Jean-Marc Micas, di «spegnere» le opere di Marko Ivan Rupnik che ornano gli esterni della basilica del santuario mariano (2 luglio), le affermazioni del prefetto del Dicastero vaticano per la comunicazione, Paolo Ruffini, a difesa del mantenimento dei mosaici e dell’uso delle loro immagini (Atlanta, USA, 21 giugno) e la lettera dell’avvocato di cinque vittime (Laura Sgro) ai vescovi che hanno in diocesi opere dell’artista sloveno per chiederne l’oscuramento (28 giugno) sono gli ultimi eventi che ruotano attorno al futuro delle opere e dei mosaici dell’ex gesuita.

Spegnere i giochi di luce

Dal 2008, nel 150° anniversario delle apparizioni, la facciata del santuario francese ospita i mosaici dello sloveno sui misteri luminosi del rosario. Dopo l’esplosione degli scandali, il vescovo ha creato una commissione per motivare una decisione in merito. Al piccolo gruppo di lavoro (rettore, vittima, esperto d’arte sacra, giurista per i diritti d’autore, psicoterapeuta) è stato chiesto di fornire gli elementi per una decisione, con una riflessione distaccata e senza precludersi alcuna soluzione. Nel comunicato del 2 luglio il vescovo scrive:

«Ad oggi constato che i pareri sono molto difformi e talora disparati. È opportuno lasciare i mosaici dove sono? Oppure distruggerli? È meglio toglierli ed esporli altrove? Nessuna soluzione è unanime. Le prese di posizione sono vive e appassionate. Per quanto mi riguarda, la mia opinione personale è chiara: l’attuale situazione non ha niente a che vedere con altre opere il cui autore e le cui vittime sono morti, talora da alcuni secoli. Qui le vittime sono vive come anche l’autore.

Ho compreso, lungo questi mesi, che non era mia responsabilità chiarire lo statuto di un’opera d’arte, la sua “moralità” da distinguere da quella del suo autore. Il mio compito è di vigilare affinché il santuario accolga tutti e, in particolare, quanti soffrono; fra di essi, le vittime di abusi e di aggressioni sessuali, giovani e adulti. A Lourdes devono avere il primo posto le persone provate e ferite che hanno bisogno di consolazione e di sostegno.

È la grazia propria di questo santuario: niente deve impedire loro di rispondere al messaggio di Maria che li invita al pellegrinaggio. Poiché questo è diventato impossibile per diversi pellegrini, il mio avviso personale è che sarebbe preferibile di smontare questi mosaici. Ma la soluzione non fa l’unanimità. Incontra anzi una vera opposizione. Il tema solleva le passioni. Oggi, la migliore decisione da prendere non è ancora matura e la mia convinzione trasformata in decisione, non sarebbe compresa, aggiungendo ulteriori divisioni e violenze».

Il passo considerato possibile e immediato è questo: «i mosaici non saranno più illuminati e usati attraverso giochi di luce durante la processione mariana che raccoglie i pellegrini ogni sera». Esito considerato da alcuni come «un ennesimo rinvio della soluzione a data da destinarsi» (F. Tourn), anche perché i mosaici di Lourdes sono stati collocati in modo da essere anche smontati.

Per i più maliziosi, l’esito dell’indicazione del vescovo potrebbe avere trovato forma nel colloquio con papa Francesco di alcuni giorni prima (20 giugno). Le vittime, attraverso il loro avvocato considerano la scelta con favore, «ma è necessario che a questo passo se ne aggiungano altri, in breve tempo».

L’arte non si distrugge

«Togliere, cancellare, distruggere l’arte non è mai una buona scelta». L’affermazione è parte delle risposte che il prefetto del Dicastero per la comunicazione, Paolo Ruffini, ha dato ad alcuni giornalisti in occasione di un convegno dei media cattolici ad Atlanta (USA), il 21 giugno scorso.

Interrogato circa il persistente uso di immagini delle opere di Rupnik da parte del Dicastero il prefetto ha fatto notare che non viene pubblicata nessuna nuova immagine, ma solo quelle già in archivio. A una rinnovata domanda ha risposto: «Lei pensa che togliere l’immagine di un’opera d’arte dal sito significhi una maggior vicinanza alle vittime?». Alla riposta positiva dell’interlocutrice ha ribattuto che si sbagliava. Per poi aggiungere che rimuovere le opere «non è una risposta cristiana e non aiuta la vittime».

La particolare sensibilità americana, attraversata da acute contrapposizioni su questi temi, ha fatto ritenere ampiamente ambigue e inappropriate le risposte di Ruffini. Anche perché nel Dicastero è attiva Nataša Govekar (responsabile della direzione teologica e pastorale), consacrata del Centro Aletti, co-autrice con Rupnik di alcuni libri e ritratta assieme a p. Spidlik e allo stesso Rupnik nella cappella vaticana.

Nella querelle è entrato con decisione il card. Sean O’Malley, presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori. Ha scritto ai dicasteri lo scorso 26 giugno (cf. qui su SettimanaNews):

«La prudenza pastorale impedisca di esporre o di utilizzare immagini di opere d’arte in un modo che potrebbe implicare una discolpa o una sottile difesa (dei presunti autori di abusi) oppure essere indice di indifferenza per il dolore e la sofferenza di tante vittime di abusi. (…) Dobbiamo evitare di trasmettere il messaggio che la Santa Sede non tiene conto del disagio che tanti stanno soffrendo».

L’invito a una saggia prudenza pastorale e alla vicinanza alle vittime ha per ora chiuso la disputa.

Non distruggere, dislocare altrove

Sempre relativa alle opere d’arte di Rupnik è la lettera inviata ai vescovi interessati da parte dell’avvocato di cinque vittime, Laura Sgro, il 28 giugno. Una delle vittime ha detto a La Croix (28 giugno):

«Non è questione di distruggere, né di pronunciarsi sulla qualità dei mosaici. E neppure di pronunciarsi e anticipare il verdetto del processo canonico (a carico di Rupnik) in corso. E neppure di prendere posizione diretta nel dibattito attuale riguardante la distinzione degli artisti dalle loro opere. Quello che noi chiediamo è che le opere siano dislocate altrove, in altri luoghi, ma non nei luoghi della preghiera. (…) Più in generale, ciò che auspico è che ci sia coerenza fra la linea ufficiale della Chiesa che rilancia un messaggio di comprensione e d’ascolto delle vittime e le proprie decisioni, nel momento in cui vanno prese».

Per Sara Larson, responsabile di un’organizzazione di supporto alle vittime, «l’uso continuo dell’arte di Rupnik è incredibilmente doloroso per molti sopravvissuti agli abusi, che vedono tutto ciò come emblematico di una continua mancanza di preoccupazione per le necessità dei “sopravvissuti”».

In attesa della sentenza

Del processo a Rupnik, avviato dopo la rimozione della prescrizione da parte di papa Francesco nell’ottobre del 2023, si sa molto poco. C’è chi teme il suo affossamento. Alcune battute estemporanee del capoufficio della sezione disciplinare del Dicastero per la dottrina della fede, mons. John Joseph Kennedy, attestano che l’esame del caso è a un livello avanzato.

Luis Badilla ha scritto: «È probabile che il processo canonico contro l’ex gesuita sloveno […] accusato da numerose vittime (un uomo e numerose donne) di abusi sessuali, nonché di potere e coscienza, sia in dirittura di arrivo verso la sentenza. A meno di una follia suicida in Vaticano, Rupnik dovrebbe essere dimesso dallo stato clericale» (Osservazioni casuali, n. 23).

Più complesso pensare alla scomunica, visto che, nel 2020, gli è stata comminata e subito tolta. Si esclude di utilizzare nei suoi confronti l’accusa di «falso misticismo», usata in passato per censurare i vaneggiamenti pseudo-mistici dei fratelli Philippe, e, più recentemente, per un caso discusso in Spagna. Ma il diritto canonico non lo prevede come delitto e il prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, il card. Victor Manuel Fernandez, ha dichiarato che il termine può assumere diversi significati e che non è adatto alle procedure canoniche.

Ad oggi Rupnik non ha mai risposto pubblicamente alle accuse e, fatta eccezione per il primo giudizio, non ha mai partecipato alle discussioni che lo riguardavano, né nei tribunali, né all’interno dei confronti fra gesuiti. Per quanto si sa, non ha mai incontrato le sue vittime. I testi a sua difesa, come la lettera agli amici del Centro Aletti (17 giugno 2023) accusano i gesuiti di «favorire una campagna mediatica basata su accuse diffamanti e non provate (che hanno esposto a forme di linciaggio la persona di p. Rupnik e tutto il Centro Aletti), rispetto al fornire agli organi di stampa la corretta informazione fondata su atti e documenti in proprio possesso, dimostrativi di una verità diversa da quanto veniva pubblicato».

Atti e documenti che neppure il Centro Aletti ha messo a disposizione. Nessuna voce all’interno del Centro Aletti (consacrate, ex gesuiti, comunità presbiterale) ha mai espresso dubbi sui comportamenti di Rupnik. In una nota del Vicariato di Roma (18 settembre 2023), al termine della visita canonica di mons. Giacomo Incitti al Centro Aletti, si attesta una vita comunitaria sana e priva di criticità, una piena disponibilità alla prova e l’opportunità di una qualche modifica statutaria.

«Il visitatore ha doverosamente esaminato anche le principali accuse che sono state mosse a p. Rupnik, soprattutto quella che ha portato alla richiesta di scomunica. In base al copioso materiale documentario studiato, il visitatore ha potuto riscontrare, e ha quindi segnalato, procedure gravemente anomale il cui esame ha generato fondati dubbi anche sulla stessa richiesta di scomunica».

L’udienza pontificia accordata a Maria Campatelli (15 settembre 2023) e l’incardinazione di Rupnik nella diocesi di Capodistria (26 ottobre 2023) sono state scelte molto discusse, subito seguite dalla decisione di avviare il processo canonico (27 ottobre 2023) di cui si deve attendere ora la sentenza.

Dove nasce il consenso

La discussione sulle opere di Rupnik è di particolare rilievo per il numero delle opere (231), la loro imponenza e la loro presenza in luoghi simbolo del cattolicesimo: dalla cappella Redemptoris Mater in Vaticano ai santuari maggiori (Lourdes, Fatima, Cracovia, Aparecida, San Giovanni Rotondo) a luoghi di forte risonanza (chiesa Giovanni Paolo II a Washington, chiesa ortodossa a Cluj-Romania), a chiese e cappelle in tutta Europa, con presenze nelle Americhe, in Africa, Medio Oriente e Oceania. Solo a Roma sono oltre 40 (fra cui il Seminario Romano).

Fra gli ultimi mosaici montati: la terza facciata ad Aparecida e l’abside a Conegliano Veneto. Ma le immagini di Rupnik si sono rovesciate, in forza nei santini devozionali, a ornamento di libri, documenti e loghi diversi, anche per l’assenza di diritti d’autore. Il suo stile si è largamente imposto in maniera imparagonabile ad altri modelli recenti.

Da qui la legittima domanda di una storica dell’arte come Elizabeth Lev: «Quanti pensavano che la sua arte fosse un dono di Dio vogliono ora scaricarlo? Non c’è nulla da imparare pensando ai motivi per cui è stato così popolare per tanti anni? Quale ruolo hanno assunto i molti collaboratori dell’Atelier Aletti?».

Essendo fra quanti hanno apprezzato e apprezzano l’originalità creativa di Rupnik e della sua scuola, cerco di seguito di riassumere le ragioni del consenso raccolto dalle sue opere per molti decenni.

L’arte musiva di Rupnik si è ritagliata un suo spazio nel rinnovamento complessivo dell’arte liturgica e rappresenta una delle risposte dell’arte visiva capace di ridare alle immagini «devote» l’intenzionalità vitale delle icone orientali. La distanza fra icona (quasi sacramentale) e immagine «bella» avviata dalla modernità ha prodotto figure da «vedere» non da pregare. Su questa distanza si è innestata la pertinace resistenza della pietà popolare che ha finito per trovare alimento in «prodotti» artistici sempre più prevedibili e dozzinali.

Tornare a figure consapevolmente sottratte alla terza dimensione (la prospettiva), riconoscibili nel loro riferimento alle Scritture e ai santi della tradizione (e ai nuovi), capaci di veicolare non solo un assenso ma anche un consenso emozionale costituisce una sfida intrigante, anche prima della discussione specifica sulla qualità artistica del manufatto.

Si tratta, per quanto riguarda l’opera di Rupnik, di uno degli affluenti alle molte correnti artistiche, tutte minoritarie all’interno dell’arte contemporanea, che hanno messo mano all’impresa di ridare dignità e bellezza ai manufatti presenti nelle chiese (compresa la scelta aniconica di non collocarvi alcuna figura).

Moderna per contrapposizione

L’Atelier del Centro Aletti ha «imposto» la forma del mosaico, il ricorso a materiali e pietre naturali, a colori determinati che restano vivi nel tempo. Un’originalità particolare è l’uso della «foglia d’oro». Si inventa una forma produttiva che costruisce nella bottega le parti più delicate (come i volti e le figure) per poi assemblarle nel momento in cui vengono postate sulla parete.

Il resto non è semplice abbellimento. Nei fascioni che attorniano i racconti evangelici e scritturistici è riconoscibile il tratto violento e netto della modernità, sottoposta alla logica comunicativa della fede piuttosto che a quella contrappositiva e sorprendente dell’invenzione.

Che si possa parlare di «bottega» è un ulteriore novità rispetto alla singolarità dell’artista contemporaneo. Un ritorno alla tradizione. Un modo di lavoro che abitua al confronto e che, nell’esperienza degli interessati, si avvicina alla comunione ecclesiale.

A questo si aggiunge un’affermata coerenza con il deposito conciliare, con la priorità riconosciuta alla Scrittura rispetto a forme legittime ma più marginali della memoria cristiana. Il consapevole richiamo al primo millennio, alla tradizione patristica, e quindi alla Chiesa «unita», alimenta il dialogo con le Chiese d’Oriente, con la loro tradizione iconica e la loro spiritualità monastico-contemplativa.

Meno evidente la scelta conciliare di dialogare col moderno, di «farsi insegnare» dalla storia e dagli eventi, di riconoscere le modalità con cui il «religioso» continua a vivere dentro i vissuti contemporanei.

Nessuna damnatio memoriae

Tutto questo è stato investito e travolto dal racconto degli abusi considerati credibili dai tribunali, dai molti controlli della compagnia dei gesuiti e imposti da un’opinione pubblica internazionale particolarmente attenta alla questione.

La sofferenza delle vittime, la loro lunga e pagata memoria e il dovere morale della Chiesa nei loro confronti hanno rimesso in discussione l’intero progetto. Rispetto alla reazione stupita e addolorata, va detto che c’è un’immediata resistenza ecclesiale alla damnatio memoriae e alla contemporanea cancel culture, azioni peraltro non richieste dalle vittime.

Certo, non si può ignorare la pervasività riconosciuta dalle stesse vittime fra spinta abusante e creazione artistica, fino alla molestia attestata da una suora sulle impalcature di uno dei cantieri e durante la posa come modella. «Con Rupnik non si può separare la dimensione sessuale da quella creativa – ha detto Gloria Branciani, ex membro della Comunità Loyola, vittima di abusi per diversi anni –. La sua ispirazione artistica deriva direttamente dal suo approccio alla sessualità».

Troppo presto e – per quanto mi riguarda – senza le sufficienti conoscenze per una valutazione complessiva dell’opera artistica di Rupnik e ancora più per quanto riguarda la sua teologia e il suo orizzonte filosofico, un impianto cristocentrico, con una forte accentuazione dell’incarnazione, investito dalla teologia della bellezza come via al divino, la cui esperienza è legata alla liturgia e ai suoi simboli.

Secondo Giovanni Salmeri, «una teologia può essere buona o cattiva indipendentemente dalla bontà di chi l’ha elaborata. Esiste una dimensione oggettiva del Vangelo e della sua riformulazione intellettuale che può avere la meglio rispetto anche al contesto più depravato […] (ma) è possibile anche il contrario. È possibile che un certo discorso teologico sia legato, come causa o come effetto o in entrambi i modi, a una condotta riprovevole o a un’immagine inaccettabile della vita comunitaria e dei rapporti interpersonali» (cf. Settimana News).

È quindi necessaria prudenza per arrivare a giudizi plausibili. La stessa cosa vale per l’impianto filosofico, legato in particolare al filosofo-teologo russo Vjačeslav Ivanov. Rupnik condivide l’idea di Ivanov del susseguirsi di ere simboliche e di ere critiche, di periodi di grande creatività simbolica e altri (come l’intero «moderno») di pura analisi critica e razionalità strumentale. Ciò espone l’artista alla condanna del moderno in toto, ma anche a una difficile comprensione del Concilio Vaticano II e del suo dialogo con la modernità.

Moralità e opportunità

Rispetto alla domanda di partenza circa il destino delle opere di Rupnik e al tema della moralità dell’opera d’arte, si può escludere la soluzione della distruzione. Non solo per l’insegnamento della storia relativamente ad artisti assai poco raccomandabili nei loro comportamenti (da Michelangelo a Raffaello, da Caravaggio a Bernini), ma anche per il «cattivo esempio» dell’iconoclastia di alcune radici della Riforma, delle rivoluzioni francese e sovietica e di tutte le forme di potere che hanno preteso di irreggimentare la creazione artistica.

Ciò non toglie l’opportunità pastorale di dislocare altrove immagini che risultano crudeli per le vittime e il loro uso (o non uso) prudente nella comunicazione ecclesiale. Nulla a che vedere con un moralismo bacchettone, ma come consapevole presa in carico della sofferenza delle vittime.

Il valore morale di un’opera d’arte fa parte del suo valore artistico. Soprattutto oggi in un mondo in cui l’estetismo ha occupato l’intero mercato e le merci l’intero panorama del reale.

Un paziente e libero scambio interno alle comunità ecclesiali sull’arte religiosa potrebbe essere il frutto positivo dell’attuale sofferenza, resa pubblica dell’emergenza dello scandalo degli abusi.

Print Friendly, PDF & Email

10 Commenti

  1. Orso Garibozzi 15 luglio 2024
  2. Marco 13 luglio 2024
    • Christian 14 luglio 2024
  3. F. Stefano cappuccino 13 luglio 2024
    • Christian 14 luglio 2024
  4. Salfi 11 luglio 2024
  5. Gian Piero 11 luglio 2024
  6. Christian 10 luglio 2024
  7. anima errante 10 luglio 2024
  8. Fabio Cittadini 10 luglio 2024

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto