Eletto il 30 giugno scorso, il nuovo patriarca di Bulgaria, Daniele, esponente dell’ala filo-russa della Chiesa ortodossa locale, è già sotto pressione.
Si contesta il mancato rispetto dei processi canonici di elezione. La sua candidatura, secondo il professore di diritto canonico, Dilyan Nikolechev, avrebbe avuto la supervisione di nove e non di dieci membri del sinodo, come da norma.
Inoltre, la votazione che ha portato alla sua elezione è inquinata da due elementi. I voti ottenuti da Daniele sono stati 69, l’esatta metà dell’assemblea, ma la richiesta del diritto è quella della maggioranza (70).
Al suo competitore, Gregorio di Vrata, sono andati 66 voti. Cumulando i voti dei due, ne mancano all’appello 3. La commissione dello scrutinio non ha parlato di schede nulle. I tre voti avrebbero portato alla parità i contendenti.
Si è poi provveduto alla proclamazione in pochi minuti senza controllo dei voti.
L’affidabile sito ortodosso parlonsorthodoxie.wordpress.com conclude: «Si pone la questione della legittimità del nuovo patriarca bulgaro. È una sorta di “mina vagante” sotto il suo trono. La Chiesa bulgara, forte di sei milioni di fedeli, isolata da tre anni da Mosca e dal patriarca Cirillo è chiaramente polarizzata come la maggior parte delle Chiese ortodosse nel mondo. Ogni azione imprudente o riferimenti a “errori giuridici” durante l’elezione del patriarca potrebbero provocare una scissione dentro la Chiesa bulgara. Come è già successo nel 1992».
Allora si aprirono gli archivi della polizia segreta ed emerse che 11 dei 15 componenti del santo sinodo, compreso il patriarca, erano schedati come agenti. Sei metropoliti e alcuni vescovi considerarono destituito il patriarca Massimo e si costituirono in sinodo alternativo. Solo una lunga e paziente mediazione di Costantinopoli e di Mosca portò a una soluzione del conflitto, che potrebbe oggi riemergere.
Uomo di Mosca a Sofia?
Bartolomeo, presente nei giorni dell’elezione, non ha partecipato alla prima celebrazione patriarcale e non ha voluto essere presente alla cena subito dopo la nomina.
La posizione filo-russa di Daniele è evidente per i molti viaggi da lui fatti a Mosca fin dall’inizio del suo episcopato, per la vicinanza con l’allora responsabile del dipartimento per le relazioni estere del patriarcato russo (il vescovo Hilarion), per i messaggi anti-ucraini fatti arrivare al clero bulgaro dall’inizio della guerra d’aggressione russa al paese vicino.
Ha condiviso pienamente la narrazione russa sull’Ucraina, addebitando alle manifestazioni di piazza Maidan (2014) l’origine di violenze e di massacri che giustificherebbero il successivo intervento russo in Crimea e in Ucraina.
Condivide con Mosca la denuncia delle attuali difficoltà giuridiche e amministrative della Chiesa ucraina di Onufrio come persecuzioni paragonabili a quelle subìte al tempo dei soviet e della rivoluzione russa.
Contro il parere del patriarca defunto, Neofito, ha sostenuto la posizione russa nel caso della chiesa legata all’ambasciata russa i cui responsabili sono stati allontanati dal governo come pericolosi per il paese che li ospitava.
Nella prima celebrazione da patriarca, nei dittici, ha nominato nel suo titolo completo solo Cirillo di Mosca e da lui ha ricevuto un cordialissimo saluto ufficiale.
Ha nominato Stefano di Macedonia del Nord (non riconosciuto come autocefalo da Costantinopoli), mentre ha ignorato Epifanio di Ucraina (riconosciuto da Bartolomeo, non da Cirillo).
Se le prossime elezioni nazionali dovessero confermare una maggioranza filo-occidentale, ci si può aspettare un aumento delle tensioni intraecclesiali. Per questo le prime parole del patriarca Daniele sono suonate a garanzia dell’unione della Chiesa e di un ruolo patriarcale all’insegna dell’unità (cf. SettimanaNews, qui).