Diario di guerra /60. Relativismo e identitarismo

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Additando il «relativismo etico», Benedetto XVI avrebbe colto, con largo anticipo, la causa di fondo del collasso dell’Occidente. Lo vediamo bene in questi giorni, tanto che una strage a Kiev sembra cattiva e un’altra a Gaza molto meno.

Questa lettura è fondata ma anche parziale. Infatti, esclude il punto di vista dell’altra parte. Anche gli altri hanno il loro relativismo. Dall’altra parte della barricata, risulta che una strage a Gaza è cattiva, una a Kiev molto meno.

In mezzo a questo modo di leggere gli accadimenti, chi dissente – in Occidente come nel blocco avverso – risulta un traditore. Allora affiora la mia idea su quanto mette in crisi la battaglia ratzingeriana contro il relativismo etico: la mette in crisi l’identitarismo, che è il vero nemico del successore, di Francesco e del suo magistero sulla fratellanza. L’identitarismo è la malattia del nostro tempo, per cui i miei hanno sempre ragione, gli hanno altri sempre torto. Tutti siamo affetti dalla stessa malattia.

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Ora, il portavoce dell’esercito israeliano, Hagari, dice che tra cinque anni a Gaza si parlerà ancora di Hamas e del suo terrorismo. Il premier Netanyahu, a queste parole, si è infuriato: dove andrebbe a finire, così, la sua, sempre imminente, «vittoria definitiva»?

Ma i giornali riferiscono di una reprimenda privata di Netanyahu, secondo il quale in Cisgiordania c’è Hamas, ma non c’è un potere esecutivo di Hamas; in Germania c’è il nazismo, ma non c’è un potere esecutivo nazista. Così dicendo non si parla più bisogno di estirpare il male – Hamas, nel caso di specie – ma il suo potere esecutivo. In questa chiave, tutto cambia.

A guardar bene, ciò che sembrava un terrorismo ridotto nella sua ultima roccaforte – Rafah – riappare ogni giorno da qualsiasi area dichiarata «pulita». Forse il Netanyahu ufficioso, quello che non parla di distruzione di Hamas, ma di un suo potere esecutivo, ha più ragione dell’altro. Dunque: per lui, scegliere quest’altra strada sarebbe stato possibile, mesi fa. E avrebbe prodotto migliori risultati.

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Lo stesso accade dall’altra parte della barricata. Il capo di Hezbollah, Hasan Nasrallah, diceva, da mesi, che si fermerà solo quando si dichiarerà il cessate il fuoco a Gaza. Ora sta dicendo che, se Hamas rinuncia ad ottenere la preventiva cessazione delle ostilità, anche lui sarebbe d’accordo. Dunque, i fondamentalisti, che accusano di viltà o di tradimento chiunque li contraddica, si contraddicono da soli.

Non sarebbe stato meglio cambiare idea prima che 4.000 abitazioni libanesi venissero distrutte da questa guerra, con centinaia di villaggi spianati e con 100.000 profughi costretti a fuggire dal sud del Libano? Il tutto senza alcuna prospettiva: solo per propaganda! Mentre nessun organo della resistenza islamica legata ad Hezbollah si sta interrogando su questi disperati e sulla loro vita.

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Ma il relativismo – più o meno etico – non riguarda solo i “duri”, riguarda anche i cosiddetti moderati. Rappresentati da molti come «ragionevoli» – quelli che non si piegano più all’integralismo – ma sono pronti alle ragioni della pace: cioè, i sauditi. Scelgono proprio queste ore per ristabilire i voli giornalieri tra il loro Paese e la Siria di Assad. L’amico dell’Iran, il figlioccio di Hezbollah, viene dunque coccolato dai rivali degli iraniani e di Hezbollah.

Contro Assad la magistratura francese ha spiccato un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità: solo quella francese, visto che nessun Paese al mondo ha attivato contro Assad la Corte Internazionale di Giustizia, né dall’Occidente, né dell’altro fronte.

Che la ragionevolezza oggi sdogani chi è colpevole di crimini contro l’umanità – parliamo di stragi di civili inermi con armi chimiche – dimostra che il relativismo etico ha superato abbondantemente i limiti di guardia. Anche se c’è senz’altro chi vuole convincerci che è giusto così. Ma a me non sembra.

  • Tutte le puntate del Diario di Riccardo Cristiano possono essere lette qui.
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